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Full text of "La divina commedia;"

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Digitized  by  the  Internet  Archive 

in  2011  with  funding  from 

University  of  Toronto 


http://www.archive.org/details/ladivinacomme01dant 


Datile,  di  Giotto.  -  (Firenze,  Palazzo  del  Podestà). 


DANTE  ALIG MIRRI 


LA 


DIVINA  COMMEDIA 


ILLUSTRATA  NEI  LUOGHI  E  NELLE  PERSONE 


A  CURA  DI 


CORRADO  RICCI 


Con   700  incisioni  e    170  tavole  fuori  testo 


ULRICO  HOEPLI 

MILANO 


Edizione  Numerata  di  Mille  Esemplari 
Esemplare  N.      9X3 


PROPRIETÀ    ARTISTICA 


TIPOGRAFIA   SOCIALE   DI   CARLO   SIRONI    -    MILANO.  Via   G.  Mameli.   15 


lidllislfiiì  (li    linii/f,    in   cui    III    l);il  li/,/;iln    l);iiilc. 
l'roiiU'  ili  un  iMssoiir  (I  II  7-1  US)  di'l  Miisi'o  .\a/ii)ii;ilc  ili   l'ircn/c, 


PREFAZIONE 


Il  primo  che  ebbe  il  pensiero  d' illustrare  la  divina  Commedia  con  le 
"  immagini  grafiche  degli  svariati  oggetti  che  diedero  motivo  alle  piti  alte 
ispirazioni  deW  Alighieri  "  fu  George  John  Warren  Lord  Vernon  intorno 
al  1840.  L  opera  sua  però,  non  spinta  oltre  /'Inferno  e  limitata  alla  ripro- 
duzione di  alcune  cose  soltanto,  rimase  ben  lontana  dal  corrispondere  alle 
intenzioni  dell  editore  e  aW aspettazione  dei  cultori  di  Dante:  ciò  che  rico- 
nobbe anche  Giacomo  Filippo  Lacaita  quando,  nel  1865,  stampò  in  Londra 
/'album  vernoniano. 

Nel  1887  Filippo  Mariotti,  allora  Sottosegretario  di  Stato  al  Ministero 
dell'  Istruzione,  '  riprese  il  disegno  del  nobil  signore  inglese  e  attese  con  amo- 
rosa cura  a  raccogliere  fotografie  e  disegni  nelle  varie  Provincie  del  Regno  ". 
Ma  poi,  vista  la  gravezza  deli  impresa,  consegnò  quel  che  aveva  faticosa- 
mente messo  insieme  alla  Società  Dantesca  Italiana,  purché  continuasse  la 
raccolta  e  la  compiesse;  e  la  Società  dichiarò:  '  Appena  si  siano  costituiti 
i  Comitati  nelle  Provincie  che  ancora  ne  sono  prive,  e  sappia  quali  aiuti  potrà 
avere  dal  Regio  Ministero  proseguirà  il  lavoro  che  giudica  utile  per  molti 
rispetti.  Intanto  pubblica,  quale  fu  comunicato  dallo  stesso  Ministero,  Velenco 
contenente  l'indicazione  sì  delle  illustrazioni  raccolte,  sì  anche  di  quelle  desi- 
derate, riservandosi  di  aggiungere  a  suo  tempo  l'indicazione  di  altri  luoghi 
ed  oggetti  di  cui  pur  sarebbe  bene  avere  una  riproduzione  grafica  '. 


VI 


PREFAZIONE 


Da  quclVclcnco  risultava  che  le  fotografie  raccolte,  veramente  utili  per 
un'  illustrazione  storico-topoi^rafica  della  divina  Commedia,  non  superavano 
la  quarantina,  numero  infinitamente  minore  a  quello  delle  fotografie  e  dei 
disegni  già  allora  da  me  riuniti,  come,  del  resto,  ben  sapeva  lo  stesso  Mariotti 
che  pili  volte  mi  aveva  fatto  pregare  di  cederli. 

Ma  oramai  la  pubblicazione  di  una  "  divina  Commedia  illustrata  nei 
luoghi  e  nelle  persone  "  da  me  proposta  ad  Ulrico  Hoepli  era  stata  accettata, 

e  conveniva  mettersi  aW opera.  Uscitane 
la  prima  dispensa  nell'agosto  del  1896 
Fopera  fu  compiuta  nel  dicembre  del  se- 
guente anno. 

Nel   frattempo    apparvero    i    primi 

fascicoli   della  '  Divina    Commedia    con 

^^^  ^^m  commenti    secondo    la     scolastica  "   del 

PJ^Jf    ^^^  ^^M     ^^  P.    Gioacchino    Berthier,     illustrata     da 

"  monumenti  archeologici  ".  Egli  ripro- 
duceva, in  sostanza,  le  figure  del  Vernon, 
quelle  del  mio  "  Ultim.o  rifugio  di  Dante  " 
e  alcune  pure  del  mio  Dante  illustrato, 
man  mano  che  usciva  in  fascicoli,  ag- 
giungendo altre  riproduzioni  di  vedute  e 
di  ritratti,  alcune  relativamente  recenti  e 
senza  importanza,  ed  altre  invece  non 
prive  d  interesse,  spesso,  però,  con  indi- 
cazioni errate.  Designava,  infatti,  come 
panorama  di  Pistoia  quello  di  Ravenna; 
come  di  Forlì,  quello  di  Mantova;  come 
di  Faenza,  quello  di  Forlì;  riproduceva 
come  casa  nativa  di  Francesca  in  Ra- 
venna e  come  dimora  di  G lanciotto  Malatesta  in  Pesaro  due  edifici  del 
Rinascimento  ! 

E  il  mio  Dante  illustrato  uscito  allora  ? 

Esso  incontrò  il  favore  del  pubblico  così  che  la  costosa  {allora  parve  ben 
tale!)  edizione  presto  si  esaurì;  ed  anche,  in  genere,  incontrò  il  favore  della 
critica  {Giosuè  Carducci  nelle  note  a  "  La  Chiesa  di  Polenta  "  lo  proclamò 
bellissimo).  Ma  non  mancò  chi  temperasse  la  lode  con  osservazioni  e  censure 
che,  naturalmente,  m'indussero  alla  difesa  del  mio  lavoro. 


Firenze,  casa  di  Dalile. 


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PRRIA/.IONi:  VII 


Però  io  sciidvo  (e  /.)///  (/  oijiii  (liho)  die  esse  erano  /xt  la  m<ii>iiior  juirlc 
i>iiisU',  ed  (dire,  (dlorii,  e  lììolle  dopo,  me  ne  diidoi  fdeeiido  io  niedesinìo,  elic 
la  critica  non  mi  aveva  falle,  sì  che  di  quella  mia  faliea  non  lardai  ad  essere 
maleonlenlo. 

Qit(dche  Intona  rai>ione  in  difesa  non  mancava,  ma  più  in  difesa  mia, 
che  del  mio  lavoro:  le  condizioni  di  povertà  {perche  non  confessarlo?)  durante 
le  quali  avevo  fatto  eseguire  e  raccolto  le  fotografie,  per  cui  spesso  avevo  dovuto 
rinunziare  a  cose  indispensabili  o  appagarmi  di  cose  mediocri,  inadatte  a 
vaghe;  Vabituale  inerzia  dei  Municipi  e  dei  Ministeri,  per  cui  non  ebbi  mai, 
non  dico  le  fotografie  che  chiedevo  e  ch'essi  già  possedevano,  ma  nemmeno 
risposta  alle  mie  lettere;  infine  la  difficoltà  stessa  di  illustrare  un  libro  dove 
sono  descritti  o  mentovati  luoghi  lontanissimi,  dalle  dighe  delle  Fiandre 
ali  Ellesponto  "  là  ve  passò  Serse  ',  o  luoghi  di  faticoso  accesso  come  le  fonti 
del  Tevere  e  dell'Arno;  e  valli  e  foci  e  confluenze  di  fiumi,  e  castelli  e  chiese 
e  monasteri  romiti  e  remoti,  sparsi  per  ogni  parte,  specialmente  «per  lo  dosso 
d' Italia  ^^  E  che  tali  difficoltà  fossero  grandi  ben  lo  vide  Filippo  Mariottì 
pur  avendo,  per  la  sua  posizione  ufficiale,  autorità  sugli  uffici  di  tutela  monu- 
mentale ed  artistica!  Io  ebbi  bensì  parecchie  persone  che  m'aiutarono  nella 
difficile  impresa,  ma  furono  tutte  persone  private,  e  tutte  le  ricordai  con  gra- 
titudine nella  prefazione  del  Dante  illustrato. 

A  queste  ragioni  di  natura,  per  così  dire,  materiale  {anche,  e  su  tutto, 
r  inerzia  ufficiale!)  una  se  ne  aggiunse  di  natura  che  chiamerò  estetica.  Negli 
anni,  in  cui  misi  insieme  le  mie  illustrazioni  dantesche,  infieriva  la  passione 
della  "fotografia  dal  vero  ".  Fu  quello  il  tempo,  in  cui  nei  mercati  delle  cose 
vecchie  {come  a  Campo  dei  Fiori  a  Roma,  nella  Piazzola  a  Bologna,  a  San 
Lorenzo  in  Firenze  ecc.)  si  trovavano  gettate  su  pei  banchi  alla  rinfusa, 
impolverate,  sgualcite,  lacerate,  quelle  interessanti  vedute  di  città  o  di  monu- 
menti incise  0  disegnate  che  allora  si  vendevano  a  due  o  tre  soldi,  e  che  oggi 
il  Lang  e  il  Luzzietti  vendono  a  cinquanta  o  sessanta  lire  e  sono  nullameno 
ricercatissime  così  da  raccoglitori  privati  come  dagli  istituti  che  hanno  final- 
mente compreso  la  necessità  di  formare  raccolte  iconografiche  e  topografiche 
a  sussidio  dell  arte  e  della  storia. 

Dunque  allora  infieriva  la  passione  della  "fotografia  dal  vero  " ;  anche  i 
libri  e  le  rassegne  di  carattere  artistico,  quelle  cioè  a  cui  l'opera  dell'  artista 
poteva  aggiungere  interesse  e  bellezza,  ne  furono  travolte.  L' ingrandi  niente 
fotografico  d'una  festa,  d'una  rivista,  d'un  disastro,  con  le  sue  deformità  pro- 
spettiche e  i  suoi  toni  grigi  uniformi,  cacciò  man   mano,  dai   periodici  setti- 


vili 


PREFAZIONE 


manali,  l'opera  Viva,  svelta,  piena  di  ejjcilo  e  di  chiaroscuro  di  abili  dise- 
gnatori, che  di  quella  festa,  di  quella  rivista,  di  quel  disastro  avevano,  fino 
allora,  data  una  impressione  sintetica  e  talora  anche  "  sentimentale  "  che 
forse  corrispondeva  al  vero  più  che  lo  stesso  "  vero  "  freddo  e  circoscritto  della 
fotografia. 

Allora  si  confusero  le  necessità  della  scienza  con  quelle  deWarte.  Che,  se 
al  rigido  esame  della  prima  giova,  assai  meglio  del  disegno,  una  nitida  e  pre- 
cisa fotografia,  e  se  anche  lo  storico  dell'arte  può  definir  meglio  le  forme  di 
una  qualsiasi   scuola  pittorica  o  d'un  qualsiasi   maestro  avendo  a  mano  una 


San  Cadenzo,  dove  Danio  fu  l'S  "iugno  1302. 


fotografia  piuttosto  che  una  stampa,  sia  pure  del  Mercuri  o  del  Toschi  o  del 
Calamatta,  è  però  inutile  e  dannoso  ali  arte  voler  applicato  identico  sistema 
laddove  alle  necessità  della  scienza  è  sostituito  il  semplice  diletto  artistico  del 
pubblico. 

E  allora,  pel  Dante  Illustrato,  anch'io  fui  trascinato  dalla  passione  della 
''fotografia  dal  vero  ":  dal  vero  ad  ogni  costo,  anche  quando  conduceva  alle 
più  gravi  offese  cronologiche. 

Che  si  debbano  riprodurre  dal  vero  quei  luoghi  che  oggi  sono  su  per  giù 
quali  erano  al  tempo  di  Dante,  come  la  rupe  di  San  Leo  e  quella  di  Bis- 
mantova,  la  cascata  di  San  Benedetto  dell'Alpe  e  i  piani  di  Campaldino  e  di 
Montaperti,   le   ruine  di   Luni   e  quelle  di    Urhisaglia,  le  fonti  del   Tevere   e 


PRr.FAZIONE  IX 


quelle  dell  Arno,  e  lUisIc  Vrdtttc  di  lìiotili  e  (//  ixdli,  è  ovvio.  L  iiiìOi^inc  daiilcsca 
non  (Mio  clic  liccfH'rnc,  per  chi  lei>i*e,  V(nil(iiH}io  di  precisione  e  di  evidenza. 
Ed  lincile  non  può  non  svei>liare  in  noi  inleresse  e  curiosità  veder  riprodolti 
lìdia  loro  realtà  molti  liioi>lu  che  Dante  sicuramente  o  presumihilmenlc  vide. 
Così  può  piacere  la  vista  di  castelli  e  palazzi  diruti  che  appartennero  a  per- 
sona^^i  danteschi  o  furono  testimoni  di  fatti  che  il  poeta  ricorda;  i  quali 
castelli  e  palazzi  se  non  sono  piìi  quali  erano  ai  tempi  di  lui,  dalla  ruina  e 
dall'abbandono  hanno  ricevuto  un  valore  tutto  poetico  e  pittoresco,  che  li  pre- 
serva dal  generare  nel  nostro  spirito  quell'urto  che  dà  la  vista  di  tardi  e  spesso 
recenti  manufatti,  discordanti  con  l'arte  e  col  sentimento  del  tempo  di  Dante! 

Perciò  quando  la  veduta  di  un  luogo  o  di  una  città  o  d'una  parte  di 
essa,  0  almeno  d'un  monumento  antico,  non  corrispondeva  ad  una  ragionevo- 
lezza cronologica,  io  mi  sono  vólto  alla  ricerca  e  alla  riproduzione  di  disegni, 
scolture  e  pitture  possibilmente  trecentesche,  non  escludendone  alcune  più  tarde, 
di  quando,  cioè,  l'aspetto  complessivo  della  cosa  riprodotta  poteva  esser  cam- 
biato di  poco.  E  così  ho  fatto  per  gli  edifici  che  Dante  rammenta,  ritraendo 
dal  vero,  quelli,  che,  come  il  Battistero  di  Firenze,  S.  Maria  in  Porto  presso 
Ravenna,  San  Zeno  a  Verona,  San  Pietro  in  del  d'Oro  a  Pavia,  ecc.  con- 
servano nel  loro  insieme  l'aspetto  antico,  e  ricorrendo  invece  a  vecchi  dipinti 
o  disegni  per  quelli  che  più  tardi  furono  radicalmente  trasformati,  come,  ad 
esempio.  San  Pietro  e  il  Luterano  in  Roma. 

Così,  in  questa  nuova  edizione  ho  evitato  le  cose  più  spiacevoli,  e,  come 
ho  detto,  urtanti.  Non  più,  quindi,  la  veduta  di  Firenze  dal  vero,  coi  suoi 
Lungarni  e  il  Cupolone,  o  Padova  con  la  chiesa  di  Santa  Giustina,  o  Palermo 
con  la  cupola  del  Fuga  e  Novara  con  quella  deU'Antonelli,  e  Pesaro  con  le 
case  operaie  e  Milano  col  tìburio  del  Duomo,  e  tante  altre  città  con  viste  di 
ciminiere  e  stazioni  ferroviarie  e  teatri  e  villini  e  case  e  palazzi  e  opifici 
recenti,  e  odierni,  e  sino  in  costruzione! 

E  anche  non  ho  riprodotto  un  fiume  o  un  torrente  se  non  quando  nel 
poema  è  ben  definito  un  punto  preciso  d'esso.  Non  più,  quindi,  una  qualsiasi 
veduta  dell'Indo,  del  Gange,  del  Nilo,  solo  perchè  genericamente  mentovati 
dal  poeta;  ma  il  Mincio  dove  mette  in  Po,  l'Archiano  dove  mette  in  Arno, 
e  l  Arhia  nel  piano  di  A^ontaperti,  e  la  Savena  e  il  Reno  presso  Bologna,  e 
r Acquacheta  sopra  Forlì,  e  a  Forlì  dove  prende  il  nome  di  Montone. 

Ciò  ho  potuto  naturalmente  fare,  inviando  o  accompagnando  sul  posto 
fotografi  che  ritraessero  città  e  castelli  e  monumenti  e  paesaggi  dai  punti  più 
convenienti  allo  scopo  e  in  maniera  da  evitare  la  vista  di  cose  troppo  moderne. 


X  PREFAZIONE 


Ma  poi  premura  mia  è  stata  di  allargare  in  modo  speciale  la  illustra- 
zione propriamente  iconografica,  così  nella  parte  storica  come  in  quella  tradi- 
zionale e  sino  in  quella  fantastica. 

Ho  cercato  le  imagini  dei  personagi  danteschi  più  vicini  a  lui  e  di  quelli 
a  lui  contemporanei  neliarte  del  duecento  e  del  trecento:  nelle  scolture  tom- 
bali, negli  affreschi,  nei  musaici,  nelle  miniature  e  talora  anche  nei  sigilli. 
Quando  poi  ho  voluto  dare  le  imagini  di  personaggi  antichi,  li  ho  cercati 
anch'essi  neliarte  del  duecento  e  del  trecento,  neliarte  cioè  che  intendevano  i 
contemporanei  di  Dante  e  i  primi  lettori  della  divina  Commedia,  e  non 
neliarte  classica  così  lontana  dal  loro  spirito.  Ali  arte  classica  ho  ricorso  soU 
tanto  quando  ho  pensato  ch'essa  abbia  dato  argomento  diretto  a  certe  figura- 
zioni del  poeta,  come  nel  caso  della  "  leggenda  di  Traiano  e  della  vedovella  " 
e  per  taluni  aspetti  mitologici,  o  mostri  infernali,  come  Cerbero,  il  Mino- 
tauro, le  Parche,  la  Medusa,  Caronte  e  Minosse,  il  quale  ultimo  io  ritengo 
tratto  da  qualche  Eon  o  Chronos  mitriaco  cinto  più  volte  dal  serpe.  Nei 
casi,  però,  in  cui  iurte  romanica  ha  espresso  a  suo  modo  alcuni  dei  mostri 
della  mitologia  antica,  ho  preferito  tenermi  ad  essa,  piuttosto  che  ali  arte 
classica,  sempre  per  accostarmi  al  sentimento  dantesco.  Dall  arte  perciò  roma- 
nica e  gotica  ho  preso  le  figure  dei  centauri,  delle  arpie,  dei  grifoni,  delle 
sirene  e  quelle  zodiacali,  alle  quali  mi  è  piaciuto  di  aggiungere  anche  le  figure 
di  animali  esotici  come  il  leone,  ielefante,  la  balena,  lo  bàvero,  la  lonza  dalla 
gaietta  pelle,  ecc.,  lieto  di  mostrare  ai  lettori  del  poema  la  forma  nella  quale 
li  immaginavano  o  vedevano  o  ritraevano  i  contemporanei  di  Dante. 

Messo  così  sulla  strada  d'ampliare  iorizzonte  della  mia  illustrazione  mi 
sono  lasciato  andare  alla  riproduzione  di  molti  oggetti  che  il  poeta  ricorda  e 
che  ho  potuto  naturalmente  trovare,  come  gli  stemmi  e  le  imprese,  coi  quali 
egli  designa  persone,  città,  nazioni;  il  "gran  manto  "  papale,  i  tappeti  turchi 
ch'ei  richiama  per  definire  la  pelle  di  Gerione,  o  le  cariatidi  per  definire 
i atteggiamento  dei  superbi  del  Purgatorio,  o  le  tombe  terragne  per  definire  il 
pavimento  del  girone  in  cui  essi  sono  puniti;  e  alla  riproduzione  ancora  di 
strumenti  musicali,  di  arnesi  od  oggetti  come  le  spole  e  il  martello  del  fabbro, 
le  doghe  e  le  lanterne  péndule,  abbandonandomi,  qualche  volta,  sino  al  desiderio 
di  illustrare,  con  i arte  antica,  anche  qualche  particolare  o  aneddoto  o  favola 
o  atto,  come  la  costruzione  d'una  nave,  il  martirio  del  toro  di  bronzo,  i 
ghiottoni  nella  taverna,  la  favola  della  rana  e  del  topo,  la  mano  che  fa  le  fiche. 

Arricchita  così,  per  ogni  lato,  la  illustrazione  grafica  del  poema,  ho  la 
sicurezza  d  aver  fatto  cosa  certamente  migliore  che  non  la  passata.  Non  però 


Chiesa  di  San  Francesco  in  Ravenna 
dove,  nel  settembre  del  1321,  si  celebrarono  le  esequie  di  Dante. 


PRRFAZIONR  XI 


lììi  ltisini><)  (l'dtHT  stifìCKilo  hillc  le  (liffuollà  r,  qininli,  iìciììiììciìo  di  sollrarnii 
alili  ciilicd,  (lulcnle  solo  che  hi  mia  età  tioti  fìossa,  forse,  conscalirnìi  di  (tirare 
una  terza  edizione  di  quest' afferà  e  [.^crciù  di  valer  mi  dei  eoiìsii>li  die  mi  sa- 
ranno dati. 

Sottratto  ad  oi>ni  critica  sarà  invece,  meritamente,  Ulrico  lloepli,  il 
quale,  perchè  la  nuova  edizione  splenda  di  Vera  bellezza,  ha  affrontalo  tutte 
le  indicibili  diffuoltà  tipografiche  del  momento,  superandole,  a  mio  avviso, 
con  un  coraggio  addirittura  giovanile.  Fra  l'altro  egli  ha  consentito  che  non 
uno  dei  quattrocento  clichés  che  servirono  alla  passata  stampa  fosse  usato  per 
questa  che  oggi  si  pubblica. 

Solo  con  editori  simili  si  lavora  con  soddisfazione! 


Corrado  Ricci. 


I  molti  amici  che  mi  aiutarono  per  la  prima  edizione  di  questo  libro  (principalissimi 
Olindo  Guerrini,  il  marchese  Aldo  Rusconi,  il  conte  Giovanni  Acquaderni,  e  il  signor 
Giuseppe  Cremoncini,  ahimè  tutti  morti)  ricordai  e  ringraziai  in  essa.  Qui  aggiungo  i 
nomi  di  quanti  mi  sono  stati  larghi  di  aiuto  dal  1898  in  poi,  ossia  man  mano  che 
per  consiglio  dello  stesso  editore  m'  andavo  preparando  questa  seconda  edizione  : 
cav.  Luigi  Alfieri,  Roma  -  comm.  Vittorio  Alinari,  Firenze  -  arch.  Giulio  V.  Arata, 
Parma  -  dott.  Péleo  Bacci,  Pisa  -  conte  Alessandro  Baudi  di  Vesme,  Torino  -  avv. 
Carlo  Beni,  Stia  in  Casentino  -  ing.  Cesare  Bertea,  Torino  -  dott.  L.  V.  Bertarelli, 
Milano  -  sig.  Pietro  Bezzi,  Ravenna  -  prof.  Arnaldo  Bonaventura,  Firenze  -  dott.  Rio- 
ciotti  Bratti,  Venezia  -  dott.  Evaristo  Breccia,  Alessandria  d'Egitto  -  ing.  Augusto  Bru- 
sconi,  Milano  -  dott.  Giovanni  Carbonelli,  Torino  -  prof.  Placido  Campetti,  Lucca  - 
sig.  F.  Carga,  Bougie  in  Algeria  -  avv.  Carlo  Caruso,  Cosenza  -  cav.  Alessandro 
Cassarini,  Bologna  -  arch.  I.  C.  Cavini,  Roma  -  rev.  D.  Parisio  Ciampelli,  Eremo  di 
Camaldoli  -  dott.  Luigi  Coletti,  Treviso  -  dott.  G.  Collon,  Tours  -  prof.  Luigi  Corsini, 
Bologna  -  dott.  Franz  Cumont,  Roma  -  ing.  Alessandro  Da  Lisca,  Verona  -  rev.  don 
Giuseppe  de  Angelis,  Perugia  -  dott.  Alessandro  Del  Vita,  Arezzo  -  dott.  Giacomo 
De  Nicola,  Firenze  -  prof.  Guglielmo  De  Marez,  Bruxelles  -  C.  C.  Edgar,  Cairo  - 
signorina  Ida  Errerà,  Bruxelles  -  signora  Isabella  Errerà,  Bruxelles  -  prof.  Ermenegildo 
Estevan,   Roma  -  mons.  Michele  Faloci  Pulignani,  Foligno  -  dott.  Agostino  Ferrari,  Torino 

-  dott.  Gino  Fogolari,  Venezia  -  dott.  Lodovico  Frati,  Bologna  -  dott.  Ettore  Cabrici,  Palermo 

-  dott.  Giuseppe  Gerola,  Trento  -  I.  P.  Gilson,  Londra  -  prof.  Ignazio  Giorgi,  Roma  - 
conte  dott.  Umberto  Gnoli,  Perugia  -  mons.  Luigi  Gramatica,  Milano  -  prof.  G.  F. 
Hill,  Londra  -  rev.  P.  Antonio    Iglesias,  Roma  -  ditta    Lori,  Casale    Monferrato  -  prof. 


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PREFAZIONE 


D.  Vittorio  Lusini,  Siena  -  conte  dolt.  Piancesco  Malaguzzi  Valeri,  Bologna  -  prof. 
Lucio  Mariani,  Roma  -  mons.  clott.  Giovanni  Mercati,  Roma  -  rev.  D.  Giovanni  Mesini, 
Ravenna  -  prof.  Augusto  Michol,  Bruxelles  -  prof.  Maurizio  Mignon,  Roma  -  prof.  Umberto 
Moricca,  Roma  -  dott.  Antonio  Munoz,  Roma  -  prof.  Santi  Muratori,  Ravenna  -  avv. 
Francesco  Negri,  Casale  Monferrato  -  ing.  Vittorio  Novarese,  Roma  -  prof.  Luigi  Ongaro, 
Vicenza  -  ing.  Max  Ongaro,  Venezia  -  dott.  Paolo  Orsi,  Siracusa  -  dott.  Guglielmo 
Pacchioni,  Mantova  -  rev.  D.  Alberico  Pagnani,  Roma  -  dott.  Franz  Pellati,  Roma  -  sig. 
Vincenzo  Perazzo,  Bologna  -  dott.  Carlo  Piancastelli,  Fusignano  -  prof.  Pietro  Piccirilli, 
Sulmona  -  -  dott.  Giovanni  Poggi,  Firenze  -  comm.  Guido  Rey,  Torino  -  prof.  Luigi 
Rizzoli,  Padova  -  S.  E.  Rennell  Rodd,  Roma  -  sig.  Guido  Romizi,  Milano  -  prof. 
Vittorio  Rossi,  Roma  -  sig.  Pompeo  Sansaini,  Roma  -  ing.  Salvatore  Sciutto  Patti,  Catania 

-  prof.  Luigi  Serra,  Urbino  -  dott.  Lino  Sighinolfì,  Bologna  -  dott.  Antonio  Taramelli, 
Cagliari  -  aich.  Alberto  Terenzio,  Genova  -  dott.  Paolo  Maria  Tua,  Bassano  -  sig. 
G.  B.  Unteiweger,  Trento   -  prof.  Adolfo  Venturi,  Roma   -  dott.  Carlo  Vicenzi,   Milano 

-  sig.  Guglielmo  Vivaldi,  Firenze.  —  Più  d'ogni  altro  s'adoperò  per  la  illustrazione  di 
questo  libro  il  cav.  Carlo  Carboni,  direttore  del  R.  Gabinetto  fotografico  di  Roma. 


?% 


'  ^X    ^ 


Giglio  fiorentino.  -  (Firenze,  Palazzo  Felloni). 


Aulirli.  -  I  Pomposa,  S,  Maria). 


.S4Ì.   i  V.^.-^ 


INDICE  GENERALE 


Prefazione Pacj.  V 

Inferno „  1 

Purgatorio „  361 

Paradiso „  705 

Indice  delle  illustrazioni „  1047 

Indice  illustrativo  dei  singoli  canti  della  "  Commedia  „   .       .       .  „  1079 

Indice  dei  nomi ,  1095 


INFERNO 


Hoviiu-  (li    Tniid  r   {ì'Ilioii  siin   rocc;!. 


CANTO  I. 


La  falsa  via.     Nel  mezzo  del  cammin  di  nostra  vita 
mi  ritrovai  per  una  selva  oscura, 
che  la  diritta  via  era  smarrita. 

E  quanto  a  dir  qual  era  è  cosa  dura 
questa  selva   selvaggia  ed  aspra  e  forte 
che  nel  pensier  rmnova  la  paura  ! 

Tanto  è  amara,  che  poco  è  più  morte  ; 
ma  per  trattar  del  ben  eh  io  vi  trovai, 
dirò  dell  altre  cose  eh  io  v  ho  scorte. 


I    non  so  ben  ridir  com  io  v  entrai, 

tant'  era  pien  di  sonno  in  su  quel  punto 
che  la  verace  via  abbandonai. 


10 


INFERNO 


Il  dilettoso     Ma   poi   eh  IO   fui  al   pie   d' un   colle   giunto, 

monte.  1^       i  il  li 

la   dove   terminava   quella   valle 

che  m  avea  di  paura  il  cor  compunto, 

guardai  in  alto,  e  vidi  le  sue  spalle 
vestite  già  de   raggi  del   pianeta, 
che  mena  dritto  altrui  per  ogni  calle. 

Allor  fu  la  paura  un  poco  queta, 
che   nel   lago   del  cor   m  era   durata 
la  notte,  eh  io  passai  con  tanta  pietà. 

E  come  quei  che  con  lena  affannata 
uscito  fuor  del  pelago  alla  riva, 
si  volge  ali  acqua  perigliosa,  e  guata; 


13 


16 


19 


oo 


cosi  1  animo  mio,   che  ancor  fuggiva,  25 

si  volse  indietro  a  rimirar  lo  passo 
che  non  lasciò  giammai  persona  viva. 

La  piaggia    Poi  ch  èi  posato  un  poco  il  corpo  lasso,  28 

diserta.  .  .       .  ,  .         .        ,. 

ripresi  via  per  la  piaggia  diserta, 

si  che  il  pie  fermo  sempre  era  il  più  basso. 


La  lonza.      Ed  ecco,  quasi  al  cominciar  dell  erta, 
una  lonza  leggiera  e  presta  molto, 
che  di  pel  maculato  era  coperta; 

e  non  mi  si  partia  d  innanzi  al  volto; 
anzi  impediva  tanto  il  mio  cammino, 
eh'  io  fui  per  ritornar  più  volte  vòlto. 


31 


34 


CAN  IO   1. 


T(Mnjio   (Ma   dal   princij^io  (1(^1   mattino,  37 

e  il   sol   montava    in   su   con   qu<ll('   stelle 
eli  Clan   con   lui,   quando   I  amor   divino 

mosse  da   prima  qu(^lle  cose  belle  ;  4u 

si  che  a   bene  s{)(Mar  m  era   cagione, 
di  quella   fera  alla  gaietta  pelle, 


Lonza,  d'Auiliea  di   Boiiaiulo  (sec.  xiv). 
(Pisa,  Camposanto). 


Il    1 


eone. 


1  ora  del  tempo  e  la  dolce  stagione  ; 
ma  non  si,  che  paura  non  mi  desse 
la  vista,  che  mi  apparve,  d  un  leone 

—  questi  parca  che  contra  me  venesse 
con  la  test  alta  e  con  rabbiosa  fame, 
si  che  parca  che  1  aer  ne  tremesse  -^ 


43 


46 


INFERNO 


Leone,  fuso  nel  1281. 


(Perugia,  Pai.  Pubi.). 


La  lupa. 


e  d  una  lupa,  che  di  tutte  brame 
sembiava  carca  nella  sua  magrezza, 
e  molte  genti  fé   già  viver  grame  : 


49 


questa  mi  porse  tanto  di  gravezza 
con  la  paura  che  uscia  di  sua  vista, 
ch'io  perdei  la  speranza  dell'altezza. 


OJ. 


Lupa  (sec.  xiv). 


(Siena,  Palazzo  Publico). 


CAN  ro  1. 


E  quale  è  quei,   clic   volciilicri   acquista,  rif) 

e   giugno  I    l(^rn[K)   c\\c   perdei    lo   face, 
che   in   lull'i   suoi   [xmìskm    piango  e   sallrisla; 

tal  mi  fece  la   bestia   senza   pace,  58 

che,  venendomi  incontro,  a  poco  a   poco 
mi  ripingeva  là  dove  il   sol   tace. 

Virgilio.        Mentre  eh  io  minava  in  basso  loco,  6i 

dinanzi  agli  occhi  mi  si  fu   offerto 
chi  per  lungo  silenzio  parea  fioco. 

Quando  vidi  costui  nel  gran  diserto,  64 

"  Misererò  di  me,  "    gridai  a   lui, 
"  qual  che  tu  sii,  od  ombra  od  uomo  certo  !  " 

Risposemi:    "  Non  uom,  uomo  già  fui,  67 

e  11  parenti  miei  furon  lombardi, 
e  mantovani  per  patria  ambedui. 

Nacqui    "  sub  Julio  ",  ancor  che  fosse  tardi,  70 

e  VISSI  a   Roma   sotto  il   buon   Augusto 
al  tempo  degli  dèi  falsi  e  bugiardi. 

Poeta  fui,  e  cantai  di  quel  giusto  73 

fìgliuol  d  Anchise  che  venne  da  Troia, 
poi  che  il  superbo  Ilion  fu  combusto. 

Ma  tu  perché  ritorni  a  tanta  noia  ?  76 

Perché  non  sali  il  dilettoso  monte, 
eh  è  principio  e  cagion  di  tutta  gioia?  " 


8 


INFERNO 


"  Or   se    tu  quel   Virgilio,   e  quella   fonte 
che   spande  di   parlar  si   largo   fiume?  " 
risposi  lui  con  vergognosa  fronte. 


79 


Roniit,  di  Taddeo  Barloli  (sec.  xiv). 
(Siena,  Palazzo  Publico). 


"  O  degli  altri  poeti  onore  e  lume, 

vagliami   1  lungo  studio  e  il  grande  amore 
che  m' ha  fatto  cercar  lo  tuo  volume. 


82 


Virgilio  (1220-1227).  -  (Mantova,  Piazza  del  Broletto). 


CANTO   I. 


Il 


soccorso. 


Fu   se    lo   mio   maestro   e   il    mio  autore; 
tu   S(^    solo   colui,    (la    (  ui    io   tolsi 
lo   bello   stile   che   in  ha   fallo   onore. 


«r. 


'  ■  fVLIVS 


{CEtW\- 


VIANVS-i 


:4a 


Giulio  Cesare. 


Augusto. 


Dal  libro  di  Giusto  de'  Menabuoi  (sec.  xiv). 
(Roma,  Galleria  Corsini). 


Vedi  la  bestia,  per  cui  io  mi  volsi. 
Aiutami  da  lei,  famoso  saggio, 
eh  ella  mi  fa  tremar  le  vene  e  i  polsi. 


88 


"  A  te  convien  tenere  altro  viaggio,  " 
rispose,  poi  che  lagrimar  mi  vide, 
"  se  vuoi  campar  d' esto  loco  selvaggio  ; 


91 


10  INFERNO 


che  questa   bestia,   per  la   qual   tu   gride,  !>i 

non   lascia   altrui  passar  per  la   sua  via, 
ma   tanto  lo  impedisce  che  l' uccide  ; 

ed  ha  natura  si  malvagia  e  ria,  ^7 

che  mai  non  empie  la  bramosa  voglia, 
e   dopo   il   pasto   ha   più   fame   che   pria. 

Profezia  Molti  son  gli  animali  a  cui  s  ammoglia,  mo 

del  Veltro.  •  •  •    C         L      'I         U 

e  più  saranno  ancora,  intin  che   1  veltro 
verrà,  che  la  farà  morir  con  doglia. 

Questi  non  ciberà  terra  né  peltro,  i<i3 

ma  sapienza  e  amore  e  virtute, 
e  sua  nazion  sarà  tra  feltro  e  feltro. 

Di  quell'umile  Italia  fìa  salute,  lue 

per  CUI  mori  la  vergine  Camilla, 
Eurialo  e  Turno  e  Niso  di  ferute. 

Questi  la  caccerà  per  ogni  villa,  loo 

fin  che  1  avrà  rimessa  nello  inferno, 
là  onde  invidia  prima  dipartilla. 

La  via  vera.       Ond  io  per  lo  tuo  me   penso  e  discerno,  it2 

che  tu  mi  segui  ;   ed  io  sarò  tua  guida, 
e  trarrotti  di  qui  per  loco  eterno, 

ove  udirai  le  disperate  strida,  iis 

vedrai  gli  antichi  spinti  dolenti, 
che  la  seconda  morte  ciascun  grida  ; 


CAN  re;  I. 


e    poi    vedrai    color,    c\\v   son    (onlciili  ll« 

nel   fuoco,    perché   s|)cran   di    venire, 
quando   che   sia,   alle   beale   genti  : 

alle  qua    poi  se  tu  vorrai   salire,  l'^i 

anima   fia  a  ciò  di   me  più   degna: 
con   lei  ti   lascerò  nel   mio  partire  ; 

che  quello   Imperador  che  lassù  regna,  l'-^t 

perch'  io  fui  ribellante  alla  sua  legge, 
non  vuol  che  in  sua  città   per  me  si  vegna. 

In  tutte  parti  impera,  e  quivi  regge;  ii7 

quivi  è  la  sua  città  e  1  alto  seggio  : 
o  felice  colui,  cui  ivi  elegge!  " 

Ed  io  a  lui:    "  Poeta,  io  ti  richieggio  I3u 

per  quello   Dio  che  tu  non  conoscesti, 
a  ciò  eh'  io  fugga  questo  male  e  peggio, 

che  tu  mi  meni  là  dov  or  dicesti,  133 

si  eh  IO  veggia  la  porta  di  san  Pietro, 
e  color  che  tu  fai  cotanto  mesti.  " 

Allor  si  mosse,  ed  io  gli  tenni  dietro.  13G 


Ixoina,  (lilla  Scui>la  (k-i  Glilrlaiulalo 


(Escoriai  in  Ispagnu.  liibliulcca). 


CANTO  II. 


I 


nvocazione 
poetica. 


Lo  giorno  se  n  andava,  e  1  aer  bruno 
toglieva  gli  animai,  che  sono  in  terra, 
dalle  fatiche  loro:   ed  io  sol  uno 

m  apparecchiava  a  sostener  la  guerra 
si  del  cammino  e  si  della  pietate, 
che  ritrarrà  la  mente  che  non  erra. 

O  Muse,  o  alto  ingegno,  or  m'aiutate; 
o  mente,  che  scrivesti  ciò  eh  io  vidi, 
qui  si  parrà  la  tua  nobilitate. 

Io  cominciai:    "  Poeta  che  mi  guidi, 
guarda  la  mia  virtù,  s'ella  è  possente, 
prima  che  ali  alto  passo  tu  mi  fidi. 


10 


14 


INFERNO 


Tu   dici,   che   di   Silvio   lo   parente,  13 

corruttibile  ancora,   ad   immortale 
secolo  andò,  e  fu  sensibilmente. 

Però  se  1  avversano  d  ogni  male  16 

cortese  i  fu,   pensando  1  alto  effetto 
che  uscir  dovea  di  lui,   e  il  chi  e  il  quale, 


i 


San  Paolo  e  san   l'iclni  (secolo   in). 
(.Valicano,  Museo  Sacro). 


non  pare   indegno  ad  uomo  d  intelletto  ; 
eh  ei  fu  dell  alma  Roma  e  di  suo  impero 
nell'empireo  ciel  per  padre  eletto: 

la  quale  e  il  quale,  a  voler  dir  lo  vero, 
fur  stabiliti  per  lo  loco  santo, 
u   siede  il  successor  del  maggior  Piero. 


19 


99 


CANTO   II. 


n 


Per  questa   andata,   onde   gli   dai   tu   vanto, 
intenso  cos(\   clic   fuion   cagione 
di   sua   vittoria   e   del    papale   ammanto. 


lùìiui,  dariibro  di  Giusto  de'  Menabuoi. 
(Roma,  Galleria  (".orsini). 


Sgomento. 


Andovvi  poi  lo  Vas  d'elezione, 

per  recarne  conforto  a  quella  fede, 
eh  è  principio  alla  via  di  salvazione. 

Ma  io  perché  venirvi?  o  chi  l  concede? 
Io  non   Enea,  io  non  Paolo  sono  ; 
me  degno  a  ciò  né  io  né  altri  crede. 


28 


31 


16  INFERNO 


Per  che,  se  del  venire  io  m  abbandono,  34 

temo  che  la  venuta  non  sia  folle  : 
se   savio,  e  intendi  me   eh  io  non  ragiono. 


Il 


E  quale  è  quei,  che  disvuol  ciò  che  volle,  37 

e  per  nuovi   pensier  cangia  proposta, 
si  che  dal  cominciar  tutto  si  lolle  ; 

tal  mi  fec  io  in  quella  oscura  costa;  4o 

perché,  pensando,  consumai  la  impresa, 
che  fu  nel  cominciar  cotanto  tosta. 

"  Se  io  ho  ben  la  tua  parola  intesa  "  43 

rispose   del   magnanimo  quell  ombra, 
"  l'anima  tua  è  da  viltate  offesa, 

la  qual  molte  fiate  1  uomo  ingombra,  46 

si  che  d  onrata  impresa  lo  rivolve, 
come  falso  veder  bestia,  quand  ombra. 

Conforto.         Da  questa  tema  acciò  che  tu  ti  solve,  49 

dirotti  perch  io  venni,   e  quel  che  intesi 
nel  primo  punto  che  di  te  mi  dolve. 

Io  era  tra  color  che  son  sospesi,  52 

e  donna  mi  chiamò  beata  e  bella, 
tal  che  di  comandare  io  la  richiesi. 

Beatrice.  Lucevan  gli  occhi  suoi  più  che  la  stella  ;  55 

e  cominciommi  a  dir  soave  e  piana, 
con  angelica  voce,  in  sua  favella  : 


S.   Pietro.  -  (Roma,  Grotte  Valicane). 


CANTO   II.  17 


'  O   anima   coilcsc'   manlovaiia,  •'>** 

di  cui   la   fama  ancor  nel   mondo  dura, 
e  durerà,   quanto   il   mondo,   lontana  ; 

l'amico  mio,   e  non  della  ventura,  fii 

nella   diserta   piaggia   è  impedito 
si  nel  cammin,  che  vòlto  è  per  paura; 


fi4 


e   temo  che  non  sia  già  si  smarrito, 
ch'io  mi   sia   tardi  al  soccorso  levata, 
per  quel  eh'  io  ho  di  lui  nel  cielo  udito. 


Or  muovi,  e  con  la   tua  parola  ornata,  67 

e  con  ciò  e' ha  mestieri  al  suo  campare, 
l'aiuta  si  eh  io  ne  sia  consolata. 

Io  son  Beatrice,   che  ti  faccio  andare:  70 

vegno  di  loco,  ove  tornar  disio  : 
amor  mi  mosse,  che  mi  fa  parlare. 

Quando  sarò  dinanzi  al  Signor  mio,  73 

di  te  mi  loderò  sovente  a  lui.  ' 
Tacette  allora,  e  poi  comincia   io  : 

'  O  donna  di  virtù,  sola  per  cui  76 

l'umana  spezie  eccede  ogni  contento 
da  quel  ciel  che  ha  minor  li  cerchi  sui: 

tanto  m'aggrada  il  tuo  comandamento  79 

che  l'ubbidir,  se  già  fosse,   m'è  tardi; 
più  non  t'è  uopo  aprirmi  il  tuo  talento. 


18  INFERNO 


Ma   dimmi   la   cagion,   che   non   ti   guardi  s'i 

dallo   scender   qua   giuso,   in   questo   centro, 
dall  ampio  loco,   ove  tornar  tu  ardi.  ' 

Protezione  '  Da   che   tu   VUOI   Saper   cotanto  addentro,  sr) 

divina.  i-         •    i  I         •      • 

dirotti   brevemente,      mi  rispose, 

'  perch  io  non  temo  di  venir  qua  entro. 

Temer  si  dee  di  sole  quelle  cose,  88 

e  hanno  potenza  di  fare  altrui  male; 
dell  altre  no,   che  non  son  paurose. 

Io   son   fatta   da   Dio,   sua   mercé,   tale,  91 

che   la  vostra   miseria   non   mi   tange, 
né  fiamma  d  esto  incendio  non  m  assale. 

Donna  è  gentil  nel  ciel,   che  si  compiange  94 

di  questo  impedimento,   ov  io  ti  mando, 
si  che  duro  giudicio  là  su  frange. 

Lucia.  Questa  chiese  Lucia  m  suo  domando,  97 

e  disse  :    '  Ora  ha  bisogno  il  tuo  fedele 
di  te,  ed  io  a  te  lo  raccomando.  ' 

Rachele.  Lucia,  nimica  di  ciascun  crudele,  if^f^t 

SI  mosse,  e  venne  al  loco  dov  io  era, 
che  mi  sedea  con  1  antica   Rachele: 

Disse  :   '  Beatrice,   loda  di  Dio  vera,  ina 

che   non   soccorri  quei  che   t  amò   tanto, 
che  uscio  per  te  della  volgare  schiera? 


CAN KJ   II 


19 


lAicia,  (li  Pietro  Lorenzclti. 
(Firenze,  Chiesa  di   Santa   Lucia   Ira  le   Uo\inale). 


Non  odi  tu  la  pièta  del  suo  pianto, 
non  vedi  tu  la  morte  che  il  combatte 
su  la  fiumana,  ove  il  mar  non  ha  vanto  ?  ' 


106 


Al  mondo  non  fur  mai  persone  ratte 
a  far  lor  prò,   né  a  fuggir  lor  danno, 
com'  io,  dopo  cotai  parole  fatte  ; 


109 


20  INFERNO 


venni   qua   giù   dal   mio   beato   scanno,  112 

fidandomi  nel  tuo  parlare  onesto, 
che  onora   te  e  quei  che   udito  l' hanno.  ' 

Poscia   che   m  ebbe   ragionato  questo,  115 

gli   occhi   lucenti   lagrimando  volse; 
per  che  mi  fece  del  venir  più  presto. 

E  venni  a  te  cosi,  com  ella  volse;  118 

dinanzi  a  quella  fiera  ti  levai, 
che  del  bel  monte  il  corto  andar  ti  tolse. 

Dunque  che  è?  perché,   perché  ristai?  121 

perché  tanta  viltà  nel  core  allette? 
perché  ardire  e  franchezza  non  hai, 

Le  tre  donne    poscia  che  tal  tre  donne  benedette  124 

curan  di  te  nella  corte  del  cielo, 
e  il  mio  parlar  tanto  ben  t'impromette?  " 

Quale  i  fioretti,  dal  notturno  gelo  127 

chinati  e  chiusi,   poi  che  il  sol  gì  imbianca, 
si  drizzan  tutti  aperti  in  loro  stelo; 

tal  mi  fec  10  di  mia  virtude  stanca  ;  130 

e  tanto  buono  ardire  al  cor  mi  corse, 
eh'  10  cominciai,  come  persona  franca  : 

"  O  pietosa  colei  che  mi  soccorse,  133 

e  te  cortese,   eh  ubbidisti  tosto 
alle  vere  parole  che  ti  porse  ! 


CAN  re;  II, 


III    ni' liai   con   (Icsulciio   il   (or   disposto 
si   al   venir,   con   \c   parole   lue, 
eli  IO   son   tornalo   nel   primo   proposto. 


i:ì(i 


I  poeti  in 
cammino. 


Or  va,   che   un   sol   volere  è   d  ambedue 
tu   duca,   lu   signore   e   tu   maestro. 
Cosi   gli   dissi  :   e   f)oiché   mosso   fue. 


1  :v.) 


entrai  per  lo  cammino  alto  e  Silvestro. 


1  12 


Dante,  di  Benozzo. 


(Montel'alco,  San  Francesco). 


Sl'|U)ll'l(>     (il     ('.clfstilKI      \' 


(A(|ilil;i,    S.    M;iihi    (lì    (.()ll<'tii:i(<|{i<>)- 


CANTO  III. 


"  Per  me  si  va  nella  città  dolente, 
per  me  si  va  nell'eterno  dolore, 
per  me  si  va  tra  la  perduta   gente. 

Giustizia  mosse  il  mio  alto  fattore: 
fecemi  la  divina  potestate, 
la  somma  sapienza  e  il  primo  amore. 

Porta       Dinanzi  a  me  non  fur  cose  create, 

dell'  Inferno.  i     .  i 

se  non  eterne,  ed  io  eterno  duro. 
Lasciate  ogni  speranza,  voi  ch'entrate.  " 

Queste  parole  di  colore  oscuro 

vid  IO  scritte  al  sommo  d  una   porta  ; 
perch'io:    "  Maestro,  il  senso  lor  m'è  duro.  " 


10 


24  INFERNO 


Ed  egli  a  me,   come  persona  accorta:  i:^ 

"  Qui   SI   convien   lasciare   ogni   sospetto  ; 
ogni  viltà  convien  che  qui  sia   morta. 

Noi  siam  venuti  al   luogo  ov  io  t  ho  detto  ifi 

che  tu  vedrai  le  genti  dolorose 
e'  hanno  perduto  il  ben  dell  intelletto.  " 

E  poi  che  la  sua  mano  alla  mia  pose  i^ 

con  lieto  volto,   ond'  io  mi  confortai, 
mi  mise  dentro  alle  segrete  cose. 

Ignavi.  Quivi  sospiri,   pianti  ed  alti  guai  22 

risonavan  per  1  aer  senza  stelle, 
per  ch'io  al  cominciar  ne  lagrimai. 

Diverse  lingue,  orribili  favelle,  25 

parole  di  dolore,  accenti  d  ira, 
voci  alte  e  fioche  e  suon  di  man  con  elle 

facevano  un  tumulto,  il  qual  s  aggira  28 

sempre  in  quell  aria  senza  tempo  tinta, 
come  la  rena  quando  a  turbo  spira. 

Ed  io,   ch'avea  d'orror  la  testa  cinta,  3i 

dissi:    "  Maestro,  che  è  quel  eh  1    odo? 
e  che  gente,  che  par  nel  duol  si  vinta? 

Ed  egli  a  me:    "  Questo  misero  modo  34 

tengon   l'anime   triste  di  coloro, 
che  visser  senza  infamia  e  senza  lodo. 


C5 

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CANTO   MI.  25 


An^rli  IVIiscliialc   sono  a   (luci   cattivo   coro  :<7 

(\rij\i  angoli   che   non   fuioii   nhclli 
nò   fin    {cdc\ì   a    I^io,    ma    per   sé   foro. 

Cacciarli   i   ciel   per   non   (^sser   mcm   belli  ;  40 

né   lo   profondo  inferno   li   riceve, 
che  alcuna   gloria   i   rei   avrehber  d  elli. 

Ed  io:    "  Maestro,   che  è  tanto  greve  43 

a  lor,  che  lamentar  gli  fa  si  forte? 
Rispose  :    "  Dicerolti  molto  breve. 

Questi  non  hanno  speranza  di  morte,  46 

e  la  lor  cieca  vita  è  tanto  bassa, 
che  invidiosi  son  d  ogni  altra  sorte. 

Fama  di  loro  il  mondo  esser  non  lassa  ;  49 

misericordia  e  giustizia  li  sdegna  : 
non  ragioniam   di   lor,   ma   guarda   e   passa. 


I! 


Ed  io,  che  riguardai,   vidi  un'insegna,  52 

che,  girando,  correva  tanto  ratta, 
che  d' ogni  posa  mi   pareva  indegna  ; 

e  dietro  le  venia   si  lunga  tratta  55 

di  gente,  eh'  i'  non  avrei  mai  creduto, 
che  morte  tanta  n  avesse  disfatta. 

Celestino  V.     Poscia  ch'io  v'cbbi  alcun  riconosciuto,  58 

vidi  e  conobbi  l'ombra  di  colui 
che  fece  per  viltate  il  gran  rifiuto. 


26 


NFERNO 


Cflcslino   V  (afTresco  del  sec.  xiv). 
(Fremo  di  Celestino  V). 


Incontanente  intesi,   e  certo  fui, 
che  quest  era  la  setta  de   cattivi, 
a   Dio  spiacenti  ed  a   nemici  sui. 


61 


Questi  sciaurati,  che  mai  non  fur   vivi, 
erano  ignudi  e  stimolati  molto 
da  mosconi  e  da  vespe  eh  erano  ivi. 


fit 


CANIO   III 


27 


Lllc   ricavali    lor   di   sangue   il    vollo, 
dir,   inlscliialo   di   lai^rinic,   a    lor   |)i(;di 
da   fastidiosi   v(Mmi   era   ricollo. 


(•)7 


^J^^^^^-#' 


«*-  fm 


-«."<► 


L' lùcnio  di  Celestino   V 


E  poi  eh  a  riguardare  oltre  mi  diedi,  70 

vidi  gente  alla  riva  d  un  gran  fiume  ; 
perch'io  dissi:    "  Maestro,  or  mi  concedi 

eh  IO  sappia  quali   sono,   e  qual   costume  73 

le  fa  di  trapassar  parer  si  pronte. 


com'io  discerno  per 


lo  fioco  1 


oco  lume. 


28 


INFERNO 


Caruiìlf  trajiilla  uu'aaiiiia. 


(Ironia,   .Musco   Valicano). 


Ed  egli  a  me:    "  Le  cose  ti  fien  conte 
quando   noi   fermerem  li  nostri  passi 
su  la  trista  riviera  d  Acheronte.  " 


Allor  con  gli  occhi  vergognosi  e  bassi, 
temendo   no    1   mio   dir   gli  fusse   grave, 
infino  al  fiume  di  parlar  mi  trassi. 


79 


CAN  ICJ   111.  29 


Caionu-.  Lei    l'cco    vciso    iiol    vciiii    pel    iiavc  «'-i 

un   voccliio,   bianco   [km    anluo   pelo, 
giidaiiclo:    "Guai   a   voi,   aninu^   prave: 

AcluMonir.     non   isp(Mal('   mai   vccKm    lo   ciclo:  «•") 

i'  v(^i^no   per   nuMiarvi   ali  altra   riva 
nelle   tenebre  eterne,  in  caldo  e  in  gelo. 

E  tu,   che  se'  costi,   anima  viva,  88 

partiti   da   cotesti   che   son   morti.  " 
Ma  poi  ch'ei  vide  ch'io  non  mi  partiva, 

disse:    "  Per  altre  vie,   per  altri   porti  91 

verrai  a  piaggia,   non  qui,   per  passare  ; 
più  lieve  legno  convien  che  ti  porti.  " 

Volontà  di-     E  'I  duca  a  lui:    "  Caron,   non  ti  crucciare:  '.>i 

vuoisi  cosi  colà  dove  si  puote 
ciò  che  si  vuole,  e  più  non  dimandare. 


vina. 


!I 


Quinci  fùr  chete  le  lanose  gote  07 

al  nocchier  della  livida   palude, 
che  intorno  agli  occhi  avea  di  fiamme  rote. 

Ma  quell  anime,  eh  eran  lasse  e  nude,  loo 

cangiar  colore  e  dibatterò  i  denti, 
tosto  che  inteser  le  parole  crude. 

Bestemmiavano  Iddio  e  i  lor  parenti,  103 

l'umana  spezie,  il  luogo,  il  tempo  e  il  seme 
di  lor  semenza  e  di  lor  nascimenti. 


30  INFERNO 


Poi   SI   ritrasser   tutte  quante   insieme,  mo 

forte  piangendo,   alla  riva  malvagia, 
eh  attende  ciascun  uom  che   Dio  non  teme. 

Caron  dimonio  con  occhi  di  bragia,  luy 

loro  accennando,   tutte  le  raccoglie; 
batte  col  remo  qualunque   s  adagia. 

Come  d  autunno  si  levan  le  foglie  11*2 

1  una  appresso  dell  altra,   infìn  che  il  ramo 
vede  alla  terra  tutte  le  sue  spoglie  ; 

Mal  seme       similemente  il  mal  seme  d'Adamo  ii") 

^"^°'  gittansi  di  quel  lito  ad  una  ad  una, 

per  cenni,   com  augel  per  suo  richiamo. 

Cosi  sen  vanno  su  per  1  onda  bruna;  iis 

ed  avanti  che  sien  di  là  discese, 
anche  di  qua  nuova  schiera  s  aduna. 

"  Figliuol  mio,  "    disse  il  maestro  cortese,  121 

"  quelh  che  muoion  nell  ira  di  Dio, 
tutti  convegnon  qui  d  ogni  paese  ; 

e  pronti  sono  a  trapassar  lo  no,  124 

che  la  divina  giustizia  li  sprona 
si  che  la  tema  si  volge  in  disio. 

Quinci  non  passa  mai  anima  buona  ;  127 

e  però,   se  Caron  di  te  si  lagna, 
ben  puoi  saper  ornai  che  il  suo  dir  suona.  " 


CANTO    MI 


U 


TeneiiioU). 


Finito   questo,   la   hiiia   (auipa^iia 
Iremo   si    folle,    clu-   dello   spavento 
la   niente   eli   sudore  ancor   mi   ha^na. 


13(» 


Deliquio 
di   Dante. 


La   terra   lagnmosa  died(^  vento, 
che  balenò   una   luce  vermiglia, 
la   qual   mi   vinse   ciascun   sentimento; 


iddi 


!• 


e  caddi  come  1  uom  cui  sonno  pigna 


ielic 


1:^3 


136 


Inferno,   di   Xicola   Pisano. 


(Siena,  Duomo). 


('.risiti  (il   ì.ilìilu),   (rAiidrc;!   di    lìonaiiilu  (scc.    \\\). 


(l-iicn/c,  S.  Maria  Xovclla). 


CANTO  IV. 


Valle 
infernale. 


Ruppemi  1  alto  sonno  nella  testa 

un  greve  tuono,   si  eh  io  mi  riscossi, 
come  persona  che  per  forza  è  desta  ; 

e  l'occhio  riposato  intorno  mossi, 
dritto  levato,   e  fiso  riguardai 
per  conoscer  lo  loco  dov  io  fossi. 

Vero  è  che  in  su  la  proda  mi  trovai 
della  valle  d  abisso  dolorosa, 
che  tuono  accoglie  d'infiniti  guai. 

Oscura,   profond  era  e  nebulosa 

tanto,  che,   per  ficcar  lo  viso  al  fondo, 
10  non  vi  discerneva  alcuna  cosa. 


10 


34 


INFERNO 


"  Or  discendiam  qua   giù   nel   cieco   mondo,  "         13 
cominciò  il   poeta   tutto  smorto. 
"  Io  sarò  primo,  e  tu  sarai  secondo.  " 


Ed  IO,  che  del  color  mi  fui  accorto,  16 

II 


dissi  :    "  Come  verrò,   se  tu  paventi. 


ctie  suo 


li  al 


mio 


dubb 


lare  esser  con 


forto  ? 


Pietà 
e  téma. 


Primo  cer- 
chio. 


Limbo. 


Ed  egli  a  me:  "  L  angoscia  delle  genti 
che  son  qua  giù,  nel  viso  mi  dipigne 
quella  pietà,   che  tu  per  téma  senti. 

Andiam,  che  la  via  lunga  ne  sospigne.  " 
Cosi  si  mise,  e  cosi  mi  fé   entrare 
nel  primo  cerchio  che  1  abisso  cigne. 

Quivi,  secondo  che  per  ascoltare, 
non  avea   pianto   ma    che   di  sospiri, 
che  1  aura  eterna  facevan  tremare. 


19 


22 


25 


Innocenti.        Ciò  awenia  di  duol  senza  martiri,  28 

ch*avean  le  turbe,   ch'eran  molte  e  grandi, 
e  d'infanti  e  di  femmine  e  di  viri. 


Lo  buon  maestro  a  me:    "  Tu  non  dimandi 
che  spinti  son  questi  che  tu  vedi  ? 
Or  vo'  che  sappi,   innanzi  che  più  andi, 

ch'ei  non  peccaro  ;   e,   s  elh  hanno  mercedi, 
non  basta,   perché  non  ebber  battesmo, 
eh' è  parte  della  fede  che  tu  credi. 


31 


34 


CAN  lU   IV.  35 


E   se   fuion   dinan/.i   al   crisliancsmo,  37 

non   adorar   (h^hilamciiU*   Dio  ; 
e  di  questi  colai   son   io   medcsmo. 

r 

Per  lai  difelli,   non   per  altro  no,  40 

senio   perduti,   e   sol   di   tanto  offesi, 
che  senza  speme  vivemo  in  disio.  " 

Gran  duol   mi   prese  al  cor,  quando  lo  intesi,        v.^ 
però  che  gente  di  molto  valore 
conobbi  che  in  quel  limbo  eran  sospesi. 

"  Dimmi,   maestro  mio,  dimmi,  signore,  "  46 

comincia   io  per  voler  esser  certo 
di  quella  fede  che  vince  ogni  errore  ; 

"  uscicci  mai  alcuno,   o  per  suo  merlo,  49 

o  per  altrui,  che  poi  fosse  beato?  " 
E  quei,  che  intese  il  mio  parlar  coverto. 

Discesa  di       rispose  :    "  Io   era   nuovo  in  questo  stato,  52 

Cristo  al  ,  .       .  ,. 

Limbo.  quando  ci  vidi  venire  un  possente, 

con  segno  di  vittoria  coronato. 

Trasseci  1  ombra  del  primo  parente,  55 

d  Abel  suo  figlio,  e  quella  di  Noè, 
di  Moisè  legista,  e  l'ubbidiente 

Abraàm  patriarca,  e   David  re,  58 

Israel  con  lo  padre  e  co'  suoi  nati, 
e  con  Rachele  per  cui  tanto  fa  , 


36 


NFKRNO 


ed   altri   molti  ;   e   feceli   beati  : 

e  vo   che  sappi  che,   dinanzi  ad  essi, 
spinti  umani  non  eran  salvati.  " 

Non  lasciavam  1  andar,   perch  e   dicessi, 
ma  passavam  la  selva  tuttavia, 
la  selva,  dico,  di  spinti  spessi. 


GÌ 


04 


Abramo  ed  Euclide,  d' Andrea  di  Bonaiulo  (sec.  xiv). 
(Fiiciizc,  S.   Maria   Novella). 


Il  fu 


oco. 


Non  era  lunga  ancor  la  nostra  via  67 

di  qua  dal  sommo,  quando  vidi  un  foco, 
eh  emisperio  di  tenebre  vincia. 

Di  lungi  V  eravamo  ancora  un  poco,  7u 

ma  non  si  eh  io  non  discernessi  in  parte, 
che  onrevol  gente  possedea  quel  loco. 


CAN  IO   IV.  37 


"  O   111,   clic   onori   oj^iu   scun/.a   tei   ailc,  ^'^ 

qiicsli   tlìi   son,   e  lianno   colaiila    oiiianza, 
che  dal   modo  degli  allri  li  diparte  ?  " 

E  quegli   a   me  :    "  L  ornala   nominanza,  7(. 

che  di  lor  suona  su   nella   lua  vita, 
grazia  acquista  nel  ciel,  che  si  gli  avanza.  " 

I  poeti  sommi.     Intanto  voce  fu  per  me  udita  :  7i) 

"  Onorate  1  altissimo  poeta  ! 
L'ombra  sua   torna,  ch'era  dipartita.  " 

Poi  che  la  voce  fu  restata  e  queta,  82 

vidi  quattro  grand  ombre  a  noi  venire  ; 
sembianza  avevan  né  trista  né  lieta. 

Lo  buon  maestro  cominciò  a  dire  :  85 

"  Mira  colui  con  quella  spada  m  mano, 
che  vien  dinanzi  a'  tre  si  come  sire  ! 

Quegli  è   Omero   poeta   sovrano;  88 

l'altro  è  Orazio  satiro,  che  viene; 
Ovidio  è  il  terzo,  e  l'ultimo  Lucano. 

Però  che  ciascun  meco  si  conviene  9i 

nel  nome  che  sonò  la  voce  sola, 
fannomi  onore,  e  di  ciò  fanno  bene. 


Il 


Cosi  vidi  adunar  la   bella   scuola  94 

di  quel  signor  dell  altissimo  canto, 
che  sovra  gh  altri,  com  aquila,  vola. 


38  INFERNO 


Da  eh  ebber  ragionato  insieme  alquanto,  97 

volsersi   a   me   con   salutevol   cenno; 
e  il  mio  maestro  sorrise  di  tanto. 

E  più   d  onore  ancora   assai   mi   fenno  ;  ino 

eh  esser  mi  feeer  della  loro  schiera, 
si  eh  io  fui  sesto  tra  cotanto  senno. 

Cosi  n  andammo  insino  alla  lumiera,  los 

parlando  cose  che  il  tacere  è  bello, 
si  com  era  il  parlar  colà  dov  era. 

Castello  del         Venimmo  al  pie  d  un  nobile  castello,  106 

™  °'  sette  volte   cerchiato  d  alte  mura, 

difeso  intorno  da  un  bel  fìumicello. 

Questo  passammo,  come  terra  dura  ;  109 

per  sette  porte  entrai  con  questi  savi; 
giugnemmo  in  prato  di  fresca  verdura. 

Genti  V  eran  con  occhi  tardi  e  gravi,  112 

di  grand  autorità  ne   lor  sembianti; 
parlavan  rado,  con  voci  soavi. 

Traemmoci  cosi  dall  un  de  canti,  iis 

in  loco  aperto,  luminoso  ed  alto, 
si  che  veder  si  potean  tutti  quanti. 

Spinti  ma-  Colà  diritto,  sopra  il  verde  smalto,  iis 

gni,  .   -  ..... 

mi  tur  mostrati  gli  spirti  magni, 

che  del  vederli  in  me  stesso  n  esalto. 


CANTO   IV. 


39 


Io  vidi   FJctlia   con   molti   compagni, 
tra    qiiai   conohhi    ImIoic   ed    Lnea, 
Cesare  armato  con   gli   occhi   grifagni. 


iji 


Ettore. 


PAITA    ;4i||«' eiLfcA-:.-  I 


à- 


^• 


l^'F^^ypocb-féi 'TPE  - 


Penlisilea. 


Ual  libro  di  Giusto  de'  Meuabuoi  (sec.  xiv). 
(Roma,  Galleria  Corsini). 


Vidi  Camilla  e  la  Pentesilea 

dall  altra  parte,   e  vidi  il  re  Latino, 
che  con  Lavina  sua  figlia  sedea. 

Vidi  quel  Bruto  che  cacciò  Tarquino, 
Lucrezia,  lulia,  Marzia  e  Corniglia  ; 
e  solo  in  parte  vidi  il  Saladino. 


124 


12' 


40 


INFERNO 


Poi  che  inalzai   un   poco  più   le  ciglia, 
vidi   il   maestro  di   color   che  sanno 
seder  tra  filosofica  famiglia. 


Hf) 


Il  /•('  Lutino  clic  (là  in  isposa  Lavinia  ad  Enea  (niinìaliira  lìvì  scc.  xiv). 

(Roma,  Biblioteca  Chigiana). 


Liirreziti  v  la  cacciata  di  ir   Tan/iiino  (miniatura  del  scc.  xiv). 
(Uoma,   HihlioU'ca   (Ihigiana). 


Filosofi. 


Tutti  1  ammiran,   tutti  onor  gli  fanno:  133 

quivi  vid  io  e  Socrate  e  Platone, 
che  innanzi  agli  altri  più  presso  gli  stanno  ; 

Democrito  che  il  mondo  a  caso  pone,  i3fi 

Diogenès,  Anassagora  e  Tale, 
Empedoclès,   Erachto  e  Zenone; 


.U- 


-L l     II     IL 


■T'*'  "»" 


n=r-  — -  ^ — -LL- — ::  — ^- 
'  '  HnfVon  tkevY  pulìén  r  : 


Aristotile,  Platone,  Socrate  e  Seneca,  miniatura  del  1355. 
(Dalla  Canzone  delle   Virtù  e  delle  Scienze). 


CAN  IO   IV. 


41 


e  vidi   il   l)Uon  accoglilo!    del  quale, 
Dioscoiidc   dico;   v   vidi   Orfeo, 
e  Tullio   e   Lino   e  Seneca   morale. 


i:{'.i 


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v.;   •r-^-^- 


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«^^ 


.1-*    .J^x_«.if'^>^-;^.'«i^  s."' 


Il  Saladino,  dal  liliro  di  Giuslo  de'  Menabuoi  (sec.  xiv). 
(Roma.   Galleria   Corsini). 


Euclide  geometra  e  Tolomeo, 
Ippocrate,  Avicenna  e  Galieno, 
Averrois,  che  il  gran  comento  feo. 


142 


Io  non  posso  ritrar  di  tutti  appieno, 
però  che  si  mi  caccia  il  lungo  tema, 
che  molte  volte  al  fatto  il  dir  vien  meno. 


145 


42 


INFERNO 


> 


•è  i 


-3    __. 

■-  5 


u 


t/3 


CANTO   IV 


4i 


La   sesta   conipaj^iiia   ni   due  si   scema; 
{)cr   altra    via    mi    mena    il   savio   duca, 
fuor   della   queta,   ncll  aura   die   trema; 


Ì\H 


e  vengo  in  parte,   ove  non  è  che  luca.  151 


Tolomeo,  di  Andrea  Pisano. 
(Firenze  -  Campanile  dc-1   Duomo). 


l'^oce  tlcl  l'o. 


CANTO  V. 


Secondo 
cerchio. 


M 


mosse. 


Cosi  discesi  del  cerchio  primaio 

giù  nel  secondo,  che  men  loco  cinghia, 
e  tanto  più  dolor,   che  pugne  a  guaio. 

Stavvi  Minos  orribilmente  e  ringhia  ; 
esamina   le   colpe   nell  entrata, 
giudica  e  manda,  secondo  che  avvinghia. 

Dico  che  quando  1  anima  mal  nata 
gli  vien  dinanzi,   tutta  si  confessa; 
e  quel  conoscitor  delle  peccata 

vede  qual  loco  d  inferno  è  da  essa: 
cignesi  con  la  coda  tante  volte 
quantunque  gradi  vuol  che  giù  sia  messa. 


10 


46 


INFERNO 


li  Olì  milriaco 

donde  forse  deriva  l'idea  del  Minos  dantesco. 

(Roma,  Villa  Albani). 


Pena  d'una  liissurivsa,  del  sec.  xu. 
(Alba  Fuccnsc). 


Sempre  dinanzi  a  lui  ne  stanno  molte: 
vanno  a  vicenda  ciascuna  al  giudizio; 
dicono  e  odono,  e  poi  son  giù  volte. 


13 


"  O  tu,  che  vieni  al  doloroso  ospizio,  " 
disse  Minos  a  me,  quando  mi  vide, 
lasciando  l'atto  di  cotanto  ufizio  ; 


16 


CAN  IO   V. 


47 


Volontà   di- 
vina. 


"guarda   (oincnlii,   v  di   cui   tu   ti   fide:  !•• 

non   r  incanni   I  ampiezza   dell  cnlrarc.  " 
E  il   duca   mio  a   lui:    "  Perché   pur   ^ride? 

Non   impedir   lo  suo   fatale   andare  :  22 

vuoisi  cosi  colà,  dove  si  puote 
ciò  che  SI  vuole,  e  più  non  dimandare.  " 


Pena  d'una  liissiiriosd.  da  un  alì'rcsco  del  sec.  xiv. 
(Campocliiesc  presso  Alhenga    -    Chiesa  di  S.  Giorgio). 


.ussuiiosi.       Ora  incomincian  le  dolenti  note  25 

a   farmisi   sentire  ;   or   son  venuto 
là  dove  molto  pianto  mi  percote. 

Io  venni  in  loco  d'ogni  luce  muto,  28 

che  mugghia   come  fa  mar  per  tempesta, 
se  da  contrari  venti  è  combattuto. 


La  bufera 
infernale. 


La  bufera  infernal,   che  mai  non  resta, 
mena  gli  spirti  con  la  sua  rapina  ; 
voltando  e  percotendo  li  molesta. 


31 


48 


INFERNO 


Quando  glungon  davanti  alla   ruina, 

quivi   le  strida,   il   compianto  e   il   lamento; 
bestemmian  quivi  la  virtù  divina. 


31 


ij^ 


.;r  .-,™v 


QAm-0    S«|^W^NIA9-' 


fTW^gric: 


P^-WT^lVv  V  Inì;>p,  '\^p 


,,.i'i- 


Seriìiramis.  \'ino. 

Dal  libro  di  Giusto  dei  Menabuoi  (secolo  xiv). 
(Roma,  Galleria   Corsini). 


Intesi  che  a  cosi  fatto  tormento  37 

ènno  dannati  i  peccator  carnali, 
che  la  ragion  sommettono  al  talento. 

E  come  gli  stornei  ne  portan  l'ali  io 

nel  freddo  tempo,  a  schiera  larga  e  piena, 
cosi  quel  fiato  gli  spinti  mah  : 


CAN  ro  V. 


4') 


11  Solchino,  di  Giotto. 
(Assisi  -  Cliiesa  di  S.  Francesco). 


di  qua,  di  là,   di  giù,  di  su  gli  mena  ; 
nulla  speranza  li  conforta  mai, 
non  che  di  posa,  ma  di  mmor  pena. 

E  come  i  gru  van  cantando  lor  lai, 
facendo  in  aer  di  sé  lunga  riga  ; 
cosi  vid  io  venir,   traendo  guai, 


43 


46 


50 


NFERNO 


ombre  portate  dalla  detta   briga  ; 

per  eh'  io  dissi  :    "  Maestro,  chi  son  quelle 
genti,  che  1  aura  nera  si  gastiga }  " 


49 


CLEO 


;k^r  M  -■ 


Cleopalras,  dal  libro  di  Giusto  de'  .Menabuoi. 
(Roma,  Galleria  Corsini). 


"  La  prima  di  color,   di  cui  novelle 

tu  VUOI   saper,  "    mi  disse  quegli  allotta, 
"  fu  imperadrice  di  molte  favelle. 

A  VIZIO  di  lussuria  fu  si  rotta, 
che  libito  fé   licito  in  sua  legge 
per  torre  il  biasmo  in  che  era  condotta. 


52 


55 


CANTO   V. 


51 


Scmiramiclc.       Rll'r    Scillliaillis,    (Il     (111     SI     Icj^gC 

clic   succcdcHc   a    Nino,   e   fu   sua   sposa  ; 
tenne   la    lena   che   il   Soldan   corregge. 


Did 


one. 


L  altra  è  colei  che  s  ancise  amorosa, 
e  ruppe  fede  al  cener  di  Sicheo  ; 
poi   è  Cleopatràs   lussuriosa. 


(il 


Le  lussuriose,  dal  Giudizio  liliale  attribuito  a  Francesco  Traini. 
(Pisa,  Camposanto). 


Altri  amanti     Elena  Vedi,   per  cui  tanto  reo 

tempo  si  volse,  e  vedi  il  grande  Achille, 
che  con  amore  al  fine  combatteo. 


64 


Vedi   Paris,  Tristano  "  ;   e  più  di  mille 
ombre  mostrommi,   e  nominolle,  a  dito, 
che  amor  di  nostra  vita  dipartille. 


67 


52 


INFERNO 


Rapimento  d'Elcna  -  Inceiulio  di  Troia  -  Miniatura  rici  scc.  xiv. 
(Konia,  JJibliok'ca   Cliigiana). 


Tristano  e  Isotta      Miniatura  del  sec.  xiv. 


Poscia  eh  IO  ebbi  il  mio  dottore  udito 
nomar  le  donne  antiche  e  i  cavalieri, 
pietà  mi  giunse  e  fui  quasi  smarrito. 

Io  cominciai:    "  Poeta,  volentieri 

parlerei  a  que   due  che  insieme  vanno, 
e  paion  si  al  vento  esser  leggieri.  " 


70 


73 


CANTO   V.  53 


Ed   c\i}ì   a   ine:    "  Vedrai,   cjiiando   saranno  7() 

più    presso   a   noi;   e   In   allor   li    pre^a 
per   quell  amor   ihc   i   mena,   e   quei   verranno. 


Il 


Paolo       Sì  tosto   come   il   v(miIo  a   noi   li   piega,  79 

e  l^iancesca.  i  ii   /^  rr 

mossi   la   voce:       U   anime   altannate, 


venite  a   noi   parlar,   s  altri   noi   niega. 


Il 


Quali  colombe  dal  disio  chiamate,  82 

con  l'ali  alzate  e  ferme,  al  dolce  nido 
vengon   per  Faer  dal  voler  portate; 


Eiu-a  e  Didonc  all'Avenio  -  Miniai  ara  del  scc.  xiv. 
(l\c)m;i,   Biblioloca   C'-liit^iana). 


cotali  uscTr  della  schiera  ov  è   Dido,  85 

a   noi  venendo  per  1  aer   maligno, 
si  forte  fu   1  affettuoso  grido. 

"  O  animai  grazioso  e  benigno,  88 

che  visitando  vai  per  1  aer  perso 
noi  che  tingemmo  il  mondo  di  sanguigno  ; 

se  fosse  amico  il  Re  dell  universo,  9i 

noi  pregheremmo  Lui  per  la  tua  pace, 
poi  che  hai  pietà  del  nostro  mal  perverso. 


54 


INFERNO 


Di   quel   eh  udire   e   che   parlar   ti   piace, 
noi   udiremo   e   parleremo  a   vui, 
mentre  che  il  vento,  come  fa,   si  tace. 


94 


Ruderi  del  castello  di  Pulenlu. 


Ravenna.         Siede   la   terra,   dove   nata  fui,  97 

su  la   marina   dove  il   Po  discende 
per  aver  pace  co   seguaci  sui. 

Amor,   che  a  cor  gentil  ratto  s'apprende,  loo 

prese  costui   da   la   bella   persona 
che  mi  fu  tolta,  e  il  modo  ancor  m  offende. 


CAN  1(J   V. 


55 


Antica  casa  Polentana  in  Ravenna. 


Amor,  che  a  nuli' amato  amar  perdona, 
mi  prese  del  costui  piacer  si  forte, 
che,  come  vedi,  ancor  non  m  abbandona. 


103 


Gianciolto. 


Amor  condusse  noi  ad  una  morte: 
Caina  attende  chi  vita  ci   spense.  " 
Queste  parole  da  lor  ci  fur  porte. 


106 


56 


INFERNO 


Da   che   io   intesi   quell'anime   offense, 
chinai    1   VISO,   e   tanto   il   tenni   basso, 
fin  che    1  poeta  mi  disse:    "  Che  pense?  " 


109 


Iscrizione  di  Giaiiciotto  Malatesta,  del  1285. 
(Pesaro,  Museo). 


Quando  risposi,  cominciai  :    "  O  lasso  ! 
quanti  dolci  pensier,  quanto  disio 
menò  costoro  al  doloroso  passo  !  " 

Poi  mi  rivolsi  a  loro,   e  parla   io, 

e  cominciai  :    "  Francesca,  i   tuoi  martiri 
a  lagrimar  mi  fanno  tristo  e  pio. 


112 


115 


CANIO  V. 


57 


IVIa   (Inumi:    al   I(Miij)()   ì\c    dolci   sospiri, 
a  clic  e  come  conccdcllc  amore 
che   conosceste   i   duhhiosi   desin  ?  " 


UH 


Ed   ella   a   me:    "  Nessun   maggior   dolore, 
che   ricordarsi   del   tempo   felice 
nella   miseria  ;   e   ciò   sa   il   tuo  dottore. 


\2Ì 


IM-c5unlo  ritratto  di  l^ranccscci  da  l'oieiita. 

Affresco  del  sec.  xiv. 

(Ravenna,  S.  j\[aria   in   Porto   Fuori). 


Confessione 
di  Fran- 
cesca. 


Ma  se  a  conoscer  la  prima  radice 

del  nostro  amor  tu  hai  cotanto  affetto, 
farò  come  colui  che  piange  e  dice. 

Noi  leggevamo  un  giorno,   per  diletto, 
di  Lancilotto,  come  amor  lo  strinse  ; 
soli  eravamo  e  senza  alcun  sospetto. 


124 


127 


58  INFERNO 


Per  più  fiate  gli  occhi  ci  sospinse  130 

quella   lettura,  e  scolorocci  il  viso; 
ma   solo   un   punto  fu   quel   che  ci  vinse. 

Quando  leggemmo  il  disiato  riso  133 

esser  baciato  da  cotanto  amante, 
questi,  che  mai  da  me  non  fìa  diviso, 

11  bacio.  la  bocca  mi  baciò  tutto  tremante.  136 

Galeotto  fu   il   libro  e   chi   lo   scrisse  ! 
Quel  giorno  più  non  vi  leggemmo  avante. 


Il 


Mentre  che   1  uno   spirto  questo  disse,  139 

1  altro   piangeva,   si   che   di   pietade 
IO  venni  men  cosi  com  io  morisse  ; 

Deliquio   di 

Dante.         e  caddi,  come  corpo  morto  cade.  142 


/,(•  trombe  anyeliclir,  da  un  allrcsco  del  sci-,  xiv. 


(Cialiiliiiii,  S.  Culeriiiii). 


CANTO  VI. 


Al  tornar  della  mente,  che  si  chiuse 
dinanzi  alla  pietà  de  due  cognati, 
che  di  tristizia  tutto  mi  confuse, 


Terzo   cer- 
chio. 
1   golosi. 


nuovi  tormenti  e  nuovi  tormentati 

mi  veggio  intorno,  come  eh  io  mi  muova, 
e  come  eh  io  mi  volga  e  ch'io  mi  guati. 

Io  sono  al  terzo  cerchio,  della  piova 
eterna,  maladetta,  fredda  e  greve: 
regola  e  qualità  mai  non  Tè  nuova. 

Grandine  grossa  e  acqua  tinta  e  neve 
per  1  aer  tenebroso  si  riversa  : 
pute  la  terra  che  questo  riceve. 


10 


60 


INFERNO 


Cerb 


ero. 


Cerbero,   fiera  crudele  e  diversa, 
con  tre  gole  caninamente  latra 
sopra   la   gente  che  quivi   è   sommersa. 


13 


Cerbero,  marmo  romano. 


(Homa,  .Musei  Capitolini). 


Gli   occhi   ha  vermigli,   la   barba   unta   ed  atra,        16 
e  il  ventre  largo,   e   unghiate  le   mani; 
graffia   gli  spiriti,   gli  scuoia   ed   isquatra. 


CAN  IO   VI.  61 


Urlar   ^Ii   fa   la    pioj^^ia   e  oiiic   cani  ;  19 

dell' un   cl('    lati   fanno   ali  altro   sclicimo; 
volgonsi   spesso   i    miseri   profani. 

Quando  ci   scorse   Cerbero,   il   gran   vermo,  22 

le  bocche  aperse  e  mostrocci  le  sanne  : 
non  avea   membro  che  tenesse  fermo. 

E  il  duca   mio  distese  le  sue  spanne  ;  25 

prese  la  terra,   e  con   piene  le  pugna 
la  gittò  dentro  alle  bramose  canne. 

Qual  è  quel  cane  che  abbaiando  agugna  28 

e  si  racqueta  poi  che  il  pasto  morde, 
che  solo  a  divorarlo  intende  e  pugna; 

cotai  si  fecer  quelle  facce  lorde  3i 

dello  demonio  Cerbero,  che  introna 
l'anime  si  eh  esser  vorrebber  sorde. 

Noi  passavam  su  per  1  ombre  che  adona  34 

la  greve  pioggia,  e  ponevam  le  piante 
sopra  lor  vanità  che  par  persona. 

Elle  giacean   per  terra  tutte  e  quante,  37 

fuor  eh  una  che  a  seder  si  levò,  ratto 
eh  ella  CI  vide  passarsi  davante. 


biacco.  "  O  tu,  che  se'  per  questo  inferno  tratto,  "  40 

mi  disse,    "  riconoscimi,  se  sai; 
tu  fosti,  prima  ch'io  disfatto,  fatto.  " 


62  INFERNO 


Ed   IO  a   lei  :    "  L  angoscia   che   tu   hai  43 

forse  ti  tira  fuor  della  mia  mente, 
si  che  non  par  eh  io  ti  vedessi  mai. 

Ma  dimmi  chi  tu   se  ,  che  in  si  dolente  46 

loco  se   messa,  ed  a  si  fatta  pena 
che,  s  altra  è  maggio,  nulla  è  si  spiacente. 


« 


Firenze.  Ed  egli  a  me  :    "  La  tua  città,  eh  è  piena  49 

d  invidia  si  che  già  trabocca  il  sacco, 
seco  mi  tenne  in  la  vita  serena. 

Voi  cittadini  mi  chiamaste  Ciacco  :  52 

per  la   dannosa   colpa   della   gola, 
come  tu  vedi,  alla  pioggia  mi  fiacco  ; 

ed  IO  anima  trista  non  son  sola,  55 

che   tutte  queste  a  simil   pena   stanno 
per  simil  colpa.  "    E  più  non  fé'  parola. 

Io  gli  risposi  :    "  Ciacco,  il  tuo  affanno  58 

mi  pesa  si  che  a  lagrimar  m  invita; 
ma  dimmi,  se  tu  sai,  a  che  verranno 

Profezia  su      11  cittadin  della   città   partita  ;  61 

Firenze.  ♦    i  ♦  ,        •      .  T  •    1 

s  alcun  V  e  giusto  ;   e  dimmi  la  cagione, 
perché  1  ha  tanta  discordia  assalita.  " 

Ed  egli  a  me  :    "  Dopo  lunga  tenzone  64 

verranno  al  sangue,  e  la  parte  selvaggia 
caccerà  1  altra  con  molta  offensione. 


CAN  IO   VI. 


63 


[mi  ni    in 

DL  ■'" 


[ 


Veduta  di   Firenze,   da  una  miniatura  del   1335  circa. 
(Firenze,  Biblioteca  Laurenziana). 


Poi  appresso  convlen  che  questa  caggia 
infra  tre  soli,  e  che  l'altra  sormonti 
con  la  forza  di  tal  che  testé  piaggia. 


67 


64  INFEF^NO 


Alte   terrà   lungo   tempo   le   fronti,  70 

tenendo  1  altra  sotto  gravi   pesi, 
come  che  di  ciò  pianga   e  che  ne  adonti. 

I  due  giusti.    Giusti  son   due,   ma   non  vi  sono  intesi.  73 

Superbia,   invidia  ed  avarizia  sono 
le   tre   faville  e  hanno  1   con  accesi.  " 

Qui  pose  fine  al  lacrimabil  suono.  76 

Ed  10  a  lui:    "  Ancor  vo'  che  m'insegni, 
e  che  di  più  parlar  mi  facci  dono. 

Fiorentini    Farinata  e  il  Tegghiaio,  che  fur  si  degni,  79 

insigni.  I  o       •  •       A     •  -1    ^/I 

Iacopo  Kusticucci,   Arrigo   e   il   Mosca, 

e  gh  altri  che  a  ben  far  poser  gf  ingegni, 

dimmi  ove  sono,   e  fa  eh  io  li  conosca  ;  82 

che  gran  desio  mi  stringe  di  sapere, 
se  il  ciel  gli  addolcia  o  lo  inferno  gli  attosca,  u 

E  quegli:    "  Ei  son  tra  le  anime  più  nere;  85 

diversa  colpa  giù  li  grava  al  fondo  ; 
se  tanto  scendi,   li  potrai  vedere. 

Ma,  quando  tu  sarai  nel  dolce  mondo,  88 

pregoti  che  alla   mente  altrui  mi  rechi  : 
più  non  ti  dico  e  più  non  ti  rispondo.  " 

Gli  diritti  occhi  torse  allora  in  biechi,  9i 

guardommi  un  poco,  e  poi  chinò  la   testa: 
cadde  con  essa  a  par  degli  altri  ciechi. 


CANTO   VI, 


65 


Giudi/io  fi- 
nale. 


E  il   duca   (liss(!  a   ine:    "  I^iù   non   si   desta 
di  qua   dal   suoii   dcW  angelica   Iromha, 
quando  verrà  la   nimica   podestà  : 


94 


Il  Giudizio  finale,  da  un  affresco  del  scc.  xiv. 
(Galalina,  (Miiesa  di  S.  Caterina). 


ciascun  ritroverà  la  trista   tomba,  97 

ripiglierà  sua  carne  e  sua  figura, 
udirà  quel  che  in  eterno  rimbomba.  " 

Si  trapassammo  per  sozza  mistura  loo 

dell  ombre  e  della  pioggia,  a  passi  lenti, 
toccando  un  poco  la  vita  futura  ; 


66  INFERNO 


per  ch'io   dissi:    "Maestro,   esti   tormenti  i<»:ì 

cresceranno  ei  dopo  la   gran   sentenza, 
en   minori,   o   saran   si  cocenti? 

Ed  egli  a  me  :    "  Ritorna  a   tua  scienza,  l'ifi 

che  vuol,   quanto  la   cosa   è   più   perfetta, 
più  senta  il  bene,  e  cosi  la  doglienza. 

Tutto  che  questa  gente  maladetta  109 

in  vera  perfezion  già  mai  non  vada, 
di  là,  più  che  di  qua,  essere  aspetta. 


Il 


Noi  aggirammo  a  tondo  quella  strada,  112 

parlando   più  assai  eh  10  non  ridico; 
venimmo  al  punto  dove  si  digrada  : 

quivi  trovammo  Fiuto  il  gran  nemico.  ii5 


Fra  Scitki  e  Cui  iddi. 


CANTO  VII. 


Plutone. 


"  Pape  Satan,   pape  Satan  aleppe,  " 
cominciò  Pluto  con  la  voce  chioccia. 
E  quel  savio  gentil,  che  tutto  seppe, 

disse  per  confortarmi  :    "  Non  ti  noccia 
la  tua  paura,  che,   poder  eh  egli  abbia, 
non  ti  torrà  lo  scender  questa  roccia.  " 

Poi  si  rivolse  a  quell'enfiata  labbia, 
e  disse  :  "  Taci,  maladetto  lupo  ; 
consuma  dentro  te  con  la  tua  rabbia. 


Non  è  senza  cagion  1  andare  al  cupo: 
vuoisi  nell'alto,   là  dove  Michele 
fé   la  vendetta  del  superbo  strupo.  " 


10 


68 


INFERNO 


Michele,  affresco  attr.  a  Francesco  Traini  (sec.  xiv). 
(Pisa,  Camposanto). 


Quali  dal  vento  le  gonfiate  vele 

caggiono  avvolte,   poi  che  1  alber  fiacca, 
tal  cadde  a  terra  la  fiera  crudele. 


13 


Quarto  cer- 
chio. Gli 
avari  e  i 
prodighi. 


Cosi  scendemmo  nella  quarta  lacca, 
pigliando  più  della  dolente  ripa, 
che  il  mal  dell'universo  tutto  insacca. 


16 


CAN'I'C)   VII.  (y') 


Ahi   ^lusli/.ia   (li   Dio,   laiilc   dii   stipa  !■• 

nuove   Iravaglic   e   pene,   quante   io   vidcli  ? 
e   perché   noslia   coli)a   si   ne   scipa } 

L' onda  a       Come   fa   1  onda   là   sovra   Cariddi,  '^'-^ 

Cariddi.  i  •    <  il       •  ■      '  •    . 

che   SI   trange   con   cjucMia   in   cui   s  intoppa, 
cosi  convien  che  qui   la   gente   riddi. 


25 


Qui  vid'  io  gente  più  che  altrove  troppa, 
e  d'una  parte  e  d'altra,  con  grand' urli, 
voltando  pesi  per  forza  di  poppa; 


percotevansi  incontro,  e  poscia  pur  li  28 

si  rivolgea  ciascun,  voltando  a  retro, 
gridando  :   "  Perché  tieni  ?  " ,  e,   "  Perché  burli  ?  " 

Cosi  tornavan  per  lo  cerchio  tetro,  3i 

da  ogni  mano  ali  opposito  punto, 
gridandosi  anche  loro  ontoso  metro; 

poi  SI  volgea  ciascun,  quand  era  giunto  34 

per  lo  suo  mezzo  cerchio  ali  altra  giostra. 
Ed  io,  che  avea  lo  cor  quasi  compunto, 

dissi  :    "  Maestro  mio,  or  mi  dimostra  37 

che  gente  è  questa,  e  se  tutti  fur  cherci 
questi  chercuti  alla  sinistra  nostra.  " 

Ed  egli  a  me:    "  Tutti  quanti  fur  guerci  40 

si  della  mente,  in  la  vita  primaia, 
che  con  misura  nullo  spendio  ferci. 


70 


INFERNO 


Spiriti  irri- 
conoscibili. 


Cozzi  eterni. 


Assai   la   voce   lor  chiaro   1  abbaia, 

quando   vengono  a    due   punti   del   cerchio, 
ove  colpa  contraria  li  dispaia. 

Questi  fur  cherci,  che  non  han  coperchio 
piloso  al   capo,   e   papi   e   cardinali. 


13 


:hi( 


in  CUI  usa  avarizia  li  suo  sopercnio. 

Ed  io:  "  Maestro,  tra  questi  cotali 
dovre  io  ben  riconoscere  alcuni, 
che  furo  immondi  di  cotesti  mali.  " 

Ed  egli  a  me  :    "  Vano  pensiero  aduni  : 
la  sconoscente  vita,  che  i  fé   sozzi, 
ad  ogni  conoscenza  or  li  fa  bruni. 

In  eterno  verranno  alli  due  cozzi  ; 
questi  risurgeranno  del  sepulcro 
col  pugno  chiuso,  e  questi  co   crin  mozzi. 

Mal  dare  e  mal  tener  lo  mondo  pulcro 
ha  tolto  loro,  e  posti  a  questa  zuffa: 
qual  ella  sia,  parole  non  ci  appulcro. 

La  Fortuna.     Or  puoi,  fìghuol,  Veder  la  corta  buffa 

de   ben  che  son  commessi  alla  Fortuna, 
per  che  l' umana  gente  si  rabbuffa  ; 

che  tutto  l'oro,  eh' è  sotto  la  luna, 

e  che  già  fu,  di  queste  anime  stanche 
non  poterebbe  farne  posar  una.  " 


46 


49 


52 


55 


58 


61 


64 


CANTO   VII 


71 


"  lVla('slro,   (liss  io   lui,   or   mi   eh    aiu  li(\  67 

qiK^sla    l'oilmia,   di   clic   Ui   mi   locclic, 
che  0,  che  i  ben  (1(^1  mondo  ha  si  tra  branche;? 

E  quegh   a   me:    "  O   creature   sciocche,  70 

quanta  ignoranza  è  quella   che  vi  offende  ! 
or  vo'  che  tu  mia  sentenza  ne  imbocche. 


Dio.  Colui,  lo  CUI  saper  tutto  trascende, 

fece  11  cieli,  e  die  lor  chi  conduce, 

si  che  ogni  parte  ad  ogni  parte  splende, 

distribuendo  egualmente  la  luce: 
similemente  agli  splendor  mondani 
ordinò  general  ministra  e  duce. 


Permutazio-   che  permutasse  a  tempo  li  ben  vani, 

ne  dei  be-  ,.  .  l»  •         l 

di  gente  in  gente  e  d  uno  in  altro  sangue, 


73 


ni  vani. 


oltre  la  difension  de'  senni  umani: 

per  che  una  gente  impera  ed  altra  langue, 
seguendo  lo  giudizio  di  costei, 
che  è  occulto,  come  in  erba  l'angue. 

Vostro  saper  non  ha  contrasto  a  lei  : 
ella  provvede,  giudica  e  persegue 
suo  regno,  come  il  loro  gli  altri  dèi. 

Le  sue  permutazion  non  hanno  triegue  : 
necessità  la  fa  esser  veloce  ; 
si  spesso  vien  chi  vicenda  consegue. 


76 


79 


82 


85 


88 


72 


INTERNO 


Quest'è  colei,  eh' è  tanto  posta  in  eroee 
pur  da  eolor  ehe  le  dovrian  dar  lode, 
dandole  biasmo,   a   torto,   e   mala  voce. 


91 


La  u  Ruota  (iella  Fortuna  «  (1202). 
(Trento,  Duomo). 


Ma  ella  sé  beata,  e  ciò  non  ode: 
con  l'altre   prime  creature   lieta 
volve  sua  spera,  e  beata  si  gode. 


94 


CANTO  VII.  73 


Discesa  al     Or   discendiamo  ornai   a   maggior   pièta  :  97 

(liiintocei-  -,  •      .    11  1  1  j- 

già   ogni   stella   cade,   che   saliva 

quando   mi   mossi,   e   il   troppo   star   si   vieta. 


ctuo. 


conc 


II 


Noi   riddammo   il   cerchio  all'altra   riva  1<><| 

sopra   una   fonte,  che  bolle  e  riversa 
per  un   fossato  che  da   lei  deriva. 

L  acqua  era  buia  assai  più  che  persa  :  io3 

e  noi,   in  compagnia  dell  onde  bige, 
entrammo  giù  per  una  via  diversa. 

Suge.  (Jna  palude  fa,  che  ha  nome  Stige,  106 

questo  tristo  ruscel,   quando  è  disceso 
al  pie  delle  maligne  piagge  grige. 

Ed  io,  che  di  mirar  mi  stava  inteso,  109 

vidi  genti  fangose  in  quel  pantano, 
ignude  tutte  e  con  sembiante  offeso. 

Quinto  cer-     Queste  si  percotean,  non  pur  con  mano,  112 

chlo.    ha-  .  .  ,      .     ,. 

jjl  ma  con  la  testa,  col  petto  e  co   piedi, 

troncandosi  coi  denti  a  brano  a  brano. 

Lo  buon  maestro  disse  :    "  Figlio,   or  vedi  ii5 

1  anime  di  color  cui  vinse  T  ira  ; 
ed  anche  vo   che  tu  per  certo  credi 

che  sotto  1  acqua  ha  gente  che  sospira,  118 

e  fanno  pullular  quest'acqua  al  summo, 
come  1  occhio  ti  dice,   u'  che  s'aggira. 


74 


INFERNO 


Ira,  di  Giotto. 
(Padova,  Cappplla  degii  Scrovegni). 


Belletta    ne- 
gra. 


Fitti  nel  limo,  dicon:    "  Tristi  fummo 
nell'aer  dolce  che  dal  sol  s'allegra, 
portando  dentro  accidioso  fummo: 

or  ci  attristiam  nella  belletta  negra.  " 
Quest'  inno  si  gorgoglian  nella  strozza, 
che  dir  noi  posson  con  parola  integra. 


121 


124 


CANTO   VII 


75 


Cosi   girariHiK)  della   lorda   pozza  vn 

grand  arco   Ira   la   ripa   secca   v   il   mezzo, 
con  gli  occhi  volli  a  clii  del  fango  ingozza. 


Venimmo  al  pie  d  una   torre  al  dassezzo. 


i:}(i 


Iracondo,  daWJnferno  attr.  al  Traini. 
(Pisa,  Camposanto). 


Bolgia  infernali',  daW Inferno  altrilmilo  a  l-ianccsco  Traini. 
(Fisi),  Cam  posa  Ilio). 


CANTO  Vili. 


Continua  il  Io  dico,  seguitando,  eh  assai  prima 

quinto  cer-  ,  ,    ,       .  i       •        i    ir    i 

chio.  -  Ira-       che  noi  rossimo  al  pie  deli  alta  torre, 
condì.  gjj  occhi  nostri  n'andar  suso  alla  cima 

per  due  fiammette  che  i   vedemmo  porre, 
ed  un  altra  da  lungi  render  cenno 
tanto,   eh  a  pena  il  potea  1  occhio  tórre. 

Ed  io  mi  volsi  al  mar  di  tutto  il  senno; 
dissi  :    "  Questo  che  dice }  e  che  risponde 
quell  altro  foco?  e  chi  son  quei  che  il  fenno?" 


Ed  egli  a  me  :  "  Su  per  le  sucide  onde 
già  puoi  scorgere  quello  che  s'aspetta, 
se  il  fummo  del  pantan  noi  ti  nasconde.  " 


10 


78  INFERNO 


Corda  non  pinse  mai  da   sé  saetta  13 

che  si  corresse  via  per  1  aere  snella, 
com  io  vidi  una  nave  plccioletta 

venir  per  1  acqua  verso  noi  in  quella,  16 

sotto  il  governo  d  un  sol  galeoto, 
che  gridava  :    "  Or  se'  giunta,  anima  fella  ?  " 

Flegias.  "  Flegiàs,   Flegiàs,  tu  gridi  a  vóto,  "  19 

disse  lo  mio  signore,    "  a  questa  volta  ! 
Più  non  ci  avrai,   che  sol  passando  il  loto.  " 

Quale  colui  che  grande  inganno  ascolta  22 

che  gli  sia  fatto,  e  poi  se  ne  rammarca, 
fecesi  Flegiàs  nell  ira  accolta. 

Nella  barca     Lo  duca   mio  discese  nella  barca,  25 

di  Fleeias.  •         •    £  .  1    • 

^  e  poi  mi  lece  entrare  appresso  lui  ; 

e  sol  quand  io  fui  dentro  parve  carca. 

Tosto  che  il  duca  ed  io  nel  legno  fui,  28 

secando  se  ne  va  1  antica  prora 
dell'acqua  più  che  non  suol  con  altrui. 

Mentre  noi  correvam  la  morta  gora,  3i 

dinanzi  mi  si  fece  un,   pien  di  fango, 
e  disse  :    "  Chi  se'  tu  che  vieni  anzi  ora  ?  " 


Filippo  Ar-     Ed  io  a  lui  :    "  S' io  vegno,   non  rimango  ;  34 

§^"*^'  ma  tu  chi  se',  che  se'  si  fatto  brutto?  " 

Rispose  :    "  Vedi  che  son  un  che  piango.  " 


CAN  ro  Vili.  70 


Rei   IO  a   Ini  :    "  Con   piangere  e   con   lutto,  37 

s[)irito   nialedello,   ti   umani; 
dì  io   ti   conosco,   ancor   sic   lordo   tutto.  " 

Allora   stese  al  Ic^gno  ambe  le   mani  ;  !<• 

per  che  il   maestro  accorto  lo  sospinse, 
dicendo  :    "  Via  costà  con  gli  altri  cani. 


Il 


Lo  collo  poi  con  le  braccia   mi  cinse,  43 

baciommi  il  volto,   e  disse  :    "  Alma  sdegnosa, 
benedetta  colei  che  in  te  s  incinse  ! 

Quei  fu  al  mondo  persona  orgogliosa;  46 

bontà  non  è  che  sua  memoria  fregi  : 
cosi  s  è  1  ombra  sua  qui  furiosa. 

Quanti  si  tengon  or  lassù  gran  regi,  49 

che  qui  staranno  come  porci  in  brago, 
di  sé  lasciando  orribili  dispregi  !  " 

Ed  io  :    "  Maestro,   molto  sarei  vago  52 

di  vederlo  attuffare  in  questa  broda, 
prima  che  noi  uscissimo  del  lago.  " 

Ed  egli  a  me  :    "  Avanti  che  la  proda  55 

ti  si  lasci  veder,  tu  sarai  sazio: 
di  tal  disio  converrà  che  tu  goda.  " 


Strazio  Dopo  ciò  poco,  vidi  qucllo  strazio 

di  Filippo  £        r  •     11      f 

Argenti.  '^'"  ^^  costui  alle  fangose  genti, 

che  Dio  ancor  ne  lodo  e  ne  ringrazio. 


58 


80 


INjFERNO 


,f^- 


'ìMaaìuma^ik 


.1 


Torre  demolita  degli  Adirnari  famiglia  di  Filippo  Argenti,  diseg.  di  E.  Burci. 
(Firenze,  Raccolta  storico-topografico). 


1  utti  gridavano  :    "  A  Filippo  Argenti  ! 
E  il  fiorentino  spirito  bizzarro 
in  sé  medesmo  si  volgea  co   denti. 


61 


Quivi  il  lasciammo,  che  più  non  ne  narro; 
ma  negli  orecchi  mi  percosse  un  duolo, 
per  eh  io  avanti  intento  l'occhio  sbarro. 


64 


CAN  ro  vili, 


Città  Lo  buon   maestro  disse:    "Ornai,   figliuolo,  67 

s  a|)j)i(^ssa   la   cillà   clic   ha   norne   Dil(% 
co    gravi   citladin,   col   grande   stuolo.  " 

Ed  io  :    "  Maestro,   già  le  sue  meschite  70 

là   entro  certo   nella   valle   cerno, 
vermiglie,  come  se  di  foco  uscite 

fossero.  "    Ed  ei  mi  disse  :    "  Il  foco  eterno  73 

eh  entro  1  affoca,   le  dimostra  rosse, 
come  tu  vedi  in  questo  basso  inferno.  " 

Noi  pur  giugnemmo  dentro  ali  alte  fosse,  76 

che  vallan  quella  terra  sconsolata  : 
le  mura  mi  parean  che  ferro  fosse. 

Non  senza  prima  far  grande  aggirata,  79 

venimmo  in  parte,  dove  il  nocchier,  forte, 
"  Uscite,  "    ci  gridò,    "  qui  è  l'entrata.  " 

Io  vidi  più  di  mille  in  sulle  porte  82 

da   ciel  piovuti,  che  stizzosamente 
dicean  :    "  Chi  è  costui,  che  senza  morte 

Diavoli  al-     ^^  pgj.  JQ  regno  della  morta  gente?  "  85 

la  porta  di 

Dite.  E  il  savio  mio  maestro  fece  segno 

di  voler  lor  parlar  segretamente. 

Allor  chiusero  un  poco  il  gran  disdegno,  88 

e  disser  :    "  Vien  tu  solo,  e  quei  san  vada, 
che  si  ardito  entrò  per  questo  regno. 


82  INFERNO 


Sol   SI   ritorni   per   la   folle   strada  !  91 

Provi   se   sa  ;   che   tu   qui   rimarrai, 
che   gli   hai   scorta   si   buia   contrada.  " 

Spavento         Pensa,  lettor,  se  io  mi  sconfortai  94 

di  Dante.  ,  ,    ,,  ,  ,     , 

nel  suon  delle  parole  maladette  ; 
eh  10  non  credetti  ritornarci  mai. 

O  caro  duca   mio,   che  più  di  sette  97 

volte  m  hai  sicurtà  renduta,   e  tratto 
d  alto  periglio  che  incontra  mi  stette, 

non  mi  lasciar,  "   diss'  io,    "  cosi  disfatto  !  loo 

E  se    1   passar   più   oltre  e  è   negato, 
ritroviam   1  orme   nostre   insieme  ratto.  " 

E  quel  signor,   che  li  m  avea  menato,  103 

mi  disse  :    "  Non  temer,  che  il  nostro  passo 
non  CI  può  tórre  alcun,  da  tal  n  è  dato. 

Conforto.         Ma  qui  m  attendi,   e  lo  spirito  lasso  106 

conforta  e  ciba  di  speranza  buona, 
eh'  io  non  ti  lascerò  nel  mondo  basso.  " 

Cosi  sen  va,   e  quivi  m'abbandona  109 

lo  dolce  padre,  ed  io  rimango  in  forse, 
che  si  e  no  nel  capo  mi  tenzona. 

Udir  non  potè'  quello  eh' a  lor  porse;  112 

ma  ei  non  stette  là  con  essi  guari, 
che  ciascun  dentro  a  prova  si  ricorse. 


CAN  IO   Vili. 


HJ 


Vii|^ili()  of- 
feso. 


Cliiuscr   le   porle   qiie    iioslii   avversari  il') 

nel   pello  al   mio   signor,   die   fuor   rimase, 
e  rivolsesi  a  me  con   passi  rari. 


Gli   ocelli   alla   terra,   e   le  ciglia   avea   rase  118 

d  ogni   baldanza,   e  dicea   ne    sospiri  : 
"  Chi   m'ha   negate   le   dolenti   case?  " 

Ed  a  me  disse:    "Tu,   perch'io  m'adiri,  121 

non  sbigottir,  eh  io  vincerò  la   prova, 
qual  eh  alla  difension  dentro  s  aggiri. 

Tracotanza       Questa  lor  tracotanza  non  è  nuova,  124 

dei  diavoli.  i    ,       -^     i» 

ciie  già  1  usaro  a  men  segreta  porta, 
la  qual  senza  serrarne  ancor  si  trova. 

SovT  essa  vedestù  la  scritta  morta  :  127 

e  già  di  qua  da  lei  discende  1  erta, 
passando  per  h  cerchi  senza  scorta, 

11  messo  di- 
vino, tal   che  per  lui  ne  fia   la   terra  aperta.  "  130 


I  sepolcri  ad  A  ili. 


CANTO  IX. 


Virgilio      Quel  color  che  viltà  di  fuor  mi   pinse, 

fuor  di  Dite.  ili  •  •  i 

veggendo  il  duca  mio  tornare  in  volta, 
più  tosto  dentro  il  suo  nuovo  ristrinse. 

Attento  si  fermò  com  uom  che  ascolta  ; 
che  1  occhio  noi  potea  menare  a  lunga 
per  1  aer  nero  e  per  la  nebbia  folta. 

Pure  a  noi  converrà  vincer  la  punga, 
cominciò  ei,  se  non....  Tal  ne  s'offerse! 
Oh,   quanto  tarda  a  me  ch'altri  qui  giunga!  " 


lo  vidi  ben  si  com  ei  ricoperse 

lo  cominciar  con  1  altro  che  poi  venne, 
che  fur  parole  alle  prime  diverse. 


10 


86  INFERNO 


Ma   non  di  men  paura  il  suo  dir  dienne,  i3 

perch  IO  traeva  la  parola  tronca 
forse  a  peggior  sentenza  eh  e'   non  tenne. 

"  In   questo  fondo  della  trista  conca  16 

discende  mai  alcun  del   primo  grado, 
che  sol  per  pena  ha  la  speranza  cionca  ?  " 

Questa  question  fec  io  ;   e  quei  :    "  Di  rado  19 

incontra,  "    mi  rispose,    "  che  di  nui 
faccia  il  cammino  alcun  per  quale  io  vado. 

Eritone.  Vero  è  ch'altra   fiata   quaggiù   fui  22 

congiurato  da  quella  Eriton  cruda, 
che  richiamava  1  ombre  a   corpi  sui. 

Di  poco  era  di  me  la  carne  nuda,  25 

ch'ella  mi  fece  entrar  dentro  a  quel  muro, 
per  trarne  un  spirto  del  cerchio  di  Giuda. 

Giudecca.        Quell  è   il   più   basso  loco   e  il   più   oscuro  28 

e  il  più  lontan  dal  ciel  che  tutto  gira  : 
ben  so  il  cammin;   però  ti  fa  sicuro. 

Questa  palude,  che  il  gran  puzzo  spira,  3i 

cinge  d  intorno  la  città  dolente, 
u'  non  potemo  entrare  omai  senz  ira.  " 

Ed  altro  disse,   ma  non  1  ho  a  mente  ;  34 

però  che  l'occhio  m  avea  tutto  tratto 
ver  l'alta  torre  alla  cima  rovente. 


CAN  IO   IX.  87 


Le  Erinni.       ov(^   111    UH    pillilo   fiiioii   (IrilU*   ratio  37 

tre   fune   inf(Mnal   di   sangue   tinte, 
che   membra   femminili   aveano   ed   atto, 

e  con  idre  verdissime  eran  cinte  ;  40 

serpentelli  e  ceraste  avean  per  crine, 
onde  le  fiere  tempie  eran  avvinte. 

E  quei,  che  ben  conobbe  le  meschine  43 

della  regina  dell  eterno  pianto  : 
"  Guarda,  "    mi  disse,    "  le  feroci  Erine. 

Questa  è  Megera,   dal  sinistro  canto;  46 

quella,  che  piange  dal  destro,  è  Aletto; 
Tesifone  è  nel  mezzo.  "    E  tacque  a  tanto. 

Con  1  unghie  si  fendea  ciascuna  il  petto,  49 

batteansi  a  palme,  e  gridavan  si  alto 
eh  io  mi  strinsi  al  poeta  per  sospetto. 

Medusa.  "  Venga  Medusa  !   si  '1  farem  di   smalto  !  "  52 

Dicevan  tutte  riguardando  in  giuso; 
"mal  non  vengiammo  in  Teseo  l'assalto.  " 

"  Volgiti  indietro,   e  tieni  il  viso  chiuso  ;  55 

che,  se  il  Gorgon  si  mostra,  e  tu  il  vedessi, 
nulla  sarebbe  di  tornar  mai  suso.  " 

Cosi  disse  il  maestro;   ed  egli  stessi  58 

mi  volse,   e  non  si  tenne  alle  mie  mani, 
che  con  le  sue  ancor  non  mi  chiudessi. 


88 


INFERNO 


messo  di 
vino. 


O   VOI,   che  avete  gì  intelletti   sani,  61 

mirate  la  dottrina  che  s  asconde 
sotto  il  velame  degli  versi  strani  ! 

E  già  venia  su  per  le  torbid  onde  64 

un  fracasso  d  un   suon  pien  di  spavento, 
per  CUI  tremavano  ambedue  le  sponde; 


Medusa.  (Napoli,  Museo). 


non  altrimenti  fatto  che  d  un  vento  67 

impetuoso  per  gli  avversi  ardori, 
che  fìer  la  selva,  e  senza  alcun  rattento 

li  rama  schianta,  abbatte  e  porta  fuori;  70 

dinanzi  polveroso  va  superbo, 
e  fa  fuggir  le  fiere  e  li  pastori. 


o 

<u 
co 


CANTO   IX 


89 


Gli  occhi  mi  sciolse  e  diss(^:  "  Or  drizza  il  ncrho 
del   viso   su   per  quella   schiuma   antica, 


per   indi   ove  quel   fummo  è   più   aceri 


)0. 


A<i  ^^^CJ 


f'^^J?^  ^^è^SBVS-^ 


Teseo,  dal  libro  di  Giusto  de'  Menabuoi  (sec.  xiv). 
(Roma,  Galleria  Corsini) 


Come  le  rane  innanzi  alla  nimica 
biscia  per  l'acqua  si  dileguan  tutte, 
fin  che  alla  terra  ciascuna  s  abbica; 

vid  io  più  di  mille  anime  distrutte 

fuggir  cosi  dinanzi  ad  un,   che  al  passo 
passava  Stige  con  le  piante  asciutte. 


76 


79 


90  INFERNO 


Dal  volto  rimovea  quelfaer  grasso,  82 

menando   la   sinistra   innanzi   spesso  ; 
e  sol   di   quell  angoscia   parea   lasso. 

Ben  m  accorsi  eh  egli  era  del  ciel  messo  ;  85 

e  volsimi  al   maestro,  e  quei  fé'  segno 
eh  io  stessi  cheto  ed  inchinassi  ad  esso. 

Ahi  quanto  mi  parea  pien  di  disdegno  !  88 

Giunse  alla   porta,  e  con  una  verghetta 
1  aperse,   che  non  ebbe  alcun  ritegno. 

"  O  cacciati  del  ciel,   gente  dispetta,  "  91 

cominciò   egli  in   su   1  orribil   soglia, 
"  ond  està  tracotanza  in  voi  s  alletta  ? 

Perché  ricalcitrate  a  quella  voglia,  94 

a  cui  non  puote  il  fin  mai  esser  mozzo, 
e  che  più  volte  v  ha  cresciuta  doglia? 

Che  giova  nelle  fata  dar  di  cozzo  ?  97 

Cerbero  vostro,  se  ben  vi  ricorda, 
ne  porta  ancor  pelato  il  mento  e  il  gozzo. 


n 


Poi  si  rivolse  per  la  strada  lorda,  luu 

e  non  fé   motto  a  noi  ;   ma  fé   sembiante 
d'uomo,  cui  altra  cura  stringa  e  morda 

Sesto  cei-         qYìq  quella  di  colui  che  gli  è  davante  ;  io3 

chio.  .  .....  ^      , 

e   noi   movemmo  i   piedi   in  vèr   la   terra, 
sicuri  appresso  le  parole  sante. 


CANTO  IX. 


')\ 


Dentro   V  cnlramino   scn/a   ale  una   pileria  ; 
ed  io,  ch'avea  di  riguardar  disio 
la  condi/ion  clic   lai   fortezza   serra, 


106 


i;:^^ 


L'Arena  di  Pala. 


.lesiarchi 


hi. 


^e  arche. 


com  io  fui  dentro,  l  occhio  intorno  invio  ;  109 

e  veggio  ad  ogni  man  grande  campagna 
piena  di  duolo  e  di  tormento  rio. 

Si  come  ad  Arli,  ove  Rodano  stagna,  112 

si  com  a  Fola  presso  del  Carnaro, 
che  Italia  chiude  e  suoi  termmi  bagna, 


m 


INFERNO 


11  Carnaro  dall' Abadia. 


Il  Carnato  con  l' isola  di  Cherso. 


CAN  lo   IX. 


93 


fanno  i  sepolcri  tulio  il  loco  varo: 
cosi  faccvan  quivi  d  ogni  parie, 
salvo  che  il   modo  v  era  più  amaro; 

che  tra  gli  avelli  fiamme  erano  sparte, 
per  le  quali  eian  si  del  tutto  accesi 
che  ferro  più  non  chiede  verun  arte. 


115 


nx 


Un  sepolcro  di  Polo. 


(Venezia,  Museo  Civico), 


Tutti  gli  lor  coperchi  eran  sospesi,  121 

e  fuor  n  uscivan  si  duri  lamenti, 
che  ben  parean  di  miseri  e  d  offesi. 

Ed  io  :    "  Maestro,  quai  son  quelle  genti  124 

che,  seppellite  dentro  da  quell  arche, 
si  fan  sentir  con  gli  sospir  dolenti?  " 

Ed  egli  a  me  :    "  Qui  son  gli  eresiarche  127 

co   lor  seguaci  d  ogni  sètta;  e  molto 
più  che  non  credi  son  le  tombe  carche. 


94 


INFERNO 


Simile  qui  con  simile  è  sepolto  ; 

e  i   monimenti  son   più  e  men  caldi.  " 
E  poi  ch'alia  man  destra  si  fu  vòlto, 


130 


passammo  tra  i  martiri  e  gli  alti  spaldi. 


133 


/(//•(/,  affresco  del  secolo  xiv. 
(Pomposa,  S.  Maria). 


l/Z/i/'cnio,  sc'ollura  senese  del  prineipio  del  sec.  xiv. 


(Orvicio,  I >iiiiiii(>). 


CANTO  X. 


Eretici. 


Ora  sen  va  per  un  secreto  calle, 
tra  il  muro  della  terra  e  li  martiri, 
lo  mio  maestro,  ed  io  dopo  le  spalle. 


"  O  virtù  somma,  che  per  gli  empT  giri 
mi  volvi,  "  cominciai,  "  coma  te  piac 
parlami  e  satisfammi  a   miei  desiri. 


La  gente,  che  per  li  sepolcri  giace, 
potrebbesi  veder?  già  son  levati 
tutti  1  coperchi,  e  nessun  guardia  face. 

Ed  egli  a  me  :    "  Tutti  saran  serrati, 
quando  di  losafàt  qui  torneranno 
COI  corpi  che  lassù  hanno  lasciati. 


10 


96 


INFERNO 


.picurei. 


Suo  cimitero  da  questa  parte  hanno 
con  Epicuro  tutti  i  suoi  seguaci, 
che  l  anima  col  corpo  morta  fanno. 


13 


Epicuro,  miniatura  del  1355 
(dalla  Canzonv  delle  Scienze  e  delle    Virtù). 


Però  alla  dimanda  che  mi  faci 
quinc  entro  satisfatto  sarai  tosto, 
ed  al  disio  ancor  che  tu  mi  taci.  " 


16 


e 

Vi 

o 


> 


CAN  IO   X.  97 


\'a\   io:    "  Buon   duca,   non   Ic^no   riposto  19 

a   l(^   imo   COI,   se   non   per   elicer   j)oco; 
e   Ui   m'hai   non   pur   ino  a   ciò  disposto. 


Il 


"  O   lósco,   che   per   la   città   del   foco  22 

vivo   len   vai   cosi   parlando   onesto, 
piacciati   di   ristare  in  questo  loco. 

La  tua  loquela   ti  fa  manifesto  25 

di  quella  nobil  patria  natio, 
alla  qual  forse  fui  troppo  molesto.  " 

Subitamente  questo  suono  uscio  28 

d  una  dell  arche  ;   però  m  accostai, 
temendo,  un  poco  più  al  duca   mio. 

Farinata  de-     Ed  ei  mi  disse  :    "  Volgiti  ;   che  fai  ?  3i 

^  '      ^'  ''         vedi  là  Farinata  che  s' è  dritto  : 

dalla  cintola  in  su  tutto  il  vedrai.  " 

1    avea  già  il  mio  viso  nel  suo  fìtto;  34 

ed  ei  s  ergea  col  petto  e  con  la  fronte, 
come  avesse  lo  inferno  in  gran  dispitto. 

E  l'animose  man  del  duca  e  pronte  37 

mi  pinser  tra  le  sepolture  a  lui, 
dicendo  :    "  Le  parole  tue  sien  conte.  " 


Com  io  al  pie  della  sua  tomba  fui, 

guardommi  un  poco,   e  poi  quasi  sdegnoso 
mi  dimandò:    "  Chi  fur  li   maggior  tui?  " 


40 


98 


INFERNO 


Io,   ch'era  d  ubbidir  desideroso, 

non   gliel   celai,   ma   tutti   gliel  apersi  ; 
ondai  levò  le  ciglia   un   poco  in  soso. 


43 


l>  Mlrwv  ■  f  •i'-IM-*>"'"A  IKVWVriS   -VE    PATPlf   LiafMfOp. 


Farinala  degli  U berli,  di  Andrea  del  Castagno. 
(Firenze,  ex-convento  di  S.  Apollonia). 


poi  disse  :    "  Fieramente  furo  avversi 

a   me  ed  a    miei   primi   ed  a   mia   parte, 
si   che   per   due  fiate  gh  dispersi.  " 


46 


CAN ro  X 


99 


S'ci    fùr   cacciali,   ci   tornai    d  ogni    [)aìlc,  "  49 

risposi   IO   lui,    "  I  una   e   I  altra    fiata  ; 
ma   1   vostri   non   apprcscr   ben   qucll  arte.  " 


»!    I 


/  (ìiirl/i  cacciati  da  Firenze,  miniulura  del  scc.  xiv. 
(Roma,  Biblioteca  Cliigiana). 


Allor  surse  alla  vista   scoperchiata 

un  ombra   lungo  questa   infino  al   mento; 
credo  che  s  era  in  ginocchie  levata. 


52 


Cavalcante 
Cavalcanti. 


D  intorno   mi  guardò,  come  talento        55 
avesse  di  veder  s  altri  era   meco; 
ma  poi  che  il  sospecciar  fu  tutto  spento, 

piangendo  disse  :  "  Se  per  questo  cieco     58 
carcere  vai   per  altezza  d  ingegno, 
mio  figlio  ov  è  ?  e  perché  non  è  teco  ?  " 


Sigillo  di  Cavalcante  Cavalcanti. 
(Firenze,  Museo  Nazionale). 


100  INFERNO 


Guido  Ca-     Ed  IO  a  lui  :    "  Da  me  stesso  non  vegno  ;  61 

colui,  che  attende   là,   per  qui   mi  mena. 


forse  CUI  Guido  vostro  ebbe  a  disdegno. 


II 


Le  sue  parole  e  il   modo  della  pena  64 

m  avean  di  costui  già  letto  il  nome; 
però  fu   la  risposta  cosi  piena. 

Di  subito  drizzato  gridò  :    "  Come  67 

dicesti  7   '  Egli  ebbe  ?  '   Non  viv'  egli  ancora  ? 
non  fiere  gli  occhi  suoi  lo  dolce  lome?  " 

Quando  s  accorse   d  alcuna   dimora  70 

eh  IO  faceva  dinanzi  alla   risposta, 
supin  ricadde  e  più  non  parve  fuora. 

Ma  quell  altro  magnanimo,  a  cui  posta  73 

restato  m  era,  non  mutò  aspetto, 
né  mosse  collo,  né  piegò  sua  costa. 

"  E  se,  "    continuando  al  primo  detto,  76 

"  s'egh  han  quell  arte,  "    disse,    "  male  appresa, 
ciò  mi  tormenta  più  che  questo  letto. 

Ma  non  cinquanta  volte  fìa  raccesa  79 

la   faccia   della   donna   che  qui  regge, 
che  tu  saprai  quanto  quell  arte  pesa. 

E  se  tu  mai  nel  dolce  mondo  regge,  82 

dimmi,   perché  quel  popolo  è  si  empio 
incontro  a'  miei  in  ciascuna  sua  legge  ?  " 


u 

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e 
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o 

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k. 


CANTO   X.  101 


Moniapcrti.      OikI' IO  a  lui  :  "  Lo  strazlo  v  il  grande  sc('m[)io,         nr, 
che   fece   l'Aibia   colorala   in   rosso, 
tali  orazion  fa  far  nel  nostro  tempio.  " 

Poi   eh  ebbe   sospirando   il   capo   scosso,  88 

"  A  ciò   non   fui   io  sol,  "    disse,    "  né  certo 
senza  cagion   con   gli  altri  sarei  mosso. 

Ma  fu   io  sol  colà,  dove  sofferto  91 

fu  per  ciascun  di  toglier  via  Fiorenza, 
colui  che  la  difese  a  viso  aperto.  " 

"  Deh,   se  riposi  mai  vostra  semenza,  "  94 

prega'  io  lui,    "  solvetemi  quel  nodo, 
che  qui  ha  inviluppata  mia  sentenza. 

E   par  che  voi  veggiate,  se  ben  odo,  97 

dinanzi  quel  che  il  tempo  seco  adduce, 
e  nel  presente  tenete  altro  modo.  " 

Antiveggen-     "  Noi  veggiam,   come  quei  e'  ha  mala  luce  loo 

.^^   ^"'  le  cose,"    disse,    "che  ne  son  lontano; 

cotanto  ancor  ne  splende  il  sommo  duce: 

quando  s  appressano,  o  son,  tutto  è  vano  103 

nostro  intelletto  ;   e  s  altri  non  ci  apporta, 
nulla  sapem  di  vostro  stato  umano. 

Però  comprender  puoi  che  tutta  morta  106 

fìa   nostra  conoscenza  da  quel  punto 
che  del  futuro  fìa  chiusa  la  porta.  " 


za 
nati. 


102 


INFERNO 


Allor,  come  di   mia  colpa  compunto,  109 

dissi  :    "  Or   direte   dunque   a   quel   caduto 
che  il  suo  nato  è  co   vivi  ancor  congiunto. 


E  s  IO  fui  dianzi  alla  risposta  muto, 
fat  ei   saper  che  il   fei   perché   pensava 
già  nell  error  che  m  avete  soluto.  " 

E  già  il  maestro  mio  mi  richiamava  ; 
per   eh  IO   pregai   lo  spinto   più   avaccio 
che  mi  dicesse  chi  con  lui  si  stava. 


112 


115 


Federico  II.     Dissemi  :    "  Qui  con  più  di  mille  giaccio  : 

Ottaviano  ,  ,     ,  l       i-     l     • 

jg  jj  qua  dentro  e  lo  secondo  Federico, 

Ubaldini.  e  il  cardinale,   e  degli  altri  mi  taccio.  " 

Indi  s  ascose  ;   ed  io  in  ver  1  antico 
poeta  volsi  i  passi,  ripensando 
a  quel  parlar  che  mi  parea  nimico. 

Egli  si  mosse;   e  poi  cosi  andando, 

mi  disse:    "  Perché  sei  tu  si  smarrito?  " 
ed  io  li  satisfeci  al  suo  dimando. 


118 


121 


124 


Beatrice. 


"  La  mente  tua  conservi  quel  ch'udito  127 

hai  contra  te,  "    mi  comandò  quel  saggio, 
"  ed  ora  attendi  qui;  "    e  drizzò  il  dito. 

"  Quando  sarai  dinanzi  al  dolce  raggio  130 

di  quella,  il  cui  beli  occhio  tutto  vede, 
da  lei  saprai  di  tua  vita  il  viaggio.  " 


CANTO   X 


103 


Appresso   volse   a   man   sinistra   il   pirdr  :  !:<:< 

lascianmmo   il   muro,   o   gimmo   in   ver   lo   mezzo 
per   un   senlier   eli  ad    una   valle   fiede, 


che   m 


fin  h 


f 


assu  iacea  spiacer  suo  lezzo 


130 


Federico   II,   miniatura   del  sec.   xiv. 
(Roma,  Biblioteca  Cliigiana). 


Caorsa. 


CANTO  XI. 


Anastasio 
papa. 


Basso    in- 
ferno. 


In  SU   1  estremità  d  un  alta  ripa, 

che  facevan  gran  pietre  rotte  in  cerchio, 
venimmo  sopra  più  crudele  stipa  ; 

e  quivi  per  1  orribile  soperchio 

del  puzzo,  che  il  profondo  abisso  gitta, 
CI  raccostammo  dietro  ad   un  coperchio 

d  un  grande  avello  ;   ov'  io  vidi  una  scritta 
che  diceva  :    '  Anastasio  papa  guardo, 
lo  qual  trasse  Fotin  della  via  dritta.  ' 

Lo  nostro  scender  conviene  esser  tardo, 
si  che  s  ausi  prima   un  poco  il  senso 
al  tristo  fiato,  e  poi  non  fia  riguardo. 


10 


106  INFERNO 


Cosi  il   maestro  ;   ed  io  :    "  Alcun  compenso,  "         13 
dissi   lui,    "  trova   che   il   tempo   non   passi 
perduto.  "    Ed  egli  :    "  Vedi  che  a  ciò  penso. 

Figliuol  mio,  dentro  da  cotesti  sassi,  "  16 

cominciò  poi  a  dir,    "  son  tre  cerchietti 
di  grado  in  grado,  come  quei  che  lassi. 

Tutti  son  pien  di  spirti  maladetti  ;  19 

ma   perché   poi   ti   basti   pur  la   vista, 
intendi  come  e  perché  son  costretti. 


Anastasio   li. 
(Roma,  Biblioteca  Vaticana). 


Ingiuria.  D  Ogni  malizia,  eh  odio  in  cielo  acquista,  22 

ingiuria  è  il  fine,  ed  ogni  fin  cotale 
o  con  forza  o  con  frode  altrui  contrista. 

Ma  perché  frode  è  dell  uom  proprio  male,  25 

più   spiace  a   Dio  ;   e   però   stan   di   sutto 
gh  frodolenti,  e  più  dolor  gli  assale. 


CAN  IO   XI, 


107 


Violcn/a. 


De    violciili    il    pillilo   ((McliK)   V   tulio; 
ma   jKMclu'  SI  fa   forza  a   Ire  persone, 
in   Ire   gironi  è   dislinlo   e  coslrullo. 

A   Dio,  a   sé,  al   prossimo  si   puòne 
far  forza;   dico  in  sé  ed  in  lor  cose, 
come  udirai  con  aperta  ragione. 


2K 


:{i 


Torre  di  Giovanni  XXII  a  Caorsa. 


f«saagi 


Morte  per  forza  e  ferute  dogliose 

nel  prossimo  si  danno;   e  nel  suo  avere, 
ruine,  incendi  e  toilette  dannose; 


34 


onde  omicide  e  ciascun  che  mal  fiere, 
guastatori  e  predon,   tutti  tormenta 
lo  giron  primo  per  diverse  schiere. 


37 


108 


INFERNO 


Puote  uomo  avere  in  sé  man  violenta 
e  ne   suoi  beni  ;  e  però   nel  secondo 
giron   convien  che  senza   prò   si   penta 

qualunque   priva   sé   del   vostro   mondo, 
biscazza  e  fonde  la  sua  facultade, 
e  piange  là  dove  esser  dee  giocondo. 


IO 


43 


La  Barbacasse  di  Caorsu. 


Frode 


Puossi  far  forza  nella  deitade,  46 

col  cor  negando  e  bestemmiando  quella, 
e  spregiando  natura  e  sua  bontade; 

e  però  lo  minor  giron  suggella  49 

del  segno  suo  e  Sodoma  e  Caorsa, 
e  chi,  spregiando  Dio  col  cor,  favella. 

La  frode,   ond  ogni  coscienza  è  morsa,  52 

può  l'uomo  usare  in  colui  che   n  lui  fida, 
ed  in  quei  che  fidanza  non  imborsa. 


CAN  IO  XI 


109 


-^' 


■j?te::2 


Caorsa,  portale  nord  della  Cattedrale. 


Questo  modo  di  retro  par  che  uccida 
pur  lo  vinco  d  amor  che  fa  natura; 
onde  nel  cerchio  secondo  s'annida 


55 


no 


INFERNO 


Tradimento. 


Dannati  fuo- 
ri di  Dite. 


ipocrisia,   lusinghe   e  chi  affattura,  58 

falsità,   ladroneccio  e   simonia, 
ruffìan,   baratti,   e  simile  lordura. 

Per  1  altro   modo  quell  amor  s  oblia,  6i 

che   fa   natura,   e   quel   eh  è   poi  aggiunto, 
di  che  la  fede  speziai  si  cria; 

onde  nel  cerchio  minore,  ov  è  il  punto  64 

dell  universo  in  su  che  Dite  siede, 
qualunque  trade,  in  eterno  è  consunto.  " 

Ed  io:    "  Maestro,  assai  chiaro  procede  67 

la  tua  ragione,  ed  assai  ben  distingue 
questo  baratro  e  il  popol  che  il  possiede. 

Ma  dimmi:   quei  della  palude  pingue,  70 

che  mena  il  vento  e  che  batte  la  pioggia 
e  che  s  incontran  con  si  aspre  lingue, 

perché  non  dentro  dalla  città  roggia  73 

son  ei  puniti,   se  Dio  gli  ha  in  ira? 
e  se  non  gh  ha,   perché  sono  a  tal  foggia?  " 

Ed  egli  a  me  :    "  Perché  tanto  delira,  "  76 

disse,    "  lo  ingegno  tuo  da  quel  che  suole  ? 
ower  la  mente  dove  altrove  mira  ? 

Non   ti  rimembra   di  quelle  parole,  79 

con  le  quai  la   tua   Etica   pertratta 
le  tre  disposizion  che  il  ciel  non  vuole, 


CANTO    XI 


InconliiKMi/a,   iiiali/ia   e   la    malia  82 

l)(^slialilacl('?  e   coiTK*   mcoiilincn/.a 
nini    Dio   ()ff(Mul(^   ('   iTKMì    hiasimo   arcalla? 

Se  tu  riguardi  ben  questa   sentenza,  85 

e   recluti   alla   mente   chi   son   quelli 
che  su  di  fuor  sostengon   penitenza, 

tu  vedrai  ben   perché  da  questi  fèlli  88 

sien  dipartiti,  e  perché  men  crucciata 
la  divina  vendetta  gli  martelli.  " 

"  O   sol  che  sani  ogni  vista  turbata,  9i 

tu   mi  contenti  si,  quando  tu  solvi, 
che,   non  men  che  saper,   dubbiar  m  aggrata. 

Usura.  Ancora   un  poco  indietro  ti  rivolvi,  "  94 

diss  IO,    "  là  dove  di    che  usura  offende 
la  divina  boutade,  e  il  groppo  svolvi.  " 

"  Filosofìa,  "    mi  disse,    "  a  chi  la  intende,  97 

nota   non   pure  in   una   sola   parte, 
come  natura  lo  suo  corso  prende 

dal  divino  intelletto  e  da  sua  arte  ;  loo 

e,  se  tu  ben  la  tua  Fisica   note, 
tu  troverai,   non  dopo  molte  carte, 

che  1  arte  vostra  quella,  quanto  puote,  103 

segue,  come  il  maestro  fa  il  discente  ; 
si  che  vostr  arte  a   Dio  quasi  è  nipote. 


12  INFERNO 


Da   queste   due,   se   tu   ti   rechi   a   mente  io(j 

lo  Genesi  dal  principio,  conviene 
prender  sua  vita  ed  avanzar  la  gente. 

E  perché  1  usuriere  altra  via   tiene,  i<'9 

per  sé  natura  e  per  la   sua  seguace 
dispregia,  poiché  in  altro  pon  la  spene. 

Ma  seguimi  oramai,  che  il  gir  mi  piace:  112 

che  1  Pesci  guizzan  su  per  1  orizzonta 
e  il  Carro  tutto  sovra  il  Coro  giace, 

e  il  balzo  via  là  oltre  si  dismonta.  "  iis 


I  Pesci,  scoltura  del  sec.  xiv. 
(Venezia,  San  Jlarco). 


('l'nlitiiro,  scoli  ma  dol  scc.   xiii. 


(Asi-oli  l'icciio). 


CANTO  XII. 


Cerchio  set-     Era  lo  loco,   ove  a  scender  la  riva 

timo,   pii-  .  I  IL'-' 

venimmo,  alpestre,   e,   per  quel  eh  ivi  er  anco, 

mo  girone.  '        r-  '       '    r-         t 

I  violenti.  tal,  eh  Ogni  vista  ne  sarebbe  schiva. 

•  Qual'  è  quella  ruma,   che  nel  fianco 
di  qua  da  Trento  1  Adice  percosse 
o  per  tremuoto  o  per  sostegno  manco, 

che  da  cima  del  monte,  onde  si  mosse, 
al  piano  è  si  la  roccia  discoscesa, 
eh  alcuna  via  darebbe  a  chi  su  fosse  ; 


Minotauro.       cotal   di  quel  burrato  era  la  scesa  ; 
e  in  su   la  punta  della  rotta  lacca 
1  infamia  di  Creti  era  distesa. 


10 


14 


INFERNO 


esco. 


che  fu  concetta   nella   falsa  vacca  ; 
e  quando  vide   noi   sé   stesso   morse, 
si  come  quei,  cui  I  ira  dentro  fiacca. 

Lo  savio  mio  in  vèr  lui  gridò  :    "  Forse 
tu  credi  che  qui  sia  il  duca  d  Atene, 
che  su   nel   mondo  la  morte  ti  porse? 


13 


if) 


.^I^'-'^^-ii^ 


Frana   del   C.ervjio   Bosso   in   vai   d'Adige. 


Partiti,   bestia,   che  questi   non  viene 
ammaestrato  dalla   tua   sorella, 
ma  vassi  per  veder  le  vostre  pene.  " 

Qual   è  quel   toro  che  si   slaccia   in   quella 
che  ha   ricevuto  già    1  colpo   mortale, 
che  gir  non  sa,   ma  qua  e  là  saltella; 


19 


22 


CAN  IO   XII. 


15 


vid'  IO   lo   Minolaino  far  cotale  : 

e  c]ue^li  accorlo   gridò  :    "  Corri   al   var( o  ; 
mentre  eli  è  in   furia,  è   buon  che   tu   ti  cale.  " 


2r» 


Teseo  uccide  il  Minolaiiro. 


(Roma,  Villa  Albani). 


Cosi  prendemmo  via  giù  per  lo  scarco 
di  quelle  pietre,  che  spesso  moviènsi 
sotto  1  miei  piedi  per  lo  nuovo  carco. 


28 


116 


INFERNO 


LabiiiiUo,  scoltura  del  sec.  xm. 


(Pontremoli,  Chiesa  di  S.  Pietro). 


Io  già  pensando;   e  quei  disse:    "  Tu  pensi 
forse   a  questa   rovina,   eh  è   guardata 
da  quell  ira  bestiai  eh  io  ora  spensi. 


31 


Frane  d' in- 
ferno. 


Or  vo'  che   sappi  che  1  altra  fiata, 

ch'i'  discesi  qua  giù  nel  basso  inferno, 
questa  roccia  non  era  ancor  cascata. 


34 


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■5 


CAN  IO   XII. 


17 


Ma    cerio    poco   pria,    se    hcii    discciiio, 
che  venisse   Colui   clic   la   gran    preda 
levò   a    Dile   del   cercluo   superno, 


37 


Terremoto.         da   lulle   parli   1  alla   valle   feda 

tremò   si,   eh  io   pensai   che   1  universo 
sentisse  amor,  per  lo  quale  è  chi  creda 


40 


]\1  inoluuro. 
(Kt)iiia,  .Allisci  Vaticani). 


più  volte  il  mondo  in  caos  converso; 
ed  in  quel  punto  questa  vecchia  roccia 
qui  ed  altrove  tal  fece  riverso. 


43 


Ma  ficca  gli  occhi  a  valle  ;   che  s' approccia 
la   riviera  del  sangue,  in  la  qual  bolle 


qua 


1   che 


)1 


e  per  violenza  in  altrui  noccia. 


Itr 


46 


118 


INFERNO 


O  cieca  cupidigia,   o  ira  folle, 
che  si   CI   sproni   nella   vita   corta, 
e  nell'eterna  poi  si  mal  e  immolle! 


49 


Cenliuiro,  affresco  giottesco. 
(Assisi    -    Cliifsa    di    San    1-^rancfsco). 


Io  vidi  un  ampia  fossa  in  arco  torta, 

come  quella   che   tutto  il   piano  abbraccia, 
secondo  eh  avea  detto  la  mia  scorta; 


DJ. 


Centauri. 


e,   tra  il   pie  della  ripa  ed  essa,  in  traccia, 
correan   Centauri  armati   di   saette, 
come  solean  nel  mondo  andare  a  caccia. 


oo 


CANIO   Xll.  Il'-' 


V('(I(mk1()(1   calar,   ciascun   nslctlc,  -OH 

e  della   sclìUTa   tre   si   clipailno 
con  ardii   ed  aslicciuolc   prima   delle. 

E  I  un   gridò   da   lungi  :    "  A   qual   marliro  61 

venite  voi,   die   scendete   la   costa  ? 
Ditel  costinci;   se  non,   l'arco  tiro.  " 


64 


Lo  mio  maestro  disse  :    "  La  risposta 
[arem  noi  a  Chiron  costà  di  presso: 
mal  fu  la  voglia   tua  sempre  si  tosta.  " 

Nesso.  Poi  mi  tentò  e  disse  :    "  Quegli  è  Nesso,  67 

che  mori  per  la  bella   Deianira, 
e  fé   di  sé  la  vendetta  egli  stesso; 

Chiione.  e  quel  di  mezzo,   che  al  petto  si  mira,  70 

è  il  gran  Chirone,  il  qual  nudri  Achille; 
quell'altro  è  Polo,  che  fu  si  pien  d'ira. 

D  intorno  al   fosso  vanno  a   mille  a   mille,  73 

saettando  quale   anima   si  svelle 
del  sangue  più  che  sua  colpa  sortille.  " 

Noi  CI  appressammo  a  quelle  fiere  snelle  ;  76 

Ghiron  prese  uno  strale,   e  con  la  cocca 
fece  la  barba  indietro  alle  mascelle. 

Quando  s  ebbe  scoperta  la  gran  bocca,  79 

disse  ai  compagni:    "  Siete  voi  accorti, 
che  quel  di  retro  muove  ciò  ch'ei  tocca? 


20  INFERNO 


Cosi   non   soglion   fare   i   pie   de    morti.  "  82 

E  il   mio   buon   duca,   che   già   gli   era   al   petto, 
dove   le  duo   nature   son   consorti, 

rispose  :    "  Ben  è  vivo,  e  si  soletto  85 

mostrarli  mi  convien  la  valle  buia  : 
necessità    1  conduce,  e  non  diletto. 

Tal  si  parti  da  cantare  alleluia,  88 

che  mi  commise  quest  officio  nuovo; 
non  è  ladron,  né  io  anima  fuia. 

Ma  per  quella  virtù,   per  cui  io  muovo  91 

il  passi   miei   per  si   selvaggia   strada, 
danne   un   de    tuoi,   a   cui   noi   siamo  a   pruovo, 

che  ne  dimostri  là  ove  si  guada,  94 

e   che   porti   costui   in   su   la   groppa  ; 
che  non   è   spirto   che   per   1  aer  vada.  " 

Chiron  si  volse  in  sulla  destra  poppa,  97 

e  disse  a   Nesso  :    "  Torna,   e  si  li   guida, 
e  fa   cansar,   s' altra   schiera   v  intoppa.  " 

Noi  ci  movemmo  con  la  scorta  fida  loo 

lungo  la  proda  del  bollor  vermiglio, 
ove  1  bolliti  facean  alte  strida. 

Tiranni.  \q  yidi  gente  sotto  infino  al  ciglio  ;  103 

e  il   gran   Centauro   disse  :    "  Ei   son   tiranni 
che   diér   nel   sangue,   e   nell  aver  di   piglio. 


j-( 


If^ffe-^ 


Chiesa  di  S.  Sili>€stro  (oggi  del  Gesù)  a  Viterbo 
dove  Guido  da  Monforte  uccise  Arrigo  d'  Inghilterra. 


Londra.  -  Tomba  di  Odoardo  il  Confessore  (1278)  dove  fu  posto  il  cuore  di  Arrigo. 
(Dalla  riproduzione  in  Gasici  S.  Angelo  di  Roma). 


Londra  e  il  Tamigi,  miniatura  del  sec.  xv. 
(Londra,  British  Miiseum). 


CANTO    XII  121 


Quivi   si    |)ian|i[()ìi    li    spieiati   danni,  i'"- 

quivi   è   Alessandro   e    Dionisio   Icro 
che   {e    Cicilia   av(M    dolorosi   anni  ; 

e  quella   fronte   e  Ila    il    pel   cosi    nero  i"'' 

è  Azzolino,   e  quell  altro  eli  è   biondo 
è  Obizzo  da   Esti,   il  qual   per  vero 

fu  spento  dal  figliastro  su  nel   mondo.  112 

'  Allor  mi  volsi  al   poeta,   e  quei  disse: 
"  Questi  ti  sia   or  primo,   ed  10  secondo. 

Omicidi.  Poco  più  oltre  il  Centauro  s  affisse  115 

sopra   una  gente,  che  infino  alla  gola 
parca  che  di  quel  bulicame  uscisse. 

Guido  di        Mostrocci  un'ombra  dall' un  canto  sola,  ii« 

Monfoite.  11       II  r-  1  •  f'        •  u         n- 

dicendo  :       Colui   tesse  m   grembo   a   Uio 

lo  cor  che  m  sul  Tamigi  ancor  si  cola.  " 

Poi  vidi  gente,   che  di  fuor  del  no  121 

tenea  la  testa  ed  ancor  tutto  il  casso; 
e  di  costoro  assai  nconobb'  10. 

Cosi  a   più  a  più   si  facea  basso  124 

quel  sangue  si  che  cocca  pur  li  piedi  ; 
e  quivi  fu  del  fosso  il  nostro  passo. 

Si  come  tu  da  questa  parte  vedi  127 

lo  bulicame  che  sempre  si  scema,  " 
disse  il  Centauro,    "  voglio  che  tu  credi 


22 


INFERNO 


('•nido  (li  Manforte  uccide  Arrigo  (ì'Jnf/liilterra,  miniatura  del  sec.  xiv. 
(Roma,   IJihlioli'ia   ('.liif<iana). 


^*immiliftWMqttttfimmct-ftwt»r 
cmn^t^idcst*)t«c0  oremus  Ccnixrtntt 


litiamlÀitftiiiu^Uttt 


uilum^utmttmc 


ji. 


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^à? 


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■•^ 


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^ 


Loruìrci,  disegno  del  secolo  xv, 
(Londra.  Brilish  .Muscum). 


CAN  IO   XII 


12  J 


clic   (la   cjLicsl'ahra   a    pili   a    più   giù   prema 
lo   fondo   suo,   infili   eli' ri   si   raggiungo 
ove   la   tirannia   convicn   clic   gema. 


i;s(i 


La   divina   giustizia   di   qua   punge 
queir  Attila   che   fu   flagello   in   terra, 
e  Pirro  e  Sesto:   ed  in  eterno  munge 

le  lagrime,  che  col   bollor  disserra 

a  Rinier  da  Corneto,  a   Rinier  Pazzo, 
che  fecero  alle  strade  tanta  guerra.  " 


ISA 


VM\ 


)lse, 


oi  si  rivolse,  e  ripassossi  il  guazzo 


i  il 


139 


Cenlaiiro,  scoltura  del  sec.  xiv. 
(Venezia,  San  Marco). 


U,    ^j:J,^,-r 


Cd f citi  (il  ciiiiìtilc. 


CC'iiiii|iÌKllii    Miit'illiiiiii   -  C.liit'Mi). 


CANTO  XIII. 


Cerchio  settimo,    Non  era  ancor  di  là   Nesso  arrivato, 

secondo  giro-  ...  , 

ne.  -  Violenti        quando  noi  CI  mettemmo  per  un   bosco, 
che  da  nessun  sentiero  era  segnato. 


contro  sé. 


Sei 


va. 


Non  frondi  verdi,   ma   di   color  fosco  ; 
non  rami  schietti,   ma  nodosi  e  involti  ; 
non  pomi  v  eran,   ma  stecchi  con  tòsco. 

Non  han  si  aspri  sterpi  né  si  folti 

quelle  fiere   selvagge,   che  in   odio   hanno 
tra  Cecina  e  Corneto  i  luoghi  cólti. 

Quivi  le  brutte  arpie  lor  nido  fanno, 
che  cacciar  delle  Strofade  i  Troiani 
con  tristo  annunzio  di  futuro  danno. 


10 


126 


INFERNO 


Il  fiume  Cecina. 


Cornelo. 


CAN  Tu   XIII. 


127 


Aipf 


pie. 


AI(*   lìamio   lal(\   e  colli   r   visi    iiinam, 

pie   con   ardigli,   e   pennuto   il   gran    venire; 
fanno   lanicnli   in   su   gli   alberi   sliani. 

Lo   buon   maestro  :    "  Prima   che   più   entr(% 


girone, 


sappi  che  se   nel  secondo 

mi  cominciò  a  due,    "  e  sarai,   mentre 


IM 


i('> 


Arpie,  scoltura  romanica. 


(Cremona,  Duomo). 


che  tu  verrai  nell  orribil  sabbione  : 
però  riguarda  bene,  e  si  vedrai 
cose  che  torrien  fede  al  mio  sermone.  " 

Io  sentia  da  ogni  parte  tragger  guai, 
e  non  vedea  persona  che  il  facesse; 
per  eh  io  tutto  smarrito  m'arrestai. 

Io  credo  eh  ei  credette  eh  io  credesse 
che  tante  voci  uscisser  tra  que'  bronchi 
da  gente  che  per  noi  si  nascondesse. 


19 


22 


25 


128 


INFERNO 


Però   disse   il   maestro  :    "  Se   tu   tronchi 
qualche   fraschetta   d'una   deste   piante, 
li  pensier  e  nai  si 


li   Densier  e  hai   si  faran   tutti   monchi.  " 


28 


Arjiid,  scolturn  (Icll'Anlclaiiii  (scc.  xii). 
(Borgo  Siili    Diiiiniiiu,    Duomo). 


Pier   della 
Vigna. 


Allor  porsi  la  mano  un  poco  avante,  31 

e  colsi  un  ramicel  da  un  gran  pruno; 
e  il  tronco  suo  gridò  :  "  Perché  me  schiante  ?  " 

Da  che  fatto  fu  poi  di  sangue  bruno,  34 

ricominciò  a  gridar  :    "  Perché  me  scerpi } 
non  hai  tu  spirto  di  pietate  alcuno  ? 


Uomini  fummo,   ed  or  sem  fatti  sterpi  : 
ben   dovrebb  esser   la   tua   man   più   pia, 
se  state  fossim  anime  di  serpi.  " 


37 


CAN  IO   XIII 


\Z') 


CoiiK*   (1  mi   sli//()   verde,   clic   arso   sia 
dall  un   d(*    capi,   die   dall  allro   geme 
e  cigola   per   vento   clu^   va   via  ; 


■Ut 


Presunto  ritratto  di  Pier  delUi   Vigna. 
(Capua,  Museo). 


si  della  scheggia  rotta  usciva  insieme 
parole  e  sangue  ;   ond  io  lasciai  la  cima 
cadere,  e  stetti  come  I  uom  che  teme. 


43 


"  S  egli  avesse  potuto  creder  prima,  " 
rispose  il  savio  mio,    "  anima  lesa, 
ciò  e  ha  veduto  pur  con  la  mia  rima, 


46 


130  INFERNO 


non  averebbe  in  te  la   man  distesa;  49 

ma   la  cosa  incredibile   mi   fece 
indurlo  ad   opra,   che   a   me   stesso   pesa. 

Ma   dilli  chi  tu  fosti,  si  che,   in  vece  52 

d  alcuna  ammenda,  tua  fama  rinfreschi 
nel  mondo  su,  dove  tornar  gli  lece.  " 

E  il  tronco:    "  Si  con  dolce  dir  m'adeschi  55 

eh  IO   non   posso   tacere;   e  voi   non   gravi 
per  eh  10   un   poco   a   ragionar   m  inveschi. 

Io  son  colui  che  tenni  ambo  le  chiavi  58 

Federico  II.  del   cor  di   Federico,   e   che   le  volsi 

serrando  e   disserrando   si   soavi, 

che  dal  segreto  suo  quasi  ogni  uom  tolsi  :  6i 

fede  portai   al   glorioso   ufìzio, 
tanto  eh  io  ne  perdei  lo  sonno  e  i  polsi. 

La   meretrice,   che   mai   dall  ospizio  64 

Invidia.  (ji  Cesare  non   torse  gli   occhi   putti, 

morte   comune  e   delle   corti  vizio, 

infiammò  contra  me  gli  animi  tutti;  67 

e  gli  infiammati  infiammar  si  Augusto, 
che  1   lieti  onor  tornaro  in   tristi   lutti. 


L  animo  mio  per  disdegnoso  gusto, 
credendo  col  morir  fuggir  disdegno, 
ingiusto  fece   me   contra   me   giusto. 


70 


CAN  ICJ   XIII. 


lil 


Hesli  ili'l  castello  ili  S.  Miniato  al  Tedesco,  dove  fu  prigioniero  Pier  della  Vù/nti. 


Per  le  nuove  radici  desto  legno 

vi  giuro  che  giammai  non  ruppi  fede 
al  mio  signor,  che  fu  d'onor  si  degno. 


73 


E  se  di  VOI  alcun  nel  mondo  riede, 
conforti   la  memoria  mia  che  giace 
ancor  del  colpo  che  invidia  le  diede.  " 


76 


132  INFERNO 


)U1C1 


Un   poco  attese,   e   poi  :    "  Da   eh  ei   si   tace,  "        7!) 
disse  il  poeta  a   me,    "  non   perder  1  ora  ; 
ma  parla,  e  chiedi  lui  se  più  ti  piace.  " 

Ond  io   a   lui  :    "  Dimandai   tu   ancora  82 

di  quel   che  credi   che  a   me   satisfaccia; 
ch'io  non  potrei,   tanta  pietà  m'accora.  " 

Però  ricominciò  :    "  Se  1  uom  ti  faccia  85 

hberamente  ciò  che  il   tuo  dir   prega, 
spinto  incarcerato,  ancor  ti  piaccia 

di  dirne  come  1  anima  si  lega  88 

di-  in  questi  nocchi;   e   dinne,   se   tu   puoi, 

s  alcuna  mai  da  tai  membra  si  spiega. 


Il 


Allor  soffiò  lo  tronco  forte,   e  poi  9i 

SI  converti  quel  vento  in  cotal  voce  : 
"  Brevemente  sarà  risposto  a  voi. 

Quando  si  parte  1  anima  feroce  94 

dal  corpo   ond  ella   stessa   s  è   divelta, 
Minos  la  manda  alla  settima  foce. 

Cade  in  la  selva,  e  non  1  è  parte  scelta  ;  97 

ma  là  dove  fortuna  la  balestra, 
quivi  germoglia  come  gran  di  spelta  ; 

surge  in  vermena  ed  in  pianta  silvestra  :  loo 

1  Arpie,   pascendo   poi   delle  sue  foghe, 
fanno  dolore,   ed  al  dolor  finestra. 


CANIO   Xlll.  133 


Come    r  altre   vcncin    |)(r    iioslic   sjìoglie,  i";{ 

ina   non    però   eli  alcuna   seii   iiv(\sta; 
che   non   e   giusto  aver   ciò   eli  uoni   si   l()glu^ 

Qui   le  liascineremo,  e  per  la   mesta  106 

selva   saranno   i   nostri   corpi   appesi, 
ciascuno  al   prun  dell  ombra  sua   molesta.  " 

Noi  eravamo  ancora  al  tronco  attesi,  109 

credendo  eh  altro  ne  volesse  dire, 
quando  noi  fummo  d  un  romor  sorpresi, 

similmente  a  colui  che  venire  112 

sente  il  porco  e  la  caccia  alla   sua  posta, 
eh  ode  le  bestie  e  le  frasche  stormire. 

Scialacqua-      Ed  ecco  due  dalla  sinistra  costa,  115 


tori. 


nudi  e  graffiati,  fuggendo  si  forte, 
che  della  selva  rompièno  ogni  rosta. 

Quel  dinanzi:  "  Ora  accorri,  accorri.  Morte!  "         118 
e  1  altro,  a  cui  pareva  tardar  troppo, 
gridava  :    "  Lano,   si  non  furo  accorte 

Lano  da        le  gambe  tue  alle  giostre  del  Toppo;  "  121 

e  poiché  forse  gli  fallia  la  lena, 
di  sé  e  d  un  cespuglio  fece  un  groppo. 

Di  retro  a  loro  era  la  selva  piena  124 

di  nere  cagne,   bramose  e  correnti 
come  veltri  che  uscisser  di  catena. 


134 


INFERNO 


^,'dj*:.\- 


Pieve  al   Toppo. 


In  quel  che  s  appiattò  miser  li  denti, 
e  quel   dilacerare  a   brano  a   brano; 
poi   sen  portar  quelle   membra   dolenti. 


127 


Presemi  allor  la  mia  scorta  per  mano, 
e  menommi  al  cespuglio  che  piangea, 
per  le  rotture  sanguinenti,  invano. 


130 


CAN  IO   XIII. 


135 


Jacopo  (1.1      "  ()    Iacopo  "    (luca    "  da  Sani  Andrea, 

S.  AuiIkM.  I  '   .  •  I"  f  I  x 

(■|ì(^   l  ('   {giovalo   eli   nu*  lare   schcriiio  } 

clic   colpa    Ilo   IO   della  tua   vila   rea? 


x.s 


Quando   il   maestro   fu   sopr  esso   fermo, 
disse  :    "  Clii   fusti,   che   per   tante   punte 
soffi  con  sangue  doloroso  sermo  ?  " 


1  :?c. 


La  statuii  (li  Milite  <t  l'onte   Veccliio  in  Mrenze,  miniatura  del  sec.  xiv. 
(Homa,   liililiotcca   Chisiana). 


E  quegli  a  noi:  "  O  anime,   che  giunte 
siete  a  veder  lo  strazio  disonesto 
e  ha  le  mie  fronde  si  da  me  disgiunte. 


139 


nenze. 


raccoglietele  al  pie  del  tristo  cesto. 
Io  fui  della  città  che  nel   Batista 
mutò    I  primo  patrono;   ond'ei  per  questo 


142 


36  INFERNO 


sempre  con   1  arie   sua   la   farà   trista  :  1 1') 

e   se   non   fosse   che   in   sul   passo  d  Arno 
rimane  ancor  di   lui   alcuna   vista, 

quei   cittadin,   che   poi   io   rifondarno  1 18 

sopra   li   cener  che  d  Attila   rimase, 
avrebber  fatto  lavorare  mdarno. 

Io  fei  giubbetto  a  me  delle  mie  case.  "  i^i 


Il   nionir    liìn  in   ('.iclii. 


CANTO  XIV. 


Cerchio  ter-     Poi  che  la  Carità  del  natio  loco 

zo,  settimo  .         .  •    i       r         i 

girone  ^^  Strinse,  raunai  le  rronde  sparte, 

e  rende   le  a  colui  eh  era  già  fioco. 


Indi  venimmo  al  fine,   ove  si   parte 
lo  secondo  giron  dal  terzo,   e  dove 
si  vede  di  giustizia  orribil' arte. 


A  ben  manifestar  le  cose  nuove, 
dico  che  arrivammo  in  una  landa, 
che  dal  suo  letto  ogni  pianta  rimuove. 

La  dolorosa  selva  l'è  ghirlanda 

intorno,  come  il  fosso  tristo  ad  essa: 
quivi  fermammo  i  passi  a  randa  a  randa. 


10 


38  INFERNO 


Arena.  Lo  spazzo  era   un  arena  arida  e  spessa,  13 

non   d  altra   foggia   fatta   che  colei 
che  fu  da   pie  di  Caton  già  soppressa. 

O  vendetta  di   Dio,  quanto  tu  dèi  ifi 

esser   temuta   da   ciascun   che   legge 
ciò  che  fu  manifesto  agli  occhi  miei  ; 

D  anime  nude  vidi  molte  gregge,  19 

che  piangean  tutte  assai  miseramente, 
e  parea   posta   lor  diversa   legge. 

Supin  giaceva  in  terra  alcuna  gente,  22 

alcuna   si  sedea   tutta  raccolta, 
ed  altra  andava  continuamente. 

Quella   che   giva   intorno  era   più   molta,  25 

e   quella   men   che   giaceva  al   tormento, 
ma   più   al   duolo  avea   la   lingua   sciolta. 

Pioggia  di        Sopra  tutto  il  sabbion  d  un  cader  lento  28 

piovean  di  foco  dilatate  falde, 
come  di  neve  in  alpe  senza  vento. 

Quah  Alessandro  in  quelle  parti  calde  3i 

d  India  vide  sopra  lo  suo  stuolo 
fiamme  cadere  infìno  a  terra  salde  ; 

per  eh  ei  provvide  a  scalpitar  lo  suolo  34 

con  le  sue  schiere,  a  ciò  che  lo  vapore 
me'  SI  stmgueva  mentre  eh  era  solo  ; 


CAN  IO   XIV. 


139 


Alessandro  Muyno,  iiiinialiira  del  sec.  xi. 
(Venezia,  S.  Giorgio  dei  Greci). 


tale  scendeva  l  eternale  ardore  ; 

onde  1  arena  s  accendea,   com  ésca 
sotto  focile,  a  doppiar  lo  dolore. 


37 


140  INFERNO 


Violenti  con-    Senza   riposo   mai   era   la   tresca  40 

tio  Dio.  1  11  •  •     r  •     • 

delle   misere   mani,   or   quindi   or  quinci 

iscotendo  da  sé  1  arsura  fresca. 


Io   cominciai  :    "  Maestro,   tu   che  vinci  43 

tutte   le   cose,   fuor  che   i   demon   duri, 
che  ali  entrar  della  porta  incontro  uscinci, 

chi  è   quel   grande   che   non   par   che   curi  46 

r  incendio   e   giace   dispettoso  e   torto 
si  che  la  pioggia  non  par  che  il  maturi  ?  " 

E  quel  medesmo,  che  si  fu  accorto  49 

eh  IO  domandava  il  mio  duca  di  lui, 
Capaneo.  gridò  :    "  Qual   io  fui  VIVO,   tal  son   morto. 

Se  Giove  stanchi  il  suo  fabbro,   da  cui  52 

crucciato  prese  la  folgore  acuta, 
onde  1  ultimo  di  percosso  fui  ; 

o  s'egli  stanchi  gh  altri  a  muta  a  muta  55 

in  Mongibello  alla  fucina  negra, 
chiamando  :    '  Buon  Vulcano,  aiuta,  aiuta, 


I 


si  com  ei  fece  alla  pugna  di  Flegra,  58 

e  me   saetti  di  tutta   sua   forza, 
non  ne  potrebbe  aver  vendetta  allegra.  " 

Allora  il  duca  mio  parlò  di  forza  6i 

tanto,   ch'io   non   l'avea   si   forte   udito: 
"  O  Capaneo,  in  ciò  che  non  s  ammorza 


CAN  IO   XIV. 


la   tua    sii|)(Ml)ia,   se    lii    |)iii    pimilo: 

luillo   martino,   fuor   (  Ik*   la    tua    lahhia, 
sai('l)l)(^   al   tuo   furor   dolor   coui|)it().  " 

Poi   SI   rivolse  a   me  con   miglior   labbia, 
dicendo:    "  Quel   fu   1  un   de    selle   regi 
eli  assiser  Tebe;   ed   ebbe   e   par  eh  egli   abbia 


tii 


♦iV 


UElna  o  Monsibdlo. 


Flegetonte. 


Dio  in  disdegno,  e  poco  par  che  il  pregi:  70 

ma,  come  io  dissi  lui,   li  suoi  dispetti 
sono  al  suo  petto  assai  debiti  fregi. 

Or  mi  vien  dietro,  e  guarda  che  non  metti  73 

ancor  li  piedi  nell  arena  arsiccia, 
ma  sempre  al  bosco  li  ritieni  stretti.  " 

Tacendo  divenimmo  là  ove  spiccia  76 

fuor  della  selva  un  piccol  flumicello, 
lo  cui  rossore  ancor  mi  raccapriccia. 


142 


INFERNO 


Bui 


icame. 


Veglio  di 
Creta. 


Quale   del   Bulicame   esce   ruscello,  79 

che  parton  poi  tra   lor  le  peccatrici, 
tal  per  1  arena  giù  sen  giva  quello. 

Lo   fondo   suo   ed  ambo  le   pendici  82 

fatt  eran   pietra,   e   i   margini   da   lato  : 
per  eh  IO  m  accorsi  che  il  passo  era  liei. 

"  Tra  tutto  1  altro  eh  io  t  ho  dimostrato,  85 

poscia  che  noi  entrammo  per  la  porta, 
lo  cui  sogliare  a  nessuno  è  negato, 

cosa  non  fu  dalli  tuoi  occhi  scorta  88 

notabil   come   lo  presente  rio, 
che  sopra  sé  tutte  fiammelle  ammorta.  " 

Queste  parole  fur  del  duca  mio;  9i 

per  che  il  pregai  che  mi  largisse  il  pasto 
di  CUI  largito  m  aveva  il  disio. 

"  In  mezzo  mar  siede  un  paese  guasto,  "  94 

diss'egli  allora,    "  che  s  appella  Creta, 
sotto  il  CUI  rege  fu  già  il  mondo  casto. 


Una  montagna  v  è,  che  già  fu  lieta  97 

Monte  Ida.  d'acque  e   di  fronde,   che   si  chiamò   Ida; 

ora  è  diserta  come  cosa  vieta. 

Rea   la   scelse   già   per  cuna  fida  loo 

del   suo  figliuolo  ;   e,   per   celarlo  meglio, 
quando  piangea,  vi  facea  far  le  grida. 


CAN  IO   XIV.  143 


Dentro   dal   nionlr   sia   drillo   un   tjran   veglio,  i">:i 

elle   licn   volle   le   s|)alle   in    vèr    Dannata, 
e  Roma   guata   si   come  suo   speglio. 

La  sua  testa  è  di  fin  oro  formata,  .  !'»<• 

e   puro  argento   son   le   braccia   e   il   petto, 
poi  è  di  rame  infino  alla  forcata  ; 


!-i'>  «W 


Dannata,  da  acquerello. 

da   indi   in   giuso  è   tutto  ferro  eletto,  iu9 

salvo  che  il  destro  piede  è  terracotta, 
e  sta  in  su  quel,  più  che  in  su  l'altro,  eretto. 

Ciascuna  parte,  fuor  che  l'oro,  è  rotta  112 

d  una  fessura  che  lagrime  goccia, 
le  quah  accolte  fóran  quella  grotta. 

Fiumi        Lor  corso  in  questa  valle  si  diroccia:  ii5 

d'Averno.  r  .     ,  ^  •  r-i 

ranno  Aciieronte,   otige  e  riegetonta; 
poi  sen  van  giù  per  questa  stretta  doccia 


144 


INFERNO 


Cocilo. 


infin   là   ove   più   non   si   dismonla  :  ii« 

fanno   Cocito;   e  qual   sia   quello   stagno, 
tu  il   vederai,   però   qui   non   si  conta.  ' 

Ed   IO  a   lui  :    "  Se   il   presente  rigagno  121 

SI  deriva  cosi  dal  nostro  mondo, 
perché  ci  appar  pure  a  questo  vivagno?  " 


Alessandro  Magno,  scoltura  del  scc.  xii. 


(Venezia,  San  Marco). 


Ed  egli  a  me  :   "  Tu  sai  che  il  loco  è  tondo, 
e,   tutto  che  tu  sii  venuto  molto 
pur  a  sinistra,   giù  calando  al  fondo, 

non  se'  ancor  per  tutto  il  cerchio  vòlto  ; 
per  che  se  cosa  n  apparisce  nuova, 
non  dee  addur  maraviglia  al  tuo  volto.  " 

Ed  io  ancor:    "  Maestro,   ove  si  trova 
Flegetonte   e   Lete  ;   che   dell  un   taci, 
e   l'altro  di'  che   si   fa   desta   piova?  " 


124 


127 


130 


o 


5 

i5 


CANTO  XIV.  143 


"  In    liiHc   liK^  qucslion   corto   mi    piaci,  "  i '^'5 

rispose;       ma    il    hollor   (l('lla((|ua    rossa 
dovca   l)cn   soIv(m    I  una   cIk^   lu   faci. 

Lete.  Lete  vedrai,   ma   fuor  di  questa  fossa,  i:u; 

là   ove  vanno   1  anime  a   lavarsi, 
quando   la   colpa   pentuta   è   rimossa.  " 


\:v.) 


Poi  disse  :       Omai  è  tempo  da  scostarsi 
dal   bosco  ;   fa  che  di  retro  a   me  vegne  : 
li  margini  fan  via,  che  non  son  arsi. 


e  sopra  loro  ogni  vapor  si  spegne.  "  142 


® 


Hriii/fiiii.   miniai ur;i   ticl  si'C.   xv. 


(itirsl:iii,    Mihliiilr'c:!). 


CANTO  XV. 

Margini.       Ora  cen  porta  l'un  de'  duri  margini, 

e  il  fummo  del  ruscel  di  sopra  aduggia 
si  che  dal  foco  salva  1  acqua  e  gli  argini. 

Quale  1  fiamminghi  tra  Guizzante  e  Bruggia, 
temendo  il  fiotto  che  ver  lor  s'avventa, 
fanno  lo  schermo,  perché  il  mar  si  fuggia; 


Fra  Giiizziinle  e  Brugyia,  niinialura  del  sec.  xv.  (Breslau,  Blblioleca). 


e  quale  i  Padovan  lungo  la  Brenta, 
per  difender  lor  ville  e  lor  castelli, 
anzi  che  Chiarentana  il  caldo  senta  ; 


148 


INFERNO 


a  tale  imaglne  eran  fatti  quelli, 
tutto  che  né  si  alti  né  si  grossi, 
qual  che  si  fosse,   lo  maestro  felli. 


10 


Già  eravam  dalla  selva  rimossi 

tanto,  eh  io  non  avrei  visto  dov'era, 
per  eh  IO  indietro  rivolto  mi  fossi  ; 


13 


La  Brenta  in  Carinzia  (Chiarentana). 


Violenti  con-      quando  incontrammo  d  anime  una  schiera, 

tro   natura.  i  ,  i  r         • 

CI     •,•  che  venian  lungo  1  arsine  ;   e  ciascuna 

oodomiti.  =>  =* 

ci  riguardava,  come  suol  da  sera 


16 


guardar  1  un  l  altro  sotto  nuova  luna, 
e  si  ver  noi  aguzza van  le  ciglia, 
come  vecchio  sartor  fa  nella  cruna. 


19 


CANIO   XV. 


\A') 


Brunetto 
Latini. 


Cosi   adocc  Inalo   da   colai   famiglia, 
lui  conosciulo   da   un,   die   ini   prese 
per   lo   lomho  e   gridò  :    "  Qiial   maraviglia  ?  " 

Ed   IO,   quando   il   suo   braccio  a   me   distese, 
ficcai   gli   ocelli   per   lo  collo  aspetto 
si  che  il  viso  abbrucialo  non  difese 

la  conoscenza  sua  al   mio  intelletto  ; 
e  chinando  la   mano  alla  sua  faccia, 
risposi  :    "  Siete  voi  qui,  ser  Brunetto  ?  " 

E  quegli:  "  O  figliuol  mio,  non  ti  dispiaccia,    ;ìi 
se  Brunetto  Latini   un  poco  teco 
ritorna  indietro,  e  lascia  andar  la  traccia.  " 

Io  dissi  a  lui  :  "  Quanto  posso  ven  preco  ;        34 
e  se  volete  che  con  voi  m  asseggia. 


•)•} 


j:;) 


28 


faròi,   se  piace  a  costui,   che  vo  seco. 


Il 


"  O  figliuol,  "  disse,  "  qual  di  questa  greggia    37 
s  arresta  punto,  giace  poi  cent'  anni 
senza  arrostarsi  quando  il  foco  il  feggia. 


Però  va  oltre  ;  io  ti  verrò  a   panni,  io 

e  poi  rigiugnerò  la  mia  masnada, 
che  va  piangendo  i  suoi  eterni  danni.  " 

Io  non  osava  scender  della  strada  43 

per  andar  par  di   lui  ;   ma  il  capo  chino  avanzo  dei  sepolcro 

,  »  1  ,1  di  Brunello  Lalini. 

tenea,   com  uom  crie  reverente  vada.  (Firenze, s.  Maria  Maggiore). 


50 


INFERNO 


Ei   cominciò  :    "  Qual   fortuna   o  destino 
anzi  1  ultimo  di  qua  giù   ti  mena? 
e  chi  è  questi   che   mostra   il   cammino?  " 


46 


Smairimento 
di  Dante. 


"  Là  SU  di  sopra  in  la  vita  serena,  " 
rispos  IO    lui,    "  mi   smarrì     in   una   valle, 
avanti  che  1  età   mia  fosse  piena. 


49 


Pur  ler  mattina  le  volsi  le  spalle  : 

questi  m  apparve,   tornand  io  in  quella, 
e  riducemi  a  ca'  per  questo  calle.  " 


52 


Profezia  di       EJ  egli  a  me  :    "  Se  tu  segui  tua  stella. 

Dante.  •    f  ir  i     • 

non  puoi  tallire  a  glorioso  porto, 
se  ben  m  accorsi  nella  vita  bella  ; 


55 


Mura  dell'antica  Fiesole. 


e  s  io  non  fossi  si  per  tempo  morto, 
veggendo  il  cielo  a  te  cosi  benigno, 
dato  t  avrei  ali  opera  conforto. 


58 


CAN  lo   XV. 


151 


Giona  di  Dan- 
te preconiz- 
zata. 


Ma   qiK^ll  mijjrato   poj)()lo   maligno,  «i 

dir   discese   di   Fiesole   ah   antico 
e   tiene  ancor   del   inonl(^  e   del   macigno, 

ti  si  farà,   per  tuo  ben  far,   nimico  ;  64 

ed  è  ragion,  che  tra   li   lazzi  sorhi 
si   disconvien   fruttare  al   dolce   fico. 


I  Fiorentini. 


Vecchia  fama  nel  mondo   li  chiama  orbi,  67 

gente  avara,   invidiosa   e   superba  : 
da'  lor  costumi  fa   che  tu  ti  forbì. 

La  tua  fortuna  tanto  onor  ti  serba,  70 

che  luna  parte  e  1  altra  avranno  fame 
di  te  ;   ma  lungi  fìa  dal  bécco  1  erba. 

Faccian  le  bestie  fìesolane  strame  73 

di  lor  medesme,  e  non  tocchin  la  pianta, 
s  alcuna  surge  ancor  nel  lor  letame, 

in  cui  riviva  la  sementa  santa  76 

di  quei  Roman,  che  vi  rimaser,  quando 
fu  fatto  il  nido  di  malizia  tanta.  " 


"  Se  fosse  tutto  pieno  il  mio  dimando,  "  79 

risposi  lui,    "  voi  non  sareste  ancora 
dell  umana  natura  posto  in  bando  ; 


che  in  la  mente  m  è  fìtta,   ed  or  m'accora,         ^2 
la  cara   e  buona   imagine   paterna 
di  voi,  quando  nel  mondo  ad   ora  ad  ora 


52  INFERNO 


m' insegnavate  come  1  uom  s  eterna  ;  85 

e  quanl' io   l'abbia   in   grado,   nnentre   io  vivo 
convien  che  nella  mia   lingua  si  scerna. 

Ciò  che  narrate  di  mio  corso  scrivo,  «8 

e  serbolo  a   chiosar   con   altro   testo 
Beatrice.  a  donna  che  saprà,  se  a  lei  arrivo. 

Tanto  vogl'io  che  vi  sia  manifesto,  9i 

pur  che  mia  coscienza  non   mi  garra, 
che  alla   fortuna,   come  vuol,  son  presto. 

Non  è  nuova  agli  orecchi  miei  tale  arra  ;  ^  i 

però  giri  fortuna  la  sua  rota, 
come  le  piace,  e  il  villan  la   sua   marra. 


fi 


Lo   mio   maestro  allora   in   su  la   gota  97 

destra  si  volse  indietro,   e  riguardommi; 
poi  disse:    "  Bene  ascolta  chi  la  nota. 

Né  pertanto  di  men  parlando  vommi  loo 

con  ser   Brunetto,  e  domando  chi  sono 
li  suoi  compagni  più  noti  e  più  sommi. 

Ed  egli  a  me:    "  Saper  d'alcuno  è  buono:  103 

degli  altri  fìa   laudabile  tacerci, 
che  il  tempo  saria  corto  a  tanto  suono. 

Insomma  sappi  che  tutti  fur  cherci  106 

e  letterati  grandi  e  di  gran  fama, 
d'un  medesmo  peccato  al  mondo  lerci. 


-'jcagì.y^A 


Sepolcro  d'Accorso  e  dì  suo  figlio  Francesco,  in  Bologna, 


CAN  IO   XV. 


153 


Francese  o 
d'Accorso. 


Prisciaiì   son   va   con   quella    liiiha   grama,  i"'» 

V   Francesco   ci  Accorso   arìclic  ;   e   vedervi, 
s  avessi   aviilo  di   lai   tigna    hrama, 


fmc  j>ià  "dff 
fmc  (fin  tTS 
(tue  jciii  tre 


Prisciano,  miniat.  del  scc.  xiv  (dulia  r.iinro/ie  (/<//e  Vir/i'/  <>  de/fe  Sciente). 


Andrea    de' 
Mozzi. 


colui  potei  che  dal  servo  de'  servi 

fu  trasmutato  d'Arno  in   Bacchiglione, 
dove  lasciò  li  mal   protesi  nervi. 


112 


154 


INFERNO 


L'Arno  a  Firenze,  acquerello  di  E.   Burci. 
(Firenze,  Raccolta  storico-topografica). 


11  Bacchiglione  a  Vicenza. 


CAN  IO   XV. 


3  3 


Di   pili   (Iikm;    ina    il   venir   e   il    scrmoiu*  il') 

pili   lungo  ('ssor   non   può,   però   eh  io   veggio 
là  suigci    nuovo  fummo  dal   sabbione. 


Genie   vien   con   la   quale  esser   non   deggio  ; 
siati  raccomandalo  il   mio   '  Tesoro,' 
nel  quale  io  vivo  ancora;  e  più  non  cheggio.  " 


ii.s 


Poi  si  rivolse,  e  parve  di  coloro 

che  corrono  a  Verona  il  drappo  verde 
per  la  campagna  ;   e  parve  di  costoro 


121 


quegli  che  vince,  non  colui  che  perde, 


124 


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Verona  -   Icoiioii;ralia  iialiTiaiia. 


Mtiiilcncso  (Monviso). 


CANTO  XVI. 


Cerchio  set-  QjA^   gj.^  jj^   \q^q  qy^   g  yjj^  jj  iimbombo 

timo.  Vio- 

lenti  con-       ^^'^  acqua  che  cadea  nell  altro  giro, 
tio  natura.        simile  a  quel  che  1  arnie  fanno  rombo  ; 

quando   tre   ombre   insieme   si   partirò, 
correndo,  d  una  torma  che  passava 
sotto  la  pioggia  dell'aspro  martiro. 

Venian  ver  noi,   e  ciascuna  gridava  : 
"  Sostati  tu,  che  all'abito  ne  sembri 
essere  alcun  di  nostra   terra  prava.  " 

Ahimè,  che  piaghe  vidi  ne'  lor  membri, 
recenti  e  vecchie,   dalle  fiamme  incese! 
Ancor  men  duol,  pur  eh'  io  me  ne  rimembri. 


10 


158 


INFERNO 


Alle   lor   grida   il   mio  dottor   s  attese  ; 
)lse  il  VISO  ver  me,  e:    "  O 


13 


voi 


ra  aspetta, 
disse,    "  a  costor  si  vuole  esser  cortese  ; 


Arnie  antiche. 


e  se  non  fosse  il  foco  che  saetta 
la  natura  del  loco,  io  dicerei 
che  meglio  stesse  a  te,  che  a  lor,  la  fretta.  " 


16 


Ricominciar,  come  noi  ristemmo,  ei  19 

Tre  fiorentini,       1  antico  verso  ;  e  quando  a  noi  fur  giunti, 
fenno  una  rota  di  sé  tutti  e  trei. 


CAN  IO   XVI 


59 


Qiial   sogliono   I   campion   far   midi   ed    unti, 
avvisando   loi    prosa   e   lor   vantagi^io, 
prima   clic   sieii   Ira   lor   halluli   e   punii; 


22 


■V_x\ 


Lottatori,  da  una  miniatura  del  sec.  xiv. 
(Londra,  Brilisli  Museum). 


cosi,  rotando,  ciascuno  il  visaggio  25 

drizzava  a  me,  si  che  in  contrario  il  collo 
faceva  a   pie  continuo  viaggio. 


E,    "  se  miseria  desto  loco  sollo  28 

rende  in  dispetto  noi  e  nostri  preghi,  " 
cominciò  l'uno,    "  e  il  tinto  aspetto  e   brollo, 


I()0 


INFERNO 


la   fama   nostra   il   tuo   animo   pieghi 
a  dirne  chi  tu  se  ,  che  i  vivi   piedi 
cosi  securo  che  lo  inferno  freghi. 

Questi,   1  orme  di  cui  pestar  mi  vedi, 
tutto   che   nudo   e   dipelato   vada, 
fu  di  grado  maggior  che  tu  non  credi. 


31 


34 


('•nido  (iiicrid  cacc'iii  i  (iliil)olliiii  da  Arezzo,   miniatura  del  scc.  xiv, 
(Rom;i,  Biblioteca  Chìgiana). 


Guido 
Guerra. 


Tegghiaio 
Aldobiandi. 


Iacopo 
Rusticucci. 


Nepote  fu  della  buona  Gualdrada;  37 

Guido  Guerra  ebbe  nome,   ed  in  sua  vita 
fece   col   senno   assai   e   con   la   spada. 

L  altro,   che  appresso   me   1  arena   trita,  40 

è   Tegghiaio  Aldobrandi,   la   cui   voce 
nel  mondo  su  dovria  esser  gradita. 

Ed  io,  che  posto  son  con  loro  in  croce,  43 

Iacopo  Rusticucci  fui;   e  certo 
la   fiera   moglie   più   eh'  altro   mi   nuoce.  " 


o 


o 


e 
o 
tu 


160 


INFERNO 


la   fama  nostra  il  tuo  animo  pieghi 
a  dirne  chi  tu  se  ,   che  i  vivi  piedi 
cosi   securo  che   lo   inferno  freghi. 

Questi,   1  orme  di  cui   pestar  mi  vedi, 
tutto  che  nudo  e  dipelalo  vada, 
fu  di  grado  maggior  che  tu   non   credi. 


:n 


34 


(iìiido  diurni  caccia  t  (•' 


jtiirii   ilt'l  ifc.  MV. 


Guido 
Guerra. 


Tegghiaio 
Aldobrandi 


Iacopo 
Rusticucci. 


la   fì( 


h'  alti 


era  moglie  più  eh  altro  mi  nuoce 


Nepote  fu  della   buona  Gualdrada;  37 

Guido  Guerra  ebbe  nome,  ed  in  sua  vita 
fece  col  senno  assai  e  con  la  spada. 

L  altro,  che  appresso  me  1  arena  trita,  40 

è  Tegghiaio  Aldobrandi,  la  cui  voce 
nel  mondo  su  dovria  esser  gradita. 

Ed  IO,  che  posto  son  con  loro  in  croce,  43 

Iacopo  Rusticucci  fui;   e   certo 


e 
o 


CANTO   XVI,  \<>\ 


S'io   fussi    sialo   dal    foco   (opcrlo,  !'• 

gillalo   ITU    sarei    Ira    loi    di    sodo, 
V   cKxlo   elle    il    dollor    I  avria    soffcrlo. 

Ma   perdi  io   mi   sarcM   brucialo   o   collo,  i'» 

vinse   paura   la   mia   buona   voglia, 
cbe   di   loro  abbracciar   mi   facea   gbiollo. 

Poi  cominciai  :    "  Non  dispetto,   ma  doglia  r)2 

la  vostra  condizion  dentro  mi   fisse 
tanto,  che  tardi  tutta  si  dispoglia, 

tosto  che  questo  mio  signor  mi  disse  55 

parole,  per  le  quali  io  mi  pensai 
che  qual  voi  siete,   tal  gente  venisse. 

Di  vostra  terra  sono  ;   e  sempre  mai  58 

1  opre  di  VOI  e  gli   onorati  nomi 
con  affezion  ritrassi  ed  ascoltai. 

Lascio  la  fele,   e  vo  per  dolci  pomi  fii 

promessi  a  me  per  lo  verace  duca  ; 
ma  fino  al  centro  pria  convien  eh  io  tomi. 


Il 


e  se  la  fama   tua   dopo  te  luca, 


II 


"  Se  lungamente  l'anima  conduca  64 

le  membra  tue,  "    rispose  quegli  allora. 


cortesia  e  valor  di     se  dimora  67 

nella  nostra  città  si  come  suole, 
o   se  del   tutto   se   n  è   gita   f uora  ; 


162  INFERNO 


Guglielmo        che   Guglielmo   Borsiere,   il  qual   si   duole  70 

Boisiere.  •  i,  • 

con  noi  per  poco,   e  va  la  coi  compagni, 
assai  ne  cruccia  con  le  sue  parole. 

La  gente         "  La  gente  nuova  e  i  sùbiti  guadagni  73 

orgoglio   e  dismisura   han   generata, 
Fiorenza,  in  te,  si  che  tu  già  ten  piagni. 


nuova. 


Il 


Cosi  gridai  con  la  faccia  levata;  76 

e  i  tre,  che  ciò  inteser  per  risposta, 
guatar  l'un  l'altro,   come  al  ver  si  guata. 

"  Se   l'altre  volte   si   poco   ti  costa,  "  79 

risposer   tutti,    "  il   satisfare   altrui, 
fehce  te,   che  si  parli  a  tua  posta  ! 

Però,  se  campi  d  esti  lochi  bui  82 

e   torni  a   riveder  le  belle  stelle, 
quando  ti  gioverà  dicere  :   '  Io  fui,  ' 

fa  che  di  noi  alla  gente  favelle.  "  85 

Indi  rupper  la  rota,   ed  a  fuggirsi 
ale  sembiar  le  loro  gambe  snelle. 

Un   '  ammen  '   non  saria  potuto  dirsi  88 

tosto  cosi,  com'ei  furo  spanti; 
per  che  al  maestro  parve  di  partirsi. 

Io  lo  seguiva,  e  poco  eravam  iti,  9i 

che  il  suon  dell'acqua  n  era  si  vicino 
che,   per   parlar,   saremmo  appena   uditi. 


CAN  IO   XVI 


\<,i 


U Acquachela  ora  Montone. 


Il  Montone  a  Forlì. 


164 


NFERNO 


Montone. 


Cascata  di 
S.  Benedetto. 


Corda  di  Dan- 
te gettata  a 
Cenone. 


Come  quel   fiume   e' ha   proprio   cammmo  94 

prima  da   Monleveso  in  ver  levante 
dalla   sinistra  costa  d  Apenmno, 

che  si  chiama   Acquacheta   suso,   avante  97 

che  si  divalli  giù  nel  basso  letto, 
ed   a   Folli  di  quel   nome   è   vacante, 

rimbomba   là  sopra   San   Benedetto  luu 

dell'Alpe,   per  cadere  ad  una  scesa, 
ove  dovea  per  mille  esser  ricetto; 

cosi,  giù,  d  una  ripa  discoscesa,  103 

trovammo   risonar  quell  acqua   tinta, 
si  che  in  poc  ora  avria  1  orecchia  offesa. 

Io  aveva  una  corda  intorno  cinta,  ine 

e  con  essa  pensai  alcuna  volta 
prender  la  lonza  alla  pelle  dipinta. 

Poscia  che  1  ebbi  tutta  da  me  sciolta,  109 

si  come  il  duca  m  avea  comandato, 
persila   a   lui  aggroppata   e   ravvolta. 

Ond  ei  si  volse  in  ver  lo  destro  lato,  112 

e  alquanto  di  lungi  dalla  sponda 
la  gittò  giuso  in  quell'alto  burrato. 

"  E'  pur  convien  che  novità  risponda,  "  110 

dicea  fra  me   medesmo,    "  al  nuovo  cenno, 
che  il  maestro  con  l  occhio  si  seconda.  " 


Cascata  del  Montone  a  S.  Benedetto  dell'Alpe. 


Cascala  del  Montone  a  S.  BenedeUo  dell'Alpe. 


CAN  io   XVI, 


165 


S.  Bcnedello  dell'Alpe,  disegno  del  Livcrani. 
(Fusif^nano,  proprietà  l'iancasti-lli). 


teidSg 


Badia   di   .S".   lieiicdrllo  drll'Alìx-,   disei;no  del   Livcrani. 
(l'usigiiano,  j)rc)prieUi  Piancaslelli). 


166  INFERNO 


Ahi,   quanto   cauti   gli   uomini   esser  denno  118 

presso  a   color,   che   non   veggion   pur   1  opra, 
ma   per   entro  i  pensier   miran   col   senno! 

Ei  disse  a  me:    "  Tosto  verrà  di  sopra  121 

ciò  eh  10  attendo  e  che  il  tuo  pensier  sogna; 
tosto  convien  eh  al  tuo  viso  si  scopra.  " 

Sempre  a  quel  ver  e  ha  faccia  di  menzogna  124 

de   1  uom  chiuder  le  labbra  quant  ei  puote, 
però  che  senza  colpa  fa  vergogna  ; 

ma   qui   tacer   noi   posso  ;   e   per  le   note  127 

di  questa  commedia,   lettor,   ti  giuro, 
s  elle  non  sien  di  lunga  grazia  vote, 

eh  10  vidi  per  quell  aer  grosso  e  scuro  130 

ierione.  Venir  nuotando  una  figura  in  suso, 

maravigliosa  ad  ogni  cor  sicuro, 

si  come  torna  colui  che  va  giuso  133 

talora  a  solver  àncora,   eh  aggrappa 
o  scoglio  o  altro  che  nel  mare  è  chiuso, 

che  in  su  si  stende,  e  da  pie  si  rattrappa.  136 


Daniìiili  culi  Ir  Ixiisc  al  fallo,  di   Mino  da   l'icsolc 


(ltiiiii;i,    (iicillc    Nili  ii'Mlli';. 


CANTO  XVII. 


lenone. 


"  Ecco  la  fiera  con  la  coda  aguzza, 

che  passa  i  monti  e  rompe  i  muri  e  l'armi; 


it 


ecco  colei  che  tutto  il  mondo  appuzza. 

Si  commciò  lo  mio  duca  a  parlarmi, 
ed  accennolle  che  venisse  a  proda, 
vicino  al  fin  de   passeggiati  marmi  ; 


e  quella   sozza  imagine  di  froda 

sen  venne,   ed  arrivò  la  testa  e  il  busto  ; 
ma  in  su  la  riva  non  trasse  la  coda. 

La  faccia  sua  era  faccia  d'uom  giusto, 
tanto  benigna  avea  di  fuor  la  pelle  ; 
e  d  un  serpente   tutto  1  altro  fusto. 


10 


168 


INFERNO 


stendardo  preso  nel  1212  alia  hatta.^lia  di  Las  Xavas  de  Tolosa. 


Due  branche  avea  pilose  infin  1  ascelle  ;  13 

lo  dosso  e  il  petto  ed  ambedue  le  coste 
dipinti  avea  di  nodi  e  di  rotelle. 

Con  più  color  sommesse  e  soprapposte  16 

non  fér  mai  drappo  tartan  né  turchi, 
né  fur  tai  tele  per  Aragne  imposte. 


Tappeto  orientale  del  scc.  xiv.  -  (Milnno,  l\[nspo  Poldi-Pezzoli). 


CANIO   XVII 


169 


I    todesclii 
luiciìi. 


CoiiK^   lai   volta   stanno   a    riva    i    l)iii(lii, 

cli('   j)aii('   sono   in   acqua   e   parie   in   terra, 
e   coiiK^   là    tra    li    te(l(\sclìi    liirclìi 

lo  bévero  s  assetta  a   far  sua  guerra  ; 
cosi  la  fiera  pessima  si   stava 
su   I  orlo   che,   di   pietra,   il   sabbion   serra. 

Nel  vano  tutta  sua  coda  guizzava, 
torcendo  in  su  la  venenosa  forca 
che,  a  guisa  di  scorpion,   la  punta   armava. 


9') 


25 


u 


surieri. 


Il  Bévero,  da  silografia  del  sec.  xv. 

Lo  duca  disse  :    "  Or  convien  che  si  torca 
la  nostra   via  un  poco  infino  a  quella 


bestia  malvagia  che  colà  si  corca. 


Il 


Però  scendemmo  alla  destra  mammella 
e  dieci  passi  femmo  in  su  lo  stremo, 
per  ben  cessar  la  rena  e  la  fiammella. 

E  quando  noi  a  lei  venuti  semo, 
poco  più  oltre  veggio  in  su  la  rena 
gente  seder  propinqua   al  loco  scemo. 


28 


31 


34 


70  INFERNO 


Quivi   il   maestro  :    "  Acciò   che   tutta   piena  37 

esperienza  d  esto   giron   porti,  " 
mi  disse,    "  va,  e  vedi  la  lor  mena. 

Li   tuoi   ragionamenti   sian   là   corti  :  i<» 

mentre  che   torni   parlerò  con   questa, 
che  ne  conceda  i  suoi  omeri  forti.  " 

Cosi  ancor  su  per  la  strema  testa  43 

di  quel   settimo  cerchio,   tutto   solo 
andai,   dove  sedea   la   gente   mesta. 

Per  gli  occhi  fuori  scoppiava  lor  duolo;  46 

di   qua,   di  là  soccorrien   con   le   mani, 
quando  a   vapori,   e   quando   al   caldo  suolo. 

Non  altrimenti  fan  di  state  i  cani,  49 

or   col  ceffo,   or   col  pie,   quando   son   morsi 
o   da   pulci   o   da   mosche   o  da   tafani. 

Poi  che  nel  viso  a  certi  gli  occhi  pòrsi,  52 

ne    quah  il  doloroso   foco   casca, 
non   ne   conobbi   alcun  ;   ma   io   m  accorsi 

Tasche  che  dal  collo  a  ciascun  pendea  una  tasca,  55 

stemmate.  i  .1  , 

crie  avea  certo  colore  e  certo  segno, 

e  quindi   par  che  il   loro   occhio   si  pasca. 

E  com  10  riguardando  tra  lor  vegno,  58 

m  una  borsa  gialla  vidi  azzurro, 
che  d  un  leone  avea  faccia  e  contegno. 


CANIO   XVII. 


17 


Leone  ilei  (ùanfujliuzzi. 


(Firenze,  S.  Croce). 


Scrofa  (iej;li  Scrovej;iii,  ili  (iiovanni  Pisano. 
(Padova,  S.  .Ilaria  ilcH'Aiena). 


172  INFERNO 


Poi   procedendo   di   mio  sguardo  il   curro,  61 

vidine   un  altra   come   sangue   rossa 
mostrare  un  oca  bianca  più  che  burro. 

Reginaldo  Ed   un,   chc  d  uua  scrofa  azzurra  e  grossa  64 

ciovegni.  segnato  avea   lo  suo   sacchetto   bianco, 

mi  disse  :    "  Che  fai  tu  in  questa  fossa  ? 


Sigillo  di  Ucj;inaldo  Scrouajtii. 
(Padova,  Museo). 


Or   te   ne  va;   e   perché   se   vivo  anco,  67 

Vitaliano  sappi   chc   il   mio  vicin   Vitaliano 

del  Dente.  .,,... 

sederà  qui  dal  mio  sinistro  fianco. 

Con  questi  Fiorentin  son   Padovano  ;  70 

spesse  fiate  m  intronan  gli  orecchi, 
gridando  :   '  Vegna  il  cavalier  sovrano, 


che  recherà  la  tasca  con   tre  bécchi  '.  "  73 

Qui  distorse  la  bocca  e  di  fuor  trasse 
la  hngua,   come  bue  che  il  naso  lecchi. 


CANTO   XVII.  173 


l'.d   IO,    ((MTK^ndo   no    I   |)iù   star   nucciasse  7fi 

lui   cIk"   (Il    poco   star   m  avca   ainmonilo, 
torna    ini   indietro   dall  anime   lasse. 

Trovai   io  duca   mio  eh  era  salito  7'j 

già   su   la   groppa   del   fiero  animale, 
e  disse  a  me  :    "  Or  sie  forte  ed  ardito  ! 

Discesa  al      Omai  si  scende  per  si   fatte  scale  :  82 

cerchio  ot-  ,.  .        ,  ,  .  ,. 

j3^,Q  monta  dinanzi,   eh  io  voglio  esser  mezzo, 

si  che  la  coda  non  possa  far  male.  " 

Qual  è  colui,   e  ha  si  presso  il  riprezzo  85 

della  quartana,  e  ha  già  1  unghie  smorte, 
e  trema   tutto,   pur  guardando  il  rezzo, 

tal  divenn'  io  alle  parole  porte  ;  88 

ma  vergogna  mi  fér  le  sue  minacce, 
che  innanzi  a  buon  signor  fa  servo  forte. 

Io   m  assettai  m   su  quelle   spallacce  :  91 

si  volli  dir,   ma  la  voce  non  venne 
com  io  credetti  :    "  Fa  che   tu  m' abbracce.  " 

Ma  esso,  che  altra  volta  mi  sovvenne  94 

ad  altro  forse,   tosto  eh'  io  montai 
con  le  braccia  m  avvinse  e  mi  sostenne  ; 

Cenone.  g  Jjsse  :    "  Gerion,   moviti  omai  !  97 

le  rote  larghe  e  lo  scender  sia  poco  : 
pensa  la  nuova  soma  che  tu  hai.  " 


74  INFERNO 


Come   la   navicella   esce  dal   loco  ino 

in   dietro  in   dietro,   si   quindi   si   tolse; 
e   poi   eh  al   tutto  si   senti   a   giuoco, 

là  ov  era  il  petto,   la  coda  rivolse;  ma 

e  quella  tesa,  come  anguilla,   mosse, 
e  con   le  branche  1  aria  a  sé  raccolse. 

Fetonte.  Maggior  paura  non  credo  che  fosse,  iu6 

quando   Feton   abbandonò   li   freni, 
per  che  il  ciel,   come  pare  ancor,  ci  cosse; 

Icaro.  né  quando   Icaro   misero   le  reni  i()9 

senti  spennar  per  la  scaldata  cera, 
gridando  il  padre  a  lui  :    "  Mala  via  tieni,  " 

che  fu  la  mia,  quando  vidi  eh  i    era  112 

nell  aer  d  ogni   parte,   e   vidi   spenta 
ogni   veduta,   fuor  che  della  fiera. 

Ella  sen  va  nuotando  lenta  lenta;  ii5 

rota  e  discende,   ma  non  me  n  accorgo 
se  non  eh  al  viso  di  sotto  mi  venta. 

Io  sentia  già  dalla  man  destra  il  gorgo  ns 

far  sotto  noi  un  orribile  stroscio  ; 
per  che  con   gli  occhi  in  giti  la  testa  sporgo. 

Allor  fu    10   pili   timido  allo  scoscio,  121 

però   eh  10  vidi   fochi   e   sentn   pianti; 
ond  10  tremando  tutto  mi  raccoscio. 


CAN  IO   XVll.  175 


I*.  vidi    |)()i,   clic   noi   v(Hl('a   (lavanti,  I-M 

lo   scenderò   e   il   girar   |)(m    li   i^ran    mali 
che  s'appressavan  da  diversi  canti. 

Come  il   falcon  eh' è  stato  assai   su   I  ah,  \'2i 

che  senza  veder  logoro  o  uccello  ; 
fa  dire  al   falconiere  :    "  Oimè  tu  cali, 


II 


discende  lasso,  onde  si  mosse  snello,  i'{<> 

per  cento  rote,  e  da  lungi  si  pone 
dal  suo  maestro,  disdegnoso  e  fello  ; 

cosi  ne  pose  al  fondo  Cenone  133 

a  pie  a  pie  della  stagliata  ròcca, 
e,  discarcate  le  nostre  persone, 

si  dileguò  come  da  corda  cocca.  136 


Icaro,  d'Andrea  Pisano. 
(Firenze,  Campanile  del  Duomo). 


.  '  >  ' 


gf     D'I     I     I  II   II    ^ 


Polite  e  Cdslct  S.  AiKjrlo  prima  (lolle  Irasl'oriiiazioni  di  Alessandro  \l. 

(Uihliolcca  doli' Escoriai). 


Malebolg 


e. 


Bolgia   ot- 
tava. 


CANTO  XVIII. 

Loco  è  in  inferno  detto  Malebolge, 
tutto   di   pietra  e   di   color  ferrigno, 
come  la  cerchia  che  d  intorno  il  volge. 

Nel  dritto  mezzo  del  campo  maligno 

vaneggia  un  pozzo  assai  largo  e  profondo, 
di  CUI  suo  loco  dicerò  1  ordigno. 

Quel  cinghio  che  rimane  adunque  è  tondo, 
tra  il  pozzo  e  il  pie  dell  alta  ripa  dura, 
ed  ha  distinto  in  dieci  valli  il  fondo. 


Quale,  dove  per  guardia  delle  mura 
più  e  più  fossi  cingon  li   castelli, 
la  parte  dov  ei  son  rende  figura  ; 


10 


178  INFERNO 


tale   imagine   quivi   facean   quelli  ;  13 

e  come  a   tai  fortezze  dai  lor  sogli 
alla  ripa  di  fuor  son  porìticelli, 

cosi  da  imo  della  roccia  scogli  16 

movien,   che   ricidean   gli   argini   e   i   fossi 
infino  al   pozzo,   che  i   tronca   e   raccògli. 

In  questo  loco,  della  schiena  scossi  19 

di   Gerion,   trovammoci  ;   e   il  poeta 
tenne  a  sinistra,   ed  io  retro  mi  mossi. 

Alla  man  destra  vidi  nuova  pietà,  22 

nuovi  tormenti  e  nuovi  frustatori, 
di  che  la  prima  bolgia  era  repleta. 

Ruffiani  e       ^q\  fondo  erano   ignudi  i  peccatori;  25 

seduttori.  ,    .  .  .  -il 

dal  mezzo  in  qua  ci  venian  verso  il  volto, 
di   là   con   noi,   ma   con  passi   maggiori; 

come  1  Roman,  per  1  esercito  molto,  28 

1  anno  del  giubbileo,  su  per  lo  ponte 
hanno  a  passar  la  gente  modo  còlto, 

che  dall' un  lato  tutti  hanno  la  fronte  3i 

verso  il  castello  e  vanno  a  Santo  Pietro, 
dall  altra  sponda  vanno  verso  il  monte. 

Di  qua,  di  là,   su  per  lo  sasso  tetro  34 

vidi  demon  cornuti  con  gran  ferze, 
che  li  battean  crudelmente  di  retro. 


CANIO    XVIII 


\7') 


Alii   cotnc   fa((NUi   lor   levar   le    herze 
all(*   pinne   percosse!    ^là   nessuno 
le  seconde   aspellava,   né   le   lerze. 

Menli  IO   andava,   i^li   occlu    miei   in    uno 
furo  sconliali  ;   ed   io  si   loslo   dissi  : 
"  Di   già  veder  costui  non  son  digiuno.  " 


■M 


IH 


L'antico  .S".  Pietro  e  il  giubileo,  da  stanijia. 


Perciò  a  figurarlo  i  piedi  affissi  ;  43 

e   il   dolce   duca   meco  si  ristette, 
ed  assenti  eh  alquanto  indietro  gissi. 

E  quel  frustato  celar  si  credette  i6 

Lassando  il  viso,  ma  poco  gli  valse  ; 
ch'io  dissi:    "Tu  che  l'occhio  a  terra  gette, 


1«0 


INFERNO 


Vene  t  ico 
Cacciane- 
mici. 


se   le   fazion   che   porti   non   son   false, 
Venedico   se    tu   Caccianimico  ; 
ma  che  ti  mena  a  si  pungenti  salse  ? 


ji) 


Ed   egli  a   me  :    "  Mal   volentier   lo   dico  ; 
ma  sforzami  la   tua  chiara  favella, 
che  mi  fa  sovvenir  del  mondo  antico. 


52 


Veduta  di  Bolofjna,  allrcsco  dei  primi  anni  del  sec.  xv. 
(Bologna,  San   Petronio). 


Ghisolabella.      Io  fui   colui  chc  la  Ghisolabclla 

condussi  a  far  la  vogha  del   Marchese, 
come   che   suoni  la  sconcia   novella. 


oo 


Corruzione 
bolognese. 


E  non  pur  io  qui  piango  bolognese; 
anzi  n'è   questo   loco   tanto  pieno, 
che  tante  hngue  non  son  ora  apprese 


58 


AiU'  avyiat 


La  chiesa  di  S.  Pietro  nel  secolo  xi  -  disegno. 
(Farfa,  Monastero). 


liHiiiiHiiiii^iiJil  iiiuii.  I  II.  iiinpi 


L'antico  Sun  Pietro,  aflresco  del  sec.  xvi. 
(Roma,  S.  Marlino  dei  Monti)- 


CAN  ICJ   XVIll 


Irti 


La  Sàvena  presso  Bologna. 


a  dicer   '  sipa  '   tra  Savena  e  Reno; 
e  se  di  ciò  vuoi  fede  o  testimonio, 
recati  a  mente  il  nostro  avaro  seno.  " 


fii 


Cosi  parlando  il  percosse  un  demonio 
della  sua  scunada,  e  disse:    "  Via, 


iffi. 


ruman,  qui  non  son  femmine  aa  conio 


f( 


nt 


Il  liciio  presso  Bologna. 


182  INFERNO 


Io   mi   raggiunsi   con  la  scorta   mia  :  67 

poscia   con   pochi   passi   divenimmo 
là    ve   uno   scoglio  della   ripa   uscia. 

Assai  leggeramente  quel  salimmo,  70 

e,  volti  a  destra  su  per  la  sua  scheggia, 
da  quelle  cerchie  eterne  ci  partimmo. 

Quando  noi  fummo  là,  dov  ei  vaneggia  73 

di  sotto  per  dar  passo  agh  sferzati, 
lo  duca  disse  :    "  Attienti,  e  fa  che  feggia 

10  VISO  in   te  di   questi   altri   mal   nati,  76 
a   quah  ancor  non  vedesti  la  faccia, 

però  che  son  con  noi  insieme  andati.  " 

Del  vecchio  ponte  guardavam  la  traccia,  79 

che  venia  verso  noi   dall  altra   banda, 
e  che  la  ferza  similmente  scaccia. 

11  buon  maestro,  senza  mia  dimanda,  82 
mi  disse  :    "  Guarda  quel  grande  che  viene, 

e  per  dolor  non  par  lagrime  spanda  : 

iiasone.  quanto  aspetto  reale  ancor  ritiene  !  85 

Quelli  è  Jason,   che  per  core  e  per  senno 
h  Colchi  del  monton  privati  fène. 

Egli  passò  per  1  isola  di  Lenno,  88 

poi  che  le  ardite  femmine  spietate 
tutti  li  maschi  loro  a  morte  dienno. 


CAN  IO  XVlll. 


IH3 


Ivi   con   sogni   r   ron   paiou^   ornalo 
Isidlo   ingannò,    la    giovinclla 
c\\v  [)iinia   I  alile   avca   tulle   ingannale. 


91 


1  \'^^9')!;j^^ADavisi 


AVREVy- 


Giasone,  dal  libro  di  Giusto  de'  Menabuoi  (sec.  xiv). 
(Roma,  Galleria  Corsini). 


Lasciolla  quivi  gravida  e  soletta  : 

tal  colpa  a  tal  martiro  lui  condanna  ; 
ed  anche  di  Medea  si  fa  vendetta. 


94 


Con  lui  sen  va  chi  da  tal  parte  inganna 
e  questo  basti  della  prima  valle 
sapere,  e  di  color  che  in  sé  assanna.  " 


97 


1H4  INFERNO 


Già   eravam   dove   lo  stretto   calle  l'io 

con   1  argine   secondo  s  incrocicchia, 
e  fa  di  quello  ad  un  altr'arco  spalle. 

Adulatori.        Quindi  sentinamo  gente,  che  si  nicchia  h>3 

nell  altra  bolgia  e  che  col   muso  sbuffa 
e  sé  medesma  con  le  palme  picchia. 

Le  ripe  eran  grommate  d  una  muffa,  loo 

per  1  ahto  di  giù  che  vi  si  appasta, 
che  con  gli  occhi  e  col  naso  facea  zuffa. 

Lo  fondo  è  cupo  si  che  non  ci  basta  ino 

loco  a  veder  senza  montare  al  dosso 
dell  arco,   ove   lo  scoglio  più   soprasta. 

Quivi  venimmo;   e  quindi  giù  nel  fosso  112 

vidi  gente  attuffata  in  uno  sterco, 
che  dagli   uman   privati  parca   mosso. 

E  mentre  eh  io  là  giù   con  1  occhio  cerco,  ii5 

vidi   un   col   capo  si  di   merda   lordo, 
che  non  parca  s  era  laico  o  cherco. 

Quei  mi  sgridò  :    "  Perché  se   tu  si  ingordo  11 8 

di  riguardar  più  me  che  gli  altri  brutti?  " 
Ed  io  a  lui:    "  Perché,  se  ben  ricordo, 


Alessio  In- 
teiminelli. 


già  t  ho  veduto  coi  capelh  asciutti,  121 

e  se'  Alessio  Interminei  da  Lucca  : 
però   t'adocchio  più   che   gh   altri   tutti.  " 


L,e  Salse  presso  Bologna. 


CAN  IO   XVIll.  185 


Ed   (gli   alloi,   l)all(Mi(l()si   la   /.lice  a  :  r.'i 

"  Qii''    i^'ii    "^  lianiìo   soniiTìciso    le    lusinglic, 
ond' IO   non   (^hhi   mai   la    lingua   stucca. 

AppiTsso  CIÒ   lo   duca:    "  Fa   che   pniglic^  ii7 

mi  disse    "  il  viso  un  poco  più  avantc^, 
si  che  la  faccia  ben  con   gli  occhi  atlinghe 


i:{(» 


di  quella  sozza  e  scapigliata  fante, 

che  là  si  graffia  con  l'unghie  merdose, 

ed  or  s'accoscia,  ed  ora  è  in  piede  stante. 

Taide.  Taide  è,  la  puttana  che  rispose  i^i^ 

al  drudo  suo,  quando  disse  :    '  Ho  io  grazie 
grandi  appo  te  ?  '  :    '  Anzi  meravigliose.  ' 

E  quinci  sien  le  nostre  viste  sazie.  "  136 


I\(iiìui   suW  Idra  ihilli'  si'lU'   U'sic. 


((;:il:iliiiM,  S.  (^iileritiii). 


CANTO  XIX. 


Cerchio  ot-     O  Simon  mago,   o  miseri  seguaci, 

lavo,  terza  i        i  J-    nv'  L       J*    L 

1   1  •  che  le  cose  di  Uio,   che  di   boi 

bolgia.  ' 

deono  esser  spose,  voi  rapaci 


per  oro  e  per  argento  adulterate  ; 

or  convien  che  per  voi  suoni  la  tromba, 
però  che  nella  terza  bolgia  state. 

Già  eravamo  alla  seguente  tomba 

montati,  dello  scoglio  in  quella  parte 

che  appunto  sopra  mezzo  il  fosso  piomba. 

O  somma  Sapienza,  quant  è  l' arte 

che  mostri  m  cielo,  m  terra  e  nel  mal  mondo, 
e  quanto  giusto  tua  virtù  comparte  ! 


10 


88 


NFERNO 


11    bel   San 
Giovanni. 


Io  Vidi  per  le  coste  e  per  lo  fondo  13 

piena  la  pietra  livida  di  fóri 
d  un  largo  tutti,  e  ciascuno  era  tondo. 

Non  mi  parean  meno  ampi  né  maggiori  16 

che  quei  che  son  nel   mio  bel  San  Giovanni 
fatti  per  loco  de   batezzatóri  ; 


Si 


imoniaci. 


Ballialeio  di  Firenze,  miniatura  del  sec.  xiv.  -  (Roma,  Biblioteca  Chigiana). 

l'un  delli  quali,   ancor  non  è  molt  anni,  19 

rupp'  10  per  un  che  dentro  vi  annegava  : 
e  questo  sia  suggel  eh  ogni  uomo  sganni. 

Fuor  della  bocca  a  ciascun  soperchiava  22 

d'un  peccator  li  piedi,  e  delle  gambe 
infìno  al  grosso;   e  1  altro  dentro  stava. 


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Nicolò  III.  -  (Roma,  Grotte  Valicane). 


CAN  IO   XIX.  IMV 


O  qual  che  se',  che    1  di  su  tien  di  sotto, 
anima  trista,   come  pai  commessa,  " 
comincia'  io  a  dir,    "  se  puoi,   fa  motto.  " 


j,.ì 


\  A'    piante   erano   a    Uilli    accese   enirainhe; 
per   che   si   forte   ^ui//avan    le   i^iunle, 
che   spe/./ale   av(MÌan   ritorte   e   strambe. 


Qual   suole   il   fiammei^i^iar   delle   cose   unte  'ix 

muoversi   pur   su   per  1  estrema   buccia, 
tal  era  li  da   calcagni  alle  punte. 


Nicolò  Ili.       "  Chi  è  colui,   maestro,  che  si  cruccia,  3i 

guizzando   più   che   gh  altri   suoi   consorti,  " 
diss'  io,    "  e  CUI  più  rossa  fiamma  succia  ?  " 

Ed  egli  a  me  :    "  Se  tu  vuoi  eh'  io  ti  porti  3 1 

là  giù  per  quella  ripa  che  più  giace, 
da  lui  saprai  di  sé  e  de'  suoi  torti.  " 

Ed  io  :    "  Tanto  m' è  bel,  quanto  a  te  piace  ;       37 
tu  se    signore,  e  sai  eh'  io  non  mi  parto 
dal  tuo  volere,  e  sai  quel  che  si  tace.  " 

Allor  venimmo  in   su   1  argine   quarto;  lu 

volgemmo  e  discendemmo  a  mano  stanca 
là  giù  nel  fondo  foracchiato  ed  arto. 

E  il  buon  maestro  ancor  della  sua  anca  43 

non  mi  dipose,  si  mi  giunse  al  rotto 
di  quei  che  si  piangeva  con  la  zanca. 


16 


190 


INIERNO 


Io  stava   come   il   frale   che   confessa 
lo   perfido   assassin,   che   poi   eh' è   fìtto 
richiama  lui,   perché  la  morte  cessa; 


49 


Xicolò  III,  miniatura  del  secolo  xiv, 
(Roma,  Biblioteca  Chigiana). 


ed  ei  gridò  :    "  Sei  tu  già  costi  ritto,  52 

Bonifacio  Vili.        sei  tu   già  costi  iitto,   Bonifazio? 

di  parecchi  anni  mi  menti  lo  scritto. 

Se   tu  si  tosto  di  quell  aver  sazio,  55 

per  lo  qual  non  temesti  tórre  a  inganno 
la  bella  donna,   e  poi  di  farne  strazio?  " 


Tal  mi  fec  io,   quai  son  color   che  stanno, 
per  non  intender  ciò   eh  è   lor  risposto, 
quasi  scornati,   e  risponder  non   sanno. 


58 


CANTO   XIX. 


I'>»l 


Bonifacio   Vili,  di  Arnolfo  di  Cambio.  -  (Romn,  Grolle  V.ilicone). 


Allor  Virgilio  disse  :    "  Digli  tosto  : 

'  Non  son  colui,  non  son  colui  che  credi  '  ;  " 
ed  IO  risposi  come  a  me  fu  imposto. 


61 


Per  che  lo  spirto  tutti  storse  i  piedi  ; 
poi,  sospirando  e  con  voce  di  pianto, 
mi  disse  :    "  Dunque  che  a  me  richiedi  ? 


64 


Se  di  saper  chi  io  sia  ti  cai  cotanto, 
che   tu  abbi  però   la   ripa  corsa, 
Il  gran  manto.        sappi  ch'  io  fui  vestito  del  gran  manto 


67 


192 


INFERNO 


O 


rsini. 


e  veramente  fui  figliuol  dell  orsa, 
cupido  si  per  avanzar   gli  orsatti, 
che  su  1  avere,  e  qui  me  misi  m  borsa. 


70 


^  i:t,^ 


Orsa  degli  Orsini. 
(Avezzaiio  -  Cnslello). 


Di  sotto  al  capo  mio  son  gli  altri  tratti 
che  precedetter  me  simoneggiando, 
per  le  fessure  della  pietra  piatti. 


73 


Là   giù   cascherò  io   altresì,   quando 
verrà  colui  eh  io  credea  che  tu  fossi, 
allor  eh  io  feci  il   sùbito  dimando. 


76 


Carlo  I  (V Augia,  d'Arnolfo  di  Cambio.  -  (Roma,  Campidoglio). 


(  AN  IO   XIX. 


')i 


Ma   più   e   il   lonipo   già   clic   i    pir   mi   cossi, 
0   eli  IO  son   stalo  cosi   sottosopra, 
eh  01   non   starà   piantato   coi   piò   rossi  ; 


7'.t 


Orsa  degli  Orsini. 
(Vcnp/.ia,  Ss.  Giovanni  e  Paolo). 


che  dopo  lui  verrà,   di  più  laid  opra. 
Clemente  V.         di  vér  ponente  un  pastor  senza   legge, 
tal  che  convien  che  lui  e  me  ricopra. 


82 


Nuovo  Jason   sarà,  di  cui  si  legge 

ne'    '  Maccabei  '  :   e   come  a   quel   fu   molle 
suo  re,   cosi  fia  a  lui  chi  Francia  regge.  " 


85 


194 


INFERNO 


Io   non   so  s  io   mi   fui  qui   troppo   folle, 
eh  IO   pur   risposi   lui   a   questo   metro  : 
"  Deh,   or   mi  di  ,   quanto   tesoro  volle 


88 


«  Vienmi 
dietro  ». 


Nostro  Signore  in  prima  da  san  Pietro 
ch'ei  ponesse  le  chiavi  in  sua  balia? 
Certo  non  chiese  se  non  :    '  Vienmi  dietro.  ' 


91 


Carlo  d'Anijiù.  miniatura  del  sec.  xiv. 
(Roma,  Biblioteca  Chigiana). 


Né  Pier  né  gli  altri  tolsero  a   Mattia 
oro  od  argento,  quando  fu  sortito 
al  loco  che  perde  l  anima  ria. 


94 


Però  ti  sta,  che  tu  se   ben  punito; 
e   guarda   ben   la   mal   tolta   moneta, 
ch'esser  ti  fece   contra   Carlo   ardito. 


97 


CANIO  XIX.  IT; 


E  se   non   lossr   clic   ancor   lo   mi   vicla  ino 

la   reverenza   delle   somme   chiavi, 
che   tu   tenesti   nella   vita   lieta, 

ScKt^iu)  di         io   userei   parole   ancor   più   i^ravi;  ur.i 

che  la  vostra   avarizia   il   mondo   attrista, 
calcando  i  buoni  e  sollevando  i  pravi. 

Di  voi,   pastor,   s  accorse  il  vangelista,  hk- 

quando  colei,   che  siede  sopra   1  acque, 
puttaneggiar  coi  regi  a  lui  fu  vista  ; 

quella  che  con  le  sette  teste  nacque  109 

e  dalle  dieci  corna  ebbe  argomento, 
fin  che  virtute  al  suo  manto  piacque. 

Fatto  V  avete  Dio  d  oro  e  d  argento  112 

e  che  altro  è  da  voi  ali  idolatre, 
se  non  eh  elh  uno,  e  voi  n  orate  cento? 

Donazione       Ahi,   Costantin,   di  quanto  mal   fu   matre,  115 

di  Costan- 
tino, non   la   tua   conversion,   ma   quella   dote 

che  da  te  prese  il  primo  ricco  patre  !  " 

E  mentre  10  gli  cantava  cotai   note,  118 

o  ira  o  coscienza  che  il  mordesse, 
forte  spmgava  con  ambo  le  piote. 

Io  credo  ben  che  al  mio  duca  piacesse,  121 

con  si  contenta  labbia  sempre  attese, 
lo  suon  delle  parole  vere  espresse. 


90 


INFERNO 


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Wf^È    »*•— ; 

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s 


C/5 


CAN  lo   XIX.  I'^7 


Kiioino.  Pelò   con    ambo    le    braccia    mi    prese,  ii^i 

V    |)()i    die    liilto   su    mi    s  el)l)e    al    pedo, 
limonio  per   la   via   onde   discese  ; 

né  SI  stancò  d  avermi  a  sé  distretto,  ri7 

si  mi  portò  sopra  il  colmo  dell  arco, 
che  dal  quarto  al  quinto  argine  è  tragetto. 

Quivi  soavemente  spose  il  carco,  130 

soave  per  lo  scoglio  sconcio  ed  erto, 
che  sarebbe  alle  capre  duro  varco  : 

indi  un  altro  vallon   mi  fu  scoperto.  i:ì3 


Il  costello  ili   linsrid. 


CANTO  XX. 


Cerchio  ot- 
tavo, quar- 
ta bolgia. 


Ind 


ovini. 


Di  nuova  pena  mi  convien  far  versi, 
e  dar  materia  al  ventesimo  canto 
della  prima  canzon,   eh  è  de   sommersi. 

Io  era  già  disposto  tutto  quanto 
a  riguardar  nello  scoperto  fondo, 
che  SI  bagnava  d  angoscioso  pianto; 

e  vidi  gente  per  lo  vallon  tondo 

venir  tacendo  e  lagrimando,  al  passo 
che  fanno  le  letane  in  questo  mondo. 

Come  il  viso  mi  scese  in  lor  più  basso, 
mirabilmente  apparve  esser  travolto 
ciascun  tra  il  mento  e  il  principio  del  casso; 


10 


200  INFERNO 


che  dalle   reni   era   tornato   il   vólto,  13 

ed   indietro  venir   gli   convenia, 
perché  il  veder  dinanzi  era  lor  tolto. 

Forse  per   forza  già  di  parlasia  16 

SI  travolse  cosi  alcun  del   tutto  ; 
ma  IO  noi  vidi,   né  credo  che  sia. 

Se  Dio  ti  lasci,   lettor,  prender  hutto  19 

di   tua   lezione,   or  pensa   per   te   stesso 

com  IO  potea   tener   lo  viso   asciutto, 

quando   la   nostra  imagine  da  presso  22 

vidi   si   torta,   che  il  pianto   degh   occhi 
le  natiche  bagnava  per  lo  fesso. 

Certo  1    piangea,  poggiato  ad  un  de   rocchi  25 

del  duro   scoglio,   si  che   la   mia   scorta 
mi  disse  :    "  Ancor  se'  tu   degli   altri  sciocchi  ? 

Qui  vive  la  pietà  quando  è  ben   morta  :  28 

chi  è  più  scellerato  che  colui 
che   al   giudicio   divin   passìon  porta? 

Drizza  la  testa,  drizza,   e  vedi   a   cui  31 

s  aperse  agli  occhi  de   Teban  la   terra, 
per  che  gridavan  tutti  :    '  Dove  rui, 

Indovini  an-     Anfìarao  ?  perché  lasci  la   guerra  ?  '  34 

e  non   restò   di  rumare   a   valle 
fino  a  Minos,  che  ciascheduno  afferra. 


CAN  IO   XX.  201 


Mira    clic   ha    fallo   \)v\U)   delle   s|)all('  :  37 

porcile   volle   veder   Iroppo  davanlo, 
di   relro  guarda  e  fa  retroso  calle. 

Tiresia.  Vedi  Tiresia,  che  mutò  sembiante  40 

quando  di  maschio  femmina  divenne, 
cangiandosi  le   membra   tutte  quante  ; 

e  prima  poi  ribatter  gli  convenne  43 

li  due  serpenti  avvolti  con  la  verga, 
che  riavesse  le  maschili  penne. 


Rovine  di  Limi. 


Aronta.  Aronta  è  quei  che  al  ventre  gli  s'atterga,  46 

che  nei  monti  di  Luni,  dove  ronca 
lo  Carrarese  che  di  sotto  alberga, 

ebbe  tra  i  bianchi  marmi  la  spelonca  49 

per  sua  dimora  ;   onde  a  guardar  le  stelle 
e  il  mar  non  gli  era  la  veduta  tronca. 


202 


INFERNO 


Rovine  (li   Limi. 


Manto 


E  quella  che  ricopre  le  mammelle, 

che  tu  non  vedi,  con  le  treccie  sciolte, 
e  ha  di  là  ogni  pilosa  pelle, 

Manto  fu,   che  cercò  per  terre  molte, 
poscia  SI  pose  là  dove  nacqu  io; 
onde  un  poco  mi  piace  che  m' ascolte. 


52 


55 


I  monti  di  Carrara. 


CANIO   XX 


203 


Isola  Lc-clii  nel  lago  di  Guida 


Il   lago   Be- 
naco. 


Poscia  che  il  padre  suo  di  vita  uscio 
e  venne  serva  la  città  di   Baco, 
questa  gran  tempo  per  lo  mondo  gio. 

Suso  in  Italia  bella   giace  un  laco 
a  pie  dell'alpe,   che  serra   Lamagna 
sopra  Tiralli,   ed  ha  nome  Benaco. 


58 


61 


Brescia,  da  un  dipinto  del  Moretto.  -  (Brescia,  Ss.  Nazario  e  Celso). 


204 


INFERNO 


Per   mille   fonti,   credo,   e   più   si   bagna, 
tra   Garda   e   Val   Camonica,   Apennino 
dell'acqua  che  nel  detto  lago  stagna. 

Loco  è  nel  mezzo  là  dove  il  trentino 
pastore  e  quel  di   Brescia  e  il  veronese 
segnar  potria,  se  fesse  quel  cammino. 


61 


67 


La  ròcca  di  Peschiera,  disegno  del  Sanuto. 


Siede  Peschiera,   bello  e  forte  arnese 
da  fronteggiar  Bresciani  e   Bergamaschi 
ove  la  riva  intorno  più  discese. 


70 


Ivi  convien  che  tutto  quanto  caschi  73 

CIÒ  che  in  grembo  a  Benaco  star  non  può, 
e  fassi  fiume  giù  pei  verdi  paschi. 


o 
e 

5 

ce 


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O 


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CAN  IO    XX 


nr> 


MlIUU 


U). 


1  Oslo   clic   1  ac(|iia    a    ( onci    nicUc   co, 
iioii   |)iii    B(Miac(),   ma   Mmcio  si   chiariìfi 
(ino   a   Governo,   dove   cade   in    Po. 

Non   mollo   Ila   corso   clic   trova   una   lama, 
nella   qual   si   distende  e   la   impaluda, 
e  suol   di  state   talor  esser   grama. 


7r, 


7'.) 


Governalo. 


Quindi  passando  la  vergine  cruda 
vide  terra  nel  mezzo  del  pantano, 
senza  coltura  e  d'abitanti  nuda. 


82 


Li,  per  fuggire  ogni  consorzio  umano, 
ristette  co  suoi  servi  a  far  sue  arti, 
e  visse,  e  vi  lasciò  suo  corpo  vano. 

Gli  uomini  poi,  che  intorno  erano  sparti, 
s  accolsero  a  quel  loco,   ch'era  forte 
per  lo  pantan  che  avea  da  tutte  parti. 


85 


88 


206 


INFERNO 


Mantova. 


Fér  la   città   sopra   quell  ossa   morte; 
e  per  colei,   che  il  loco  prima  elesse, 
Mantova   l  appellar  senz  altra   sorte. 

Già  fur  le  genti^sue  dentro  più  spesse, 
prima   che   la   mattia  di   Casalodi 
da  Pinamonte  inganno  ricevesse. 


91 


94 


Munluuu  e  le  sua  paludi,  da  un  dipinto  del  ^Slanlegna. 
(Madrid,  Galleria  del  Prado). 


Però  t  assenno  che,   se  tu  mai  odi 
originar  la  mia  terra  altrimenti, 
la  verità   nulla   menzogna   frodi.  " 

Ed  IO  :    "  Maestro,  i  tuoi  ragionamenti 
mi   son  si   certi   e  prendon   si   mia   fede, 
che  gli  altri  mi  sarian  carboni  spenti. 


97 


100 


CANTO  XX.  207 


IVla   dimmi   della    genie"   cIk*   procede,  ni:{ 

s(^   lu   ne   vedi   akim   degno  di   nota  ; 
che  solo  a   ciò  la   mia   menl("   lifiede.  " 

Emipilo.  Allor   mi   disse:    "Quel,   che  dalla   gola  kki 

porge   la   barba   in   su   le  spalle   brune, 
fu,   quando  Grecia   fu   di   maschi   vota 

si  che  appena   rimaser  per  le  cune,  m» 

augure,   e  diede  il  punto  con   Calcanta 
m  Aulide  a  tagliar  la  prima  fune. 

Eunpilo  ebbe  nome,   e  cosi  il  canta  112 

1  alta  mia  tragedia  m  alcun  loco  : 
ben  lo  sai  tu  che  la  sai  tutta  quanta. 

Quell  altro,   che  ne'  fianchi  è  cosi  poco,  11 5 

Indovini  mo-  Michele  Scotto  fu,  che  veramente 

delle  magiche  frode  seppe  il  gioco. 

Vedi  Guido  Bonatti;  vedi  Asdente,  118 

che  avere  inteso  al  cuoio  ed  allo  spago 
ora  vorrebbe,   ma  tardi  si  pente. 

Vedi  le  triste  che  lasciaron  l'ago,  121 

la  spola  e  il  fuso,  e  fecersi  indovine  ; 
fecer  malie  con  erbe  e  con  imago. 

Ma  vienne  omai,   che  già  tiene  il  confine  124 

d  ambedue  gli  emisperi  e  tocca  l'onda, 
sotto  Sibilla,   Caino   e   le  spine; 


d 


erni. 


208 


INFERNO 


e  già  lernotte  fu  la  luna   tonda  : 

ben   ten   dèe  ricordar,   che   non   ti   nocque 
alcuna   volta   per   la   selva   fonda. 


127 


Si  mi  parlava,  ed  andavamo  introcque. 


130 


L' .A/1/10  col  Soie  e  la  Luna. 
(Aosta,   Duonio). 


l.lUCll. 


CANTO  XXI. 


Cerchio  ot- 
tavo, quin- 
ta bolgia. 

Barattieri. 


Cosi,  di  ponte  in  ponte,  altro  parlando 
che  la  mia  commedia  cantar  con  cura, 
venimmo,  e  tenevamo  il  colmo,  quando 

ristemmo  per  veder  l'altra  fessura 

di  Maiebolge  e  gli  altri  pianti  vani  ; 
e  vidila  mirabilmente  oscura. 


Ai"zanà  dei 
Veneziani. 


Quale  nell  arzanà  de   Viniziani 
bolle  1  inverno  la  tenace  pece 
a  rimpalmar  li  lor  legni  non  sani, 

che  navicar  non  ponno,  e  in  quella  vece 
chi  fa  il  suo  legno  nuovo,  e  chi  ristoppa 
le  coste  a  quel  che  più  viaggi  fece. 


10 


210 


INFERNO 


chi   ribatte   da   proda   e   chi   da   poppa, 
altri  fa  remi,  ed  altri  volge  sarte, 
chi  terzeruolo  ed  artimon  rintoppa; 


13 


\.'Ar:iiiìà  dvi    Vcncziiini. 
dalla  veduta  prospettica  di  Venezia  attribuita  a  Jacopo  de'  Barlìari. 


tal,  non  per  foco,  ma  per  divina  arte 
bollia  là  giuso  una  pegola  spessa 
che  inviscava  la  ripa  da  ogni  parte. 


ir. 


Io  vedea  lei,   ma  non  vedeva  in  essa 
ma   che  le  bolle  che  il  bollor  levava, 
e  gonfiar  tutta,  e  riseder  compressa. 


19 


CAN  IO   XXI, 


Jll 


Coslruzionc  di   una  lunw,   scolliira  de)   sec.   xiv. 
(Venezia,  S.  Marco). 


Mentr  io  là  giù  fissamente  mirava, 

lo  duca  mio  dicendo  :    "  Guarda,   guarda  !  " 
mi  trasse  a  sé  del  loco  dov  io  stava. 


•)•) 


Allor  mi  volsi  come  1  uom  cui  tarda 
di  veder  quel  che  gli  convien  fuggire, 
e  CUI  paura  sùbita  sgagliarda, 


J.O 


212  INFERNO 


che  per  veder  non  indugia  il   partire;  2<s 

e  vidi  dietro  a  noi   un  diavol  nero 
correndo  su  per  lo  scoglio  venire. 

Malebranche.   Ahi,  quanto  egli  era  nell'aspetto  fiero!  3i 

e  quanto  mi  parca  nell'atto  acerbo, 
con  1  ale  aperte,  e  sovra  i  pie  leggiero! 

L  omero  suo,  eh  era  acuto  e  superbo,  3i 

carcava  un  peccator  con  ambo  l'anche, 
e  quei  tenea  de'  pie  ghermito  il  nerbo. 


Anziani  di 
santa  Zita. 


(lorjìo   (li    S(inl(t   Zild.  (Lucca,  San  rrcdiano). 

Del  nostro  ponte  disse  :    "  O  Malebranche,  37 

ecco  un  degli  anzian  di  santa  Zita  ; 
mettetel  sotto,   eh  io  torno  per  anche 


a  quella  terra  eh  i   n  ho  ben  fornita:  k» 

Bontuio.  ogn  un  v'è  barattier,  fuor  che  Bonturo; 

del  no  per  li  denar  vi  si  fa  ita.  " 

Là  giù  il  buttò,  e  per  lo  scoglio  duro  43 

si  volse,   e  mai  non  fu  mastino  sciolto 
con  tanta  fretta  a  seguitar  lo  furo. 


Il    Volto  Santo.  -  (Lucca,  Duomo). 


e: 
© 

e. 


CAN  IO   XXI 


213 


Duomo  di  Lucca. 


Quei  s'attuffò,  e  tornò  su  convolto;  46 

ma  i  demon,  che  del  ponte  avean  coperchio, 
Santo  Volto.        gridar:    "  Qui  non  ha  loco  il  Santo  Volto; 


qui  si  nuota  altrimenti  che  nel  Serchio  : 
però,  se  tu  non  vuoi  de  nostri  graffi, 
non  far  sopra  la  pegola  soperchio.  " 


49 


214  INFERNO 


Poi  1  addentar  con  più  di  cento  raffi  ;  52 

disser:    "  Coperto  convien   che  qui   balli, 
si  che,   se  puoi,   nascosamente  accaffi.  " 

Non  altrimenti  i  cuochi  ai  lor  vassalli  55 

fanno  attuffare  in  mezzo  la  caldaia 
la  carne  con  gli  uncin,   perché  non  galli. 

Lo  buon  maestro  :    "  Acciò  che  non  si  paia  58 

che  tu  ci  su,  "    mi  disse,    "  giù  t  acquatta 
dopo  uno  scheggio  che  alcun  schermo  t  àia  ; 

e  per  nulla  offension  che  mi  sia  fatta,  oi 

non  temer  tu,  eh  io  ho  le  cose  conte, 
perché  altra  volta  fui  a  tal  baratta.  " 

Poscia  passò  di  là  dal  co   del  ponte,  ìji 

e  com'ei  giunse  in  su  la  ripa  sesta, 
mestier  gli  fu  d'aver  sicura  fronte. 

Con  quel  furor  e  con  quella  tempesta  07 

ch'escono  i  cani  addosso  al  poverello, 
che  di  sùbito  chiede  ove  s  arresta  ; 

usciron  quei  di  sotto  al  ponticello,  7o 

e  volser  contra  lui  tutti  i  roncigh; 
ma  ei  gridò  :    "  Nessun  di  voi  sia  fèllo  ! 

Innanzi  che  l' uncin  vostro  mi  pigli,  ^3 

traggasi  avanti  alcun  di  voi  che  m  oda, 
e  poi  d'arroncigliarmi  si  consigli.  " 


CAN  IO   XXI 


213 


Malacoda.     Tiillì   giiclaioiì:    "Vada    Malacoda  "  ;  7«i 

per  che  un  si  mosse,  e  gli  allri  stetler  fermi; 
e  venne  a  lui  dicendo:    "  Che  gli  approda?  " 


Credi  tu,   Malacoda,  qui  vedermi 
esser  venuto,  "    disse  il   mio  maestro, 
"  sicuro  già  da  tutti  vostri  schermi, 


7!» 


Caprona. 


senza  voler  divino  e  fato  destro  ?  82 

Lasciane  andar,  che  nel  cielo  è  voluto 
eh'  io  mostri  altrui  questo  cammin  Silvestro.  " 

Allor  gli  fu  l'orgoglio  si  caduto  85 

che  si  lasciò  cascar  l' uncino  ai  piedi  ; 
e  disse  agli  altri:    "  Omai  non  sia  feruto.  " 

E  il  duca  mio  a  me:    "  O  tu,  che  siedi  88 

tra  gli  scheggion  del  ponte  quatto  quatto, 
sicuramente  omai  a  me  ti  riedi.  " 


216 


INFERNO 


I  fanti 
di  Caprona. 


Per  eh  IO  mi   mossi,   ed  a  lui  venni  ratto  ; 
e  1  diavoli  si  fecer  tutti  avanti, 
si  eh  10  temetti  non  tenesser  patto. 

E  eosi  vidi  io  già  temer  li  fanti 
ch'useivan  patteggiati  di  Caprona, 
veggendo  sé  tra  nimiei  eotanti. 


'Ji 


94 


Chiesa  di  Caprona. 


Io  m'aeeostai  con  tutta  la  persona  97 

lungo  il  mio  duea,  e  non  torceva  gli  occhi 
dalla  sembianza  lor  ch'era  non  buona. 

Assalto         Ei  china van  li  raffi,  e    "  Vuoi  che  '1  tocchi  "       loo 

dei  diavoli.  ,.  ,,  1'    K         «  •  1  -\  Il 

diceva  1  un  con  1  altro      in  sul  groppone  .•' 


e  rispondean 


"  Si,  fa  che  gliele  accocchi.  " 


Ma  quel  demonio,  che  tenea  sermone 
col  duca  mio,  si  volse  tutto  presto 
Scarmiglione.        e  disse  :    "  Posa,  posa,  Scarmiglione.  " 


103 


CANTO   XXI 


217 


Bu^ia  di 
Malacoda. 


D 


emoni 


Poi  (liss(^  a  noi:  "  Più  olire  andar  per  questo  i"r. 

iscoglio   non   si   può,    però   die   giace 
tutto  spezzato  al   fondo   l'arco   sesto: 

e  se  I  andare  avanti   pur  vi   piace,  !'»'• 

andatevene  su   per  questa   grotta  ; 
presso  è  un  altro  scoglio  che  via   face. 

ler,   più  oltre  cinqu'ore  che  quest'otta,  112 

mille  dugento  con  sessanta  sei 
anni  compiè  che  qui   la  via  fu  rotta. 

Io  mando  verso  là  di  questi  miei  i^-> 

a  riguardar  s' alcun  se  ne  sciorina: 
gite  con  lor,  ch'ei  non  saranno  rei.  " 

"  Tratti  avanti,  Alichino  e  Calcabrina,  "  iis 

cominciò  egli  a  dire,    "  e  tu,   Cagnazzo, 
e  Barbariccia  guidi  la  decina. 

Libicocco  vegna  oltre,  e  Draghignazzo,  121 

Ciriatto  sannuto,   e  Graffìacane, 
e  Farfarello,   e  Rubicante  il  pazzo. 

Cercate  intorno  le  bollenti  pane;  124 

costor  sien  salvi  msino  ali  altro  scheggio, 
che  tutto  intero  va  sopra  le  tane.  " 

"  O  me!  maestro,  che  è  quel  che  io  veggio?  "         127 
diss  io;    "  deh,  senza  scorta  andiamci  soli, 
se  tu  sai  ir,   eh  10  per  me  non  la  cheggio. 


218  INFERNO 


Se  tu  se    si  accorto  come  suoli,  l'^o 

non  vedi  tu  eh  ei  digrignan   li  denti 
e  con   le  ciglia  ne  minaccian  duoli  ?  " 

Ed  egli  a  me:    "  Non  vo'  che  tu  paventi,  133 

lasciali  digrignar  pure  a  lor  senno, 
ch'ei  fanno  ciò  per  li  lessi  dolenti.  " 

Per  l'argine  sinistro  volta  dienno;  i3t) 

ma  prima  avea  ciascun  la  lingua  stretta 
coi  denti,  verso  lor  duca  per  cenno, 

ed  egli  avea  del  cui  fatto  trombetta.  139 


'l'orncunwntu.  -  (Am;o1ì  l'iceno). 


CANTO  XXII. 


Cerchio  ot-   Jq  yidi  già  cavalier  muover  campo, 

tavo,  quin-  .      .  ,         , 

ta  bolgia.  ^  commciare  stormo,  e  rar   lor   mostra, 

Barattieri.  ^  talvolta  partir  per  loro  scampo  ; 

corridor  vidi  per  la  terra  vostra, 
o  Aretini,  e  vidi  gir  gualdane, 
fedir  torneamenti,   e  correr  giostra, 

quando  con  trombe  e  quando  con  campane, 
con  tamburi  e  con  cenni  di  castella, 
e  con  cose  nostrali  e  con  istrane; 

né  già  con  si  diversa  cennamella 
cavalier  vidi  muover,  né  pedoni, 
né  nave  a  segno  di  terra  o  di  stella. 


Aiififlo 

che  suoiu^  la  ceniuiinella. 

(.Pistoia,  Duomo). 


220 


INFERNO 


Fiera  com- 
pagnia. 


Noi  andavam  con  li  dieci  dimoni; 
ahi   fiera   compagnia  !   ma   nella   chiesa 
coi  santi  ed  in  taverna  coi   ghiottoni. 


13 


»  f  i  t 


Campane.  -  (Perugia,  l'onU-   Maggiore). 


Pure  alla  pegola  era  la  mia  intesa, 
per  veder  della  bolgia  ogni  contegno 
e  della  gente  eh  entro  v  era  incesa. 


16 


Come  i  delfini,   quando  fanno  segno 
ai  marinar  con  1  arco  della  schiena, 
che  s'argomentin  di  campar  lor  legno; 


19 


cAN  re;  XXll, 


221 


lalor   cosi   ad   alloggiar  la    pena 

nioslrava   alcun   dei   pcccalori   il   dosso, 
e  nascondeva  in  mcn  che  non   balena. 


E  come  all'orlo  dell'acqua  d  un  fosso 
stan  li  ranocchi  pur  col  muso  fuori, 
si  che  celano  i  piedi  e  l'altro  grosso; 


j..y 


In  hwcnia,   atlrcsco  dei    Fralclli   SaliinluMii. 
(Urbino,  S.  Giovanni  Battista). 


Barb 


aricela. 


si  stavan  d  ogni  parte  i  peccatori: 
ma  come  s  appressava   Barbariccia, 
cosi  si  ritraean  sotto  i  bollori. 


28 


Io  vidi,  ed  anco  il  cor  me  n  accapriccia, 
uno  aspettar  cosi,  com  egli  incontra 
che  una  rana  rimane  ed  altra  spiccia  : 


31 


222 


INFERNO 


Graffiacane.     e  Graffiacan,   che  gli  era  più  di  centra, 
gli  arroncigliò  le  impegolate  chiome, 
e  trasse!  su,  che  mi  parve  una  lontra. 

Io  sapea  già  di   tutti  quanti  il  nome, 
si  li  notai,  quando  furono  eletti, 
e  poi  che  si  chiamaro  attesi  come. 


34 


37 


Rubicante. 


Giatnpolo 
di  N avana. 


Ciriatto. 


"  O  Rubicante,  fa  che  tu  gli  metti  4o 

gli  unghioni  addosso,  si  che  tu  lo  scuoi,  " 
gridavan  tutti  insieme  i  maledetti. 

Ed  io:    "  Maestro  mio,  fa,  se  tu  puoi,  43 

che  tu  sappi  chi  è  lo  sciagurato 
venuto  a  man  degli  avversari  suoi.  " 

Lo  duca  mio  gli  s  accostò  allato,  46 

domandollo  ond  ei  fosse,  e  quei  rispose  : 
"  Io  fui  del  regno  di  Navarra  nato. 

Mia  madre  a  servo  d  un  signor  mi  pose,  49 

che  m  avea  generato  d  un  ribaldo 
distruggitor  di  sé  e  di  sue  cose. 

Poi  fui  famiglio  del  buon  re  Tebaldo  :  52 

quivi  mi  misi  a  far  baratteria, 
di  che  rendo  ragione  in  questo  caldo.  " 

E  Ciriatto,  a  cui  di  bocca  uscia  55 

d  ogni  parte  una  sauna  come  a  porco, 
gli  fé'  sentir  come  luna  sdruscia. 


CAN  ro  XXII 


223 


1  la   male   ^allc  era   v(mìiiI()   il   sorco  ; 
ma   Barhaiiccia   il   cIìiuso  con   le  braccia, 
e  disse  :  "  Siale   in   là,   incnlr  io   lo   inforco  ; 


n» 


Libi 


ICOCCO. 


Diaghl- 
gnazzo. 


Fra  Gomita. 


e  al  maestro  mio  volse  la  faccia  : 

"  Domanda  ",  disse,    "  ancor  se  più  desìi 
saper  da  lui,  prima  eh  altri  il  disfaccia.  " 


111 


Lo  duca  dunque:    "Or  di':   degli  altri  rii 
conosci  tu  alcun  che  sia  latino 
sotto  la  pece  ?"    E  quegli  :    "  Io  mi  partii 

poco  è  da  un,  che  fu  di  là  vicino; 
cosi  foss  io  ancor  con  lui  coperto, 
ch'io  non  temerei  unghia,  né  uncino.  " 

E  Libicocco  :    "  Troppo  avem  sofferto,  " 
disse,   e  presegli  il  braccio  col  ronciglio, 
si  che,  stracciando,  ne  portò  un  lacerto. 

Draghignazzo  anco  i  volle  dar  di  piglio 
giuso  alle  gambe  ;  onde  il   decurio  loro 
SI  volse  intorno  intorno  con  mal  piglio. 

Quand  elli  un  poco  rappaciati  fòro, 
a  lui,   che  ancor  mirava  sua  ferita, 
domandò  il  duca  mio  senza  dimoro  : 

"  Chi  fu  colui,  da  cui  mala  partita 
di    che  facesti  per  venire  a  proda?  " 
Ed  ei  rispose  :    "  Fu  Frate  Gomita, 


CI 


(•)7 


70 


73 


7G 


79 


224  INFERNO 


quel  di  Gallura,   vasel  d  ogni  froda,  «2 

eh  ebbe  i  nimici  di  suo  donno  in   mano, 
e  fé   si  lor,  che  ciascun  se   ne  loda  : 

denar  si  tolse,  e  lasciolli  di   piano,  «5 

si  com  ei  dice  ;   e  negli  altri  ufficT  anche 
barattier  fu  non  picciol,   ma  sovrano. 

Michel  Usa  con  esso  donno  Michel  Zanche  «8 

Zanche.  ri  i  i*       r    e      r 

di  Logodoro  ;   e  a  dir  di  oardigna 

le  lingue  lor  non  si  sentono  stanche. 

O  me  !  vedete  1  altro  che  digrigna  :  9i 

io  direi  anco  ;   ma  io  temo  eh  elio 
non  s  apparecchi  a  grattarmi  la  tigna. 


it 


Farfarello.        E  il  gran  proposto,  vólto  a  Farfarello  94 

che  stralunava  gli  occhi  per  ferire, 
disse  :    "  Fatti  in  costà,   malvagio  uccello  !  " 

"  Se  voi  volete  vedere  o  udire,  "  97 

ricominciò  lo  spaurato  appresso, 
"  tòschi  o  lombardi,  io  ne  farò  venire  ; 

ma  stien  le  male  branche  un  poco  in  cesso,        loo 
si  ch'ei  non  teman   delle  lor  vendette; 
ed  IO,  sedendo  in  questo  loco  stesso, 

per  un  eh  io  son,   ne  farò  venir  sette,  103 

quand  io  sufolerò,   com  è  nostr  uso 
di  fare  allor  che  fuori  alcun  si  mette.  " 


Demonii,  dal  «Trionfo  della  Morte». 
(Pisa,  Camposanto). 


CANTO   XXII 


225 


'agnaz/o.        Caj^iìa//<)   a   (olal    inolio   levò   il   imiso, 

crollaiKlo   il   capo,   e  disse:       Odi   inali/.ia 
ch'egli   Ila   pensala   per   pillarsi   giuso.  " 


Kit; 


Arezzo,  di  Giotto. 
(Assisi  -  Chiesa  dì   S.  Francesco). 


Ond  ei,  eh  avea  lacciuoli  a  gran  divizia, 
rispose  :    "  Malizioso  son  io  troppo 
quand'io  procuro  a'  miei  maggior  tristizia.  " 


109 


226  INFERNO 


Alicliino.         Alichin  non  si  tenne,  e,  di  rintoppo  112 

agli  altri,  disse  a  lui:    "  Se  tu  ti  cali, 
10  non  ti  verrò  dietro  di  galoppo, 

ma  batterò  sopra  la  pece  lali;  115 

lascisi  il  colle,  e  sia  la  ripa  scudo 
a  veder  se  tu  sol  più  di  noi  vali.  " 

O  tu  che  leggi,  udirai  nuovo  ludo  !  118 

Ciascun  dall  altra  costa  gli  occhi  volse  ; 
quei  pria,  eh  a  ciò  fare  era  più  crudo. 

Demoni  ]^q  Navariese  ben  suo  tempo  colse,  121 

delusi. 

fermò  le  piante  a  terra,  e  m  un  punto 
saltò  e  dal  proposto  lor  si  sciolse. 

Di  che  ciascun  di  colpa  fu  compunto,  124 

ma  quei  più,  che  cagion  fu  del  difetto; 
però  si  mosse,  e  gridò  :    "  Tu  se'  giunto  !  " 

Ma  poco  i  valse,  che  1  ale  al  sospetto  127 

non  poterò  avanzar:   quegli  andò  sotto, 
e  quei  drizzò,  volando  suso,  il  petto; 

non  altrimenti  1  anitra  di  botto,  i3n 

quando  il  falcon  s'appressa,  giù  s  attuffa, 
ed  ei  ritorna  su  crucciato  e  rotto. 

Calcabrina.      Irato  Calcabrina  della  buffa,  133 

volando  dietro   gli  tenne,   invaghito 
che  quei  campasse,  per  aver  la  zuffa. 


cAN  ro  xxn.  227 


Zuffa  de- 
moniaca. 


E  come   il   baiallici    fu   disparito,  ik- 

cosi  volsr   ^li   ardali   al   suo  compaiano, 
e  fu  con  lui  sopra  il   fosso  ghcrmilo. 

Ma   l'altro  fu   bene  sparvicr  grifagno  i;i'» 

ad  artigliar  ben  lui,  e  ambedue 
cadder  nel  mezzo  del  bollente  stagno. 

Lo  caldo  sghermitor  subito  fue;  i  l'i 

ma  però  di  levarsi  era  niente, 
si  aveano  inviscate  1  ali  sue. 

Barbariccia,  con  gli  altri  suoi  dolente,  115 

quattro  ne  fé'  volar  dall  altra  costa 
con  tutti  i  raffi,  ed  assai  prestamente 

di  qua,  di  là  discesero  alla  posta  :  1 1« 

porser  gli  uncini  verso  gì  impaniati, 
ch'eran  già  cotti  dentro  dalla  crosta; 

e  noi  lasciammo  lor  cosi  impacciati.  101 


('.oltilìiii,   sil()i;i;ilia   ilei    1  l".»,J. 


CANTO  XXIII. 


Cerchio  ot-      Taciti,  soli  e  senza  compagnia, 

tavo,  sesta  ,        .  .,  .,  'ri  j 

bolgia.  ^  andavam  1  un  dinanzi  a  1  altro  dopo, 

Ipocriti.  come  i  frati  minor  vanno  per  via. 

Vòlto  era  in  su  la  favola  d  Isopo  4 

lo  mio  pensier  per  la  presente  rissa, 
dovei  parlò  della  rana  e  del  topo; 

che  più  non  si  pareggia   '  mo  '   ed   '  issa  '  7 

che  1  un  con  l'altro  fa,  se  ben  s  accoppia 
principio  e  fine  con  la  mente  fissa. 


E  come  1  un  pensier  dall  altro  scoppia, 
cosi  nacque  di  quello  un  altro  poi, 
che  la  prima  paura  mi  fé   doppia. 


10 


230 


INFERNO 


Io  pensava  cosi  :    "  Questi  per  noi 

sono  scherniti,   e  con  danno  e  con  beffa 
si  fatta  eh  assai  credo  che  lor  noi. 


13 


Lit  fdi'old  (ìiìld  rana  e  del  topo,  silografia  del  1486. 


Timore 
di  Dante. 


Se  1  ira  sovra  il  mal  voler  s  aggueffa, 
ei  ne  verranno  dietro  più  crudeli 
che  il  cane  a  quella  lepre  eh  egli  acceffa.  " 

Già  mi  sentia  tutti  arricciar  li  peli 
della  paura,   e  stava  indietro  intento, 
quand'  io  dissi  :    "  Maestro,  se  non  celi 

te  e  me  tostamente,  i   ho  pavento 

di  Malebranche  ;  noi  gli  avem  già  dietro  ; 
io  gl'imagino  si  che  già  gli  sento.  " 

E  quei:    "  S'io  fossi  di  piombato  vetro, 
r  imagine  di  fuor  tua  non  trarrei 
più  tosto  a  me,   che  quella  dentro  impetro. 


16 


19 


22 


25 


C'AN  IO   XXIII.  231 


Pur   mo   veniali   11   tuoi    jjcnsicr   Ira    i    iiikì  28 

con   simile^  allo   r  con   siniilc   faccia, 
si   clic  d  cnlranihi   un   sol   consiglio   fci. 

S  egli  è  che   si   la   desìi  a   cosla   giaccia,  ^i 

che  noi  possiam  nell'allra   bolgia   scendere, 
noi  fuggiiem  l' imaginala  caccia.  " 

Inseguimento    Già   non   coHipiè   di   tal   consiglio  rendere,  34 

dei  diavoli.  i  »  •  i-       •  i.  •  r    ì-    ^ 

eh  IO  gli  Vidi  venir  con  I  ali  tese, 
non  molto  lungi,  per  volerne  prendere. 

Lo  duca  mio  di  sùbito  mi  prese,  37 

come  la  madre  eh  al  romore  è  desta 
e  vede  presso  a  sé  le  fiamme  accese, 


to 


che  prende  il  figlio  e  fugge  e  non  s  arresta, 
avendo  più  di  lui  che  di  sé  cura, 
tanto  che  solo  una  camicia  vesta  ; 


e  giù  dal  collo  della  ripa  dura  t3 

supin  si  diede  alla  pendente  roccia, 
che  r  un  dei  lati  ali  altra  bolgia   tura. 

Non  corse  mai  si  tosto  acqua  per  doccia  46 

a  volger  rota  di  molin  terragno, 
quand  ella  più  verso  le  pale  approccia, 

come  il  maestro  mio  per  quel  vivagno,  49 

portandosene  me  sopra  il  suo  petto, 
come  suo  figlio,  non  come  compagno. 


232  INFERNO 


Appena  fur  gli  pie  suoi  giunti  al  letto  52 

del  fondo  giù,   eh  ei  furono  in  sul  colle 
sopr  esso  noi  ;   ma  non   gli  era   sospetto  ; 

che  1  alta  provvidenza,  che  lor  volle  55 

porre   ministri  della  fossa  quinta, 
poder  di  partirs'indi  a  tutti  tolle. 

Ipocriti.  Là  giù  trovammo  una  gente  dipinta,  58 

che  giva  intorno  assai  con  lenti  passi, 
piangendo,  e  nel  sembiante  stanca  e  vinta. 

Elli  avean  cappe  con  cappucci   bassi  tu 

dinanzi  agli  occhi,   fatte  della   taglia 
che  per  li  monaci  in  Cologna  fassi. 

Di  fuor  dorate  son  si  ch'egli  abbaglia;  64 

Le  cappe  di         j^^^  dentro  tutte  piombo,   e  gravi  tanto, 

piombo.  1        n    1     •        1  1-  r 

Cile  rederico  le  mettea  di  paglia. 

O  in  eterno  faticoso  manto!  67 

Noi  ci  volgemmo  ancor  pure  a  man  manca 
con  loro  insieme,  intenti  al  tristo  pianto; 

ma  per  lo  peso  quella  gente  stanca  70 

venia  si  pian  che  noi  eravam  nuovi 
di  compagnia  ad  ogni  muover  d  anca. 

Per  ch'io  al  duca  mio:    "  Fa  che  tu  trovi  7.3 

alcun  eh  al  fatto  o  al  nome  si  conosca, 
e  gli  occhi,   si  andando,  intorno  muovi.  " 


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CANIO   XXIII.  233 


Rei   un   cUc   inl('so   la    parola    lósca,  7r» 

(li   ìcUo  a    noi   ^ndò  :    "   rcnclc   i    |)i('(li, 
VOI   che  correle   si   per   I  aura   fosca  : 

forse  ch'avrai  da  me  quel  che  tu  chiedi.  "  7'.» 

Onde  il   duca   si  volse,  e  disse  :    "  Aspetta  ; 
e  poi  secondo  il  suo  passo  procedi.  " 

Catalano  dei     Ristetti,  e  vidi  due  mostrar  gran  fretta  «2 

Malavolti  e  i    ii»       •  i       •  r 

Loderingo  dell  animo,  col  viso,  d  esser  meco; 

j^,?  *     "'  ma   tardavagli  il  carco  e  la  via  stretta. 

dalo.  ° 


h: 


88 


Quando  fur  giunti,  assai  con  1  occhio  bieco 
mi  rimiraron  senza  far  parola  ; 
poi  SI  volsero  in  sé,   e  dicean  seco  : 

"  Costui  par  vivo  ali  atto  della  gola; 
e  s  ei  son  morti,  per  qual  privilegio 
vanno  scoperti  della   grave  stola?  " 


Poi  disser  me:    "  O  Tòsco,   ch'ai  collegio  9i 

degl  ipocriti  tristi  se'  venuto, 
dir  chi  tu  sei  non  aver  in  dispregio.  " 

Ed  io  a  loro  :    "  Io  fui  nato  e  cresciuto  9 1 

sopra  il  bel  fiume  d'Arno  alla  gran  villa, 
e  son  col  corpo  eh'  1'  ho  sempre  avuto. 

Ma  voi  chi  siete,  a  cui  tanto  distilla,  97 

quant' io  veggio,  dolor  giù  per  le   guance? 
e  che  pena  è  in  voi  che  si  sfavilla?  " 


234 


INFERNO 


Frale  (uiiidrulc 


(Bologna,  Musco  Civico). 


Frati  godenti. 


E   r  un   rispose   a   me  :    "  Le   cappe   rance  loo 

son  di  piombo,  si  grosse  che  li  pesi 
fan  cosi  cigolar  le  lor  bilance. 

Frati  godenti  fummo,   e  bolognesi;  103 

io  Catalano  e  questi  Loderingo 
nomati,   e  da  tua  terra  insieme  presi, 


CAN  lo   XXlll. 


235 


come   suole   esser   lollo   un   uoni   solingo  i'"> 

per  conservar   sua   pace,   e   funinio   lali, 
eli' ancor  si  pare  intorno  dal  Gai  dingo. 


Io  cominciai:    "O  frali,   i  vostri   mali..,.", 
ma  più  non  dissi;  clié  ali  occhio  mi  corse, 
un,  crocifisso  in   terra  con  tre  pali. 


Ki'J 


Hontaiw.  (k'i   l-Vali  CiaiuleiUi 


Caifas. 


Quando  mi  vide,  tutto  si  distorse, 
soffiando  nella  barba  co'  sospiri  ; 
e  il  frate  Catalan,  eh  a  ciò  s  accorse, 

mi  disse:    "  Quel  confitto,   che  tu  min, 
consigliò  1  farisei,  che  convenia 
porre  un  uom  per  lo  popolo  a  martiri. 

Attraversato  e  nudo  è  nella  via, 

come  tu  vedi,  ed  è  mestier  ch'ei  senta 
qualunque  passa,   com'ei  pesa,  pria. 


112 


115 


118 


236 


INFERNO 


Anna  pontefice.    Ed  a   tal   modo  il  suocero  SI  stenta,  vii 

in  questa  fossa,  e  gli  altri  del  concilio, 
che  fu  per  li  giudei  mala  sementa.  " 

Allor  vid  io  maravigliar  Virgilio  12 1 

sopra  colui  ch'era  disteso  in  croce 
tanto  vilmente  nell'eterno  esilio. 


Ciiifus.su  coiisij;lia  ai  Giudei  il  supplizio  di  Gebù. 
Dipinto  di  Duccio  tii  Bonliisegna.  -  (Siena,  Opera  del  Duomo). 


Poscia  drizzò  al  frate  cotal  voce  :  127 

"  Non  VI  dispiaccia,  se  vi  lece,  dirci 
se  alla  man  destra  giace  alcuna  foce, 

onde  noi  ambedue  possiamo  uscirci  I3u 

senza  costringer  degli  angeli  neri, 
che  vegnan  d'esto  fondo  a  dipartirci.  " 


CAN  ro   XXIll.  237 


Rispose   adunque:    "  Più   clic   lu    non   speri,  i:5:< 

,1      .  ■  s'appressa   un   sasso,   (.he  dalla   t'raii   cerchia 

alla  sellima  '  '  " 

1>oIrìo.  si  muove,   e  varca   tutti  i  vallon   feri, 

salvo  ella   questo  è   rotto,   e   no   I   coperchia:         i:»*- 
montar   {potrete  su   per  la   mina, 
che  giace  in  costa  e  nel  fondo  soperchia.  " 

Lo  duca  stette  un   poco  a   testa  china,  i:ì!) 

poi  disse:    "  Mal  contava   la  bisogna 
colui  che  1  peccator  di  là  uncina.  " 

E  il  frate:    "  Io  udi'  già  dire  a   Bologna  ivi 

del  diavol  vizi  assai,   tra  i  quali  udi' 
eh  egli  è  bugiardo  e  padre  di  menzogna. 


Il 


Appresso  il  duca  a  gran  passi  sen  gi,  145 

turbato  un  poco  d  ira  nel  sembiante  ; 
ond  io  dagl  incarcati  mi  parti' 

dietro  alle  poste  delle  care  piante.  ii8 


\  ((/  (//    Mdf/ni. 


CANTO  XXIV. 


Cerchio  ot- 
tavo, setti- 
ma bolgia. 

Ladri. 


In  quella  parte  del  giovinetto  anno, 

che  il  sole  i  crin  sotto  l'Acquano  tempra 
e  già  le  notti  al  mezzo  di  sen  vanno, 

quando  la  brma  in  su  la  terra  assempra 
1  imagine  di  sua  sorella  bianca, 
ma  poco  dura  alla  sua  penna  tempra, 

lo  villanello,  a  cui  la  roba  manca, 

si  leva  e  guarda,  e  vede  la  campagna 
biancheggiar  tutta,  ond  ei  si  batte  1  anca  ; 

ritorna  in  casa,  e  qua  e  là  si  lagna, 

come  il  tapin  che  non  sa  che  si  faccia, 
poi  riede  e  la  speranza  ringavagna, 


10 


240 


INFERNO 


veggendo  il   mondo  aver  cangiata  faccia 
in  poco  d  ora,  e  prende  suo  vincastro, 
e  fuor  le  pecorelle  a  pascer  caccia; 


13 


cosi  mi  fece  sbigottir  lo  mastro, 

quand  io  gli  vidi  si  turbar  la   fronte, 
e  cosi  tosto  al  mal  giunse  lo  impiastro  ; 


16 


Acquario. 
(Padova,  Sala  della  Ragiono). 


che,  come  noi  venimmo  al  guasto  ponte, 
lo  duca  a  me  si  volse  con  quel  piglio 
dolce,  eh  io  vidi  prima  a  pie  del  monte. 


19 


Salita  al  ci- 
glione. 


Le  braccia  aperse,  dopo  alcun  consiglio 
eletto  seco,  riguardando  prima 
ben  la  ruina,   e  diedemi  di  piglio. 


22 


CANTO   XXIV.  241 


E  come  quri   dir   adoprra   rd   estima,  25 

che   scinprc   par   clic   iniian/.i   si   provvcggia, 
cosi,   levando   me   su   ver   la   cima 

d  un  ronchion,  avvisava   un  altra   scheggia,  'i.s 

dicendo:    "Sopra  quella   poi   l'aggrappa; 
ma  tenta   pria  s'è  tal   ch'ella   ti  reggia.  " 

Non  era  via  da  vestito  di  cappa,  :ìi 

che  noi  a  pena,   ei  lieve  ed  io  sospinto, 
potevam  su   montar  di  chiappa  in  chiappa. 

E  se  non  fosse  da  quel  precinto,  :'>i 

più  che  dall  altro,   era  la  costa  corta, 
non  so  di  lui,   ma  io  sarei  ben  vinto  ; 

ma  perché  Malebolge  in  ver  la  porta  .'7 

del  bassissimo  pozzo  tutta  pende, 
lo  sito  di  ciascuna  valle  porta 

che  1  una  costa  surge  e  l'altra  scende:  w 

noi  pur  venimmo  alfine  in  su  la  punta 
onde  1  ultima  pietra  si  scoscende. 

Affanno.  La  lena  m  era  del  polmon  si  munta,  43 

quand  io  fui  su,  ch'io  non  potea  più  oltre; 
anzi  mi  assisi  nella  prima  giunta. 

Omai  convìen  che  tu  cosi  ti  spoltre,  "  4fi 

disse  il  maestro,    "  che,  seggendo  in  piuma, 
in  fama  non  si  vien,  né  sotto  coltre; 


242  INFERNO 


senza  la  qual  chi  sua  vita  consuma,  19 

cotal  vestigio  in  terra  di  sé  lascia, 
qual  fummo  in  aer  ed  in  acqua  la  schiuma  ; 

e  però  leva  su,  vinci  l'ambascia  52 

con  1  animo  che  vince  ogni  battaglia, 
se  col  suo  grave  corpo  non  s  accascia. 

Più  lunga  scala  convien  che  si  saglia;  55 

non  basta  da  costoro  esser  partito: 


se  tu  m  intendi,  or  fa  si  che  ti  vagli 


la." 


Leva  mi  allor,   mostrandomi  fornito  58 

meglio  di  lena  eh  io  non  mi  sentia  ; 
e  dissi  :    "  Va,  eh  io  son  forte  ed  ardito. 


Il 


Su  per  lo  scoglio  prendemmo  la  via,  61 

eh  era  ronchioso,  stretto  e  malagevole, 
ed  erto  più  assai  che  quel  di  pria. 

Voce         Parlando  andava  per  non  parer  fievole,  64 

dalla  settima  ,  .        l    ir    1  r 

1   !„•  onde  una  voce  uscio  daii  altro  rosso, 

bolgia.  ' 

a  parole  formar  disconvenevole. 

Non  so  che  disse,  ancor  che  sopra  il  dosso  g7 

fossi  dell  arco  già  che  varca  quivi  ; 
ma  chi  parlava  ad  ira  parca  mosso. 

Io  ero  volto  in  giù,  ma  gli  occhi  vivi  70 

non  potean  ire  al  fondo  per  1  oscuro  ; 
per  eh'  io  :    "  Maestro,  fa  che  tu  arrivi 


CAN  IO   XXIV.  243 


clall  aldo   ciurlilo,   e   disinoiiliaiu    lo    imiio;  7M 

che   coni  I    odo   CjiiiiK  1    e    non    inlciido, 
cosi   giù   veggio  e   nicnlc   affiglilo.  " 

"  Altra  risposta  "    disse    "  non   ti  rendo,  76 

se   non   lo  far;   che   la   dimanda   onesta 
SI  dee  seguir  con   1  opera   tacendo.  " 

Noi  discendemmo  il   ponte  dalla   testa,  79 

dove  si  aggiunge  con  1  ottava  ripa, 
e  poi  mi  fu  la  bolgia   manifesta  ; 

Pena  e  vidivi   entro   terribile  stipa  82 

dei  ladri.  ^.  .  r      .      r 

di  serpenti,  e  di  si  diversa  mena, 

che  la  memoria  il  sangue  ancor  mi  scipa. 

Più  non  si  vanti  Libia  con  sua  rena;  85 

che,  se  chelidri,  iaculi  e  farèe 
produce  e  ceneri  con  amfisibena, 

né  tante  pestilenzie  né  si  ree  88 

mostrò  giammai  con  tutta  l'Etiopia, 
né  con  ciò  che  di  sopra  il  mar  Rosso  èe. 

Tra  questa  cruda  e  tristissima  copia  91 

correvan  genti  nude  e  spaventate, 
senza  sperar  pertugio  o  elitropia. 


I  serpenti.  Con  serpi  le  man  dietro  avean  legate  ; 

quelle  fìccavan  per  le  ren  la  coda 
e  il  capo,  ed  eran  dinanzi  aggroppate. 


94 


244 


INFERNO 


Ed  ecco  ad   un,   eh  era  da  nostra   proda, 
s  avventò   un   serpente,   che   il   trafisse 
là  dove  il  collo  alle  spalle  s'annoda. 


97 


Amfesibciia  e  farra,  da  silografia  del   1 18G. 


Trasforma- 
zioni. 


Né  0  si  tosto  mai  né   /  si  scrisse,  loo 

com'ei  s'accese  ed  arse,  e  cener  tutto 
convenne  che  cascando  divenisse  ; 

e  poi  che  fu  a  terra  si  distrutto,  103 

la  polver  si  raccolse  per  sé  stessa 
e  in  quel  medesmo  ritornò  di  butto. 

Cosi  per  li  gran  savi  si  confessa,  106 

che  la  fenice  more  e  poi  rinasce, 
quando  al  cinqueccntesimo  anno  appressa  ; 


Pnrte  del  dossale  d'argento  di  S.  Jacopo.  -  (Pisloin.  Duomo), 


Parte  del  dossale  d'ar.ncnlo  di  S.  .Iacopo.  -  (Pistoia,  Duomo). 


CANTO   XXIV. 


245 


erba,   né   biada    in   sua   vila    non    pasce, 
ma   sol   d  incenso,   lagrime   ed   amomo, 
e  nardo  e  mura   son   1  iillime  fasce. 


Il  l'I 


Fenice. 
(Roma,  .Miist'i  Vaticani). 


E  qual  è  quei  che  cade,  e  non  sa  corno, 
per  forza  di  demon  eh  a  terra  il  tira, 
Oppilazione.  o  d'altra  oppilazion  che  lega  l'uomo, 

quando  si  leva,  che  intorno  si  mira 
tutto  smarrito  dalla  grande  angoscia 
eh  egli  ha  sofferta,   e  guardando  sospira; 

tal  era  il  peccator  levato  poscia. 

O  potenza  di  Dio,  quanto  se   vera  ! 
che  cotai  colpi  per  vendetta  croscia. 


112 


115 


118 


246 


INFERNO 


Lo  duca  il  dimandò   poi  chi  egli  era  ;  121 

per  eh  ei  rispose  :    "  Io  piovvi   di  Toscana, 
poco  tempo  è,   in  questa  gola  fera. 

Vanni  Pucci.    Vita  bestiai  mi  piacque,  e  non  umana,  124 

si  come  a  mul  eh  io  fui:   son  Vanni  Pucci 
bestia,  e  Pistoia  mi  fu  degna  tana.  " 


Piazza  di  Pistoia. 


Ed  io  al  duca:    "  Digli  che  non  mucci,  128 

e  domanda  che  colpa  qua  giù  il  pmse; 
eh'  io  il  vidi  uomo  di  sangue  e  di  crucci.  " 

E  il  peccator,  che  intese,  non  s  infìnse,  130 

ma  drizzò  verso  me  l'animo  e  il  volto 
e  di  trista  vergogna  si  dipinse; 


CAN  IO  XXIV. 


247 


poi  clissr:   "  Pili  mi  diiol  cUv  In  in  hai  rollo         i:n 
nella   nìis(MÌa   dove   lu   mi   vedi, 
che  quando   fui   drll' altra   vita   lollo. 


Porla  (h'ila  cappella  di  S.  Jacopo,  già  della  Sacrrslia  de'  belli  arredi. 

(Pistoia,  Duoaio). 


Io  non  posso  negar  quel  che  tu  chiedi 
in  giù  son  messo  tanto,  perch  io  fui 
ladro  alla  sacrestia  de   belli  arredi  ; 


136 


248 


INFERNO 


e  falsamente   già   fu   apposto  altrui. 

Ma   perché  di   tal  \ista,   tu  non  godi, 
se  mai  sarai  di   fuor  da    lochi  bui, 


139 


Parte  del  dossale  d'argento  di  S.  Jacopo. 
(Pistoia,  Duomo). 


Profezia. 


'1    gli 


:hi  al 


odi 


apri   gli  orecchi  al   mio  annunzio,   e  odi 
Pistoia  in  pria  di   Negri  si  dimagra, 
poi  Fiorenza  rinnova  genti  e   modi. 


142 


é 


,    ftr--iy»P^<»<V<|.»/a|"ì 


;  offe,,    ^i    «r  ^«-  ~)  •'    -^«.^p   '*  I^.V''' 

uii^  o  fW:V  ^(^«^  ó-^vti»xfti  .Lfjt^o^'% 


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,j^Ji>tyni^:<t-  -fcoer^    fiu^<^    imv^u©    <*-<Ulip 
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t4«iìt»^    iffovvc-   ii-uil\rt& 


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il  tu 


V  >^v'^  •■>*^-^"*^^ 


\ 


_^^gv*^^^ 


ve 


ta  condanna  di    Vannj  Facci, 


CANTO   XXIV.  249 


Traggo   Mario  vapor   di   Val   di   Magra  i  !'• 

clic   di   lorhidi   nuvoli   involulo, 
e  con   lompesla   impetuosa   od   agra 

sopra  Campo   Picen  fia  combattuto;  l'i» 

ond  ei  repente  spezzerà  la   nebbia, 
si  eh  ogni   Bianco  ne  sarà  feruto. 

E  detto  l'ho,   perché  doler  ti  debbia.  "  i')i 


Gaville, 


CANTO  XXV. 


Bestemmia     Al  fine  delle  sue  parole  il  ladro 
r-  le  mani  alzò  con  ambedue  le  fiche, 

rucci.  ' 

gridando:  "  Togli,  Dio,  che  a  te  le  squadro.  " 


Le  fiche,  da  un  dipinto  giottesco  (Assisi,  S.  Francesco). 


Da  mdi  in  qua  mi  fur  le  serpi  amiche, 
perch  una  gli  s  avvolse  allora  al  collo, 
come  dicesse  :    "  Io  non  vo'  che  più  diche.  " 


252 


INFERNO 


Ed   un  altra  alle  braccia,   e  rilegollo 
ribadendo  sé  stessa  si  dinanzi 
che  non  potea  con  esse  dare  un  crollo. 


■CATEL^^^LINA-^ 

1 


'^^^^ 


:  Ir:^ 

C.alilina,  dai   libro  di   Giusto  de'   Mfiial>ii()i. 
(.Uoma,  GalliTia  Cori»ini). 


Invettive 
contro 
Pistoia. 


Ahi,   Pistoia,   Pistoia,  che  non  stanzi  n» 

d  incenerarti,   si  che  piii  non  duri, 
poi  che  m  mal  far  lo  seme   tuo  avanzi? 

Per  tutti  i  cerchi  dell  inferno  oscuri  13 

non  vidi  spirto  in  Dio  tanto  superbo, 
non  quel  che  cadde  a  Tebe  giti  da   muri. 


CAN  IO   XXV. 


253 


Qun   si   fiig}4Ì,   cIk'   non    parlò   piiì   vorl)o;  10 

ed   io  vidi   un   ((Milaiiro   pun   di   ral)l)ia 
venir  chiamando:    "Ove,  ove  l'acerbo?" 


Maremma  non  cred  io  che  tante  n  abbia, 
quante  bisce  egli  avea  su  per  la   groppa, 
infin  ove  comincia   nostra  labbia. 

Sopra  le  spalle,  dietro  dalla  coppa, 
con  l'ale  aperte  gli  giacca   un  draco; 
e  quello  affoca   qualunque   s  intoppa. 


19 


22 


Il   Monte  Aocntino,  da  slainpa  de!   1581. 


c 


aco. 


Lo  mio  maestro  disse:    "  Questi  è  Caco, 
che  sotto  il  sasso  di  monte  Aventino 
di  sangue  fece  spesse  volte  laco. 

Non  va  co   suoi  fratei  per  un  cammino, 
per  lo  furar  frodolente  eh  ei  fece 
del  grande  armento,  ch'egli  ebbe  a  vicino; 


J.Ì) 


28 


254 


INFERNO 


Ercole,  ili  LiioNaiuii  Pisano.  -  (Pisa,  Musco  Civico). 


onde  cessar  le  sue  opere  biece 

sotto   la   mazza   d  Ercole,   che   forse 
gliene  die  cento  e  non  senti  le  diece.  " 


31 


CAN  ro  XXV. 


255 


Ladri 
fiorentini 


Mentre  che   si   parlava,   ed   ri   trascorso, 
e   tre   spirili   veniier   sotto   noi, 
de   quai   né   io   né   il   duca   imo   s  accorse, 

se  non  quando  gridar  :    "  Chi  siete  voi  >  " 
per  elle   nostra   novella   si   ristette, 
ed  intendemmo  pure  ad  essi   poi. 

Io  non  gli  conoscea  ;  ma  ei  seguette, 
come  suol  seguitar  per  alcun  caso, 
che  Tun  nomare  un  altro  convenette, 


MI 


■M 


Cianfa 
Donati. 


dicendo  :    "  Cianfa  dove  fia  rimaso  >  "  i"- 

Per  ch'io,  acciò  che  il  duca  stesse  attento, 
mi  posi  il  dito  su  dal  mento  al  naso. 

Se  tu  sei  or,   lettore,  a  creder  lento  kì 

CIÒ  eh'  io  dirò,   non  sarà  maraviglia, 
che  io,  che  il  vidi,  appena  il  mi  consento. 

Com'  io  tenea  levate  in  lor  le  ciglia,  49 

ed  un  serpente  con  sei  pie  si  lancia 
dinanzi  all'uno,  e  tutto  a  lui  s'appiglia. 


Trasforma- 
zioni. 


Coi  pie  di  mezzo  gli  avvinse  la  pancia 
e  con  gli  anterior  le  braccia  prese; 
poi  gli  addentò  e  l  una  e  l  altra  guancia. 


.^)2 


Gli  diretani  alle  cosce  distese,  55 

e  miseli  la  coda  tra  ambedue, 
e  dietro  per  le  ren  su  la  ritese. 


256  INFERNO 


Ellera  abbarbicata   mai  non  fue  r)8 

ad  arbor  si,   come   l'orribil   fiera 
per  1  altrui  membra  avviticchiò  le  sue; 

poi  s  appiccar,  come  di  calda  cera  6i 

fossero  stati,   e   mischiar   lor   colore  ; 
né  l'un   né   l'altro  già   parca   quel   ch'era, 

come  procede  innanzi  dall'ardore  r)i 

per  lo  papiro  suso   un  color  bruno, 
che  non  è  nero  ancora,  e  il  bianco  more. 

Agnello        Gli  altri  due  riguardavano,   e  ciascuno  fi7 

Biunelleschi.  .  ,  »  r\  ai 

gridava  :       O  me,  Agnèl,  come  ti  muti  ! 
vedi  che  già  non  sei  né  due  né  uno.  " 

Già  eran  li  due  capi  un  divenuti,  70 

quando  n  apparver  due  figure  miste 
in  una  faccia,  ov'eran  due  perduti. 

Pèrsi  le  braccia  due  di  quattro  liste  ;  73 

le  cosce  con  le  gambe,  e  il  ventre  e  il  casso 
divenner  membra  che  non  fùr  mai  viste. 

Ogni  primaio  aspetto  ivi  era  casso  :  76 

due  e  nessun  1  imagine  perversa 
parca,  e  tal  sen  già  con  lento  passo. 

Come  il  ramarro,   sotto  la  gran  fersa  79 

de   di  canicular  cangiando  siepe, 
folgore  par,  se  la  via  attraversa  ; 


CANTO  XXV. 


257 


Francesco 

Guercio 
Cavalcanti. 


Ruoso 
degli  Abati 


Trasforma- 
zioni. 


si   panava,   vonrnclo  verso   1  epe 

degli   alili   (lii(\    un   scipenlcllo   accoso, 
livido   e   iì(M()   come   gran   di    pepe. 

E  quella  parie,   onde  prima  è  preso 
nostro  alimento,   all'un  di  lor   trafisse; 
poi  cadde  giuso  innanzi  lui  disteso. 

Lo  trafitto  il  mirò,   ma  nulla  disse  ; 
anzi  coi  pie  fermati  sbadigliava, 
pur  come  sonno  o  febbre  l  assalisse. 

Egli  il  serpente,  e  quei  lui  riguardava; 
l'un  per  la  piaga,  e  l'altro  per  la  bocca 
fumavan  forte,  e  il  fummo  si  scontrava. 

Taccia   Lucano  omai,   là  dov  ei  tocca 
del  misero  Sabello  e  di   Nassidio, 
ed  attenda  ad  udir  quel  eh  or  si  scocca. 

Taccia  di  Cadmo  e  d' Aretusa  Ovidio  ; 

che,   se  quello  in  serpente  e  quella  in  fonte 
converte  poetando,  io  non  l' invidio  ; 

che  due  nature  mai  a  fronte  a  fronte 
non  trasmutò,  si  eh  ambedue  le  forme 
a  cambiar  lor  materia  fosser  pronte. 

Insieme  si  risposero  a  tai  norme, 

che  il  serpente  la  coda  in  forca  fésse, 
e  il  feruto  ristrinse  insieme  1  orme. 


Hli 


«.') 


.SS 


01 


•Jl 


97 


100 


103 


258  INFERNO 


Le  gambe  con  le  cosce  seco  stesse  kk. 

s'appiccar  si   che  in   poco   la   giuntura 
non   facea   segno  alcun   che   si   paresse. 

Togliea   la   coda   fessa   la   figura,  i<'^> 

che  SI  perdeva  là,  e  la  sua  pelle 
si  facea  molle,   e  quella  di  là  dura. 

Io  vidi   entrar   le   braccia   per   l'ascelle,  112 

e  1   due   pie   della   fiera,   ch'eran   corti, 
tanto  allungar   quanto   accorciavan   quelle. 

Poscia  li  pie  di  retro,  insieme  attorti,  ii"> 

diventaron  lo  membro  che  l' uom  cela, 
e  il  misero  del  suo  n'avea  due  pòrti. 

Mentre  che  il  fummo  l'uno  e  l'altro  vela  11 8 

di  color  nuovo,  e  genera  il  pel  suso 
per  luna  parte,  e  dall'altra  il  dipela, 

l'un  si  levò,  e  l'altro  cadde  giuso,  121 

non  torcendo  però  le  lucerne  empie, 
sotto  le  quai  ciascun  cambiava  muso. 

Quel  ch'era  dritto  il  trasse  ver  le  tempie,  124 

e  di   troppa  materia,  che  in  là  venne, 
uscir  gli  orecchi  delle  gote  scempie  ; 

ciò  che  non  corse  in  dietro  e  si  ritenne  127 

di  quel   soverchio,   fé'  naso  alla   faccia, 
e  le  labbra  ingrossò  quanto  convenne. 


CAN  IO  XXV. 


259 


Quel   (  lì(^   giacca    il    iiiiiso   innari/.i   caccia, 
e   gli   orecchi   nliia   per   la   lesta, 
come  face   le   corna   la   lumaccia  ; 


lidi 


e  la   lingua,   che  avea   unita   e  presta 
prima   a   parlar,   si   fende,   e   la   forcuta 
nell'altro  si  richiude,   e  il   fummo  resta. 


1  Mi 


IMevo  di   GaviUc. 


L'anima,   ch'era  fiera  divenuta,  130 

si  fugge  sufolando  per  la  valle, 
e  l'altro  dietro  a  lui  parlando  sputa. 

Poscia  gli  volse  le  novelle  spalle,  139 

e  disse  all'altro:    "  l' vo' che  Buoso  corra, 
com'  ho  fatt'  io,  carpon  per  questo  calle.  " 

Cosi  vid  io  la  settima  zavorra  142 

mutare  e  trasmutare;   e  qui  mi  scusi 
la  novità,   se  fior  la  penna  abbona. 


260  INFERNO 


Ed   avvenga   che  gli   occhi   miei   confusi  iió 

fossero  alquanto   e   1  animo   smagato, 
non  poter  quei  fuggirsi  tanto  chiusi 

Puccio  eh  IO  non  scorgessi  ben   Puccio  Sciancato;  148 

Sciancato.  i  -ili' 

ed  era  quei  crie  sol,  de   tre  compagni 
che  venner  prima,  non  era  mutato; 

Francesco 

Cavalcanti.         l'altro  era  quel  che  tu,   Gaville,  piagni.  i5i 


Gaeta. 


CANTO  XXVI. 


Cerchio  ottavo,    Qq^Jj^   Fiorenza,  poi  che  sei  si  grande 

ottava  bolgia. 

Consiglieri  fro-         cHc  per  mare  e  per  terra  batti  l'ali 

dolenti.  1        •    r  -i  •  i     i 

e  per  lo  interno  li  tuo  nome  si  spande! 


Tra  li  ladron  trovai  cinque  cotali 

Invettiva  con-  .       .         ,.    .  ,  .       , 

tro  Firenze.         ^^^^  Cittadini,   Onde  mi  vien  vergogna, 
e  tu  in  grande  onranza  non  ne  sali. 

Ma,   se  presso  al  mattin  il  ver  si  sogna, 
tu  sentirai  di  qua  da  picciol  tempo 
di  quel  che  Prato,  non  ch'altri,  t'agogna. 


E  se  già  fosse,  non  saria  per  tempo; 
cosi  foss  ei  da  che  pure  esser  dèe  ! 
che  più  mi  graverà,  com'  più  m'attempo. 


10 


262 


INFERNO 


Noi  CI  partimmo,  e  su  per  le  scalee, 

che  n  avean  fatte  i  borni  a  scender  pria, 
rimontò  il  duca  mio,  e  trasse  mée  ; 


13 


Prato,  da  un  allresco  di  Agnolo  Caddi. 
(Prato,  Duomo). 


e  proseguendo  la  solinga  via 

tra  le  scheggie  e  tra   rocchi  dello  scoglio, 
lo  pie  senza  la  man  non  si  spedia. 


16 


CANTO  XXVI 


263 


.(■    ll)iii':i    (li    l'idlo. 


Allor  mi  dolsi,  ed  ora  mi  ridoglio,  19 

quand  io  drizzo  la   mente  a  ciò  eh  io  vidi  ; 
e  più  lo  ingegno  affreno  eh  io  non  soglio. 


perché  non  corra,  che  virtù  no   1  guidi, 
si  che,  se  stella  buona  o  miglior  cosa 
m  ha  dato  il  ben,  eh  io  stesso  no   1  m'invidi. 


22 


Castello  (li    Pnilo. 


264 


INFERNO 


Quante  il  villan,  eh  al   poggio  si  riposa,  20 

nel  tempo  che  colui  che  il   mondo  schiara 
la  faccia  sua  a  noi  tien   meno  ascosa, 


come  la  mosca  cede  alla  zanzara, 
vede  lucciole  giù  per  la  vallea, 
forse  colà  dove  vendemmia  ed  ara; 


28 


Eliseo  e  gli  orsi,  iiiinialiua  di  Leonardo  da  Besozzo. 


di  tante  fiamme  tutta  risplendea 

1  ottava  bolgia,  si  com'io  m  accorsi, 
tosto  che  fui  là  ve  il  fondo  parca. 


31 


El 


iseo. 


E  qua!  colui  che  si  vengiò  con  gli  orsi 
vide  il  carro  d  Elia  al  dipartire, 
quando  1  cavalli  al  cielo  erti  levorsi. 


34 


CANTO  XXVI. 


2U'ì 


die   noi   \)oWi\   si   con   ^Ii   ocelli   seguire 
clic  vedesse   aluo  che   la   (lannna   sola, 
si  come   nuvoletta,   in   su   salire; 


Il   cuna  d'Elia. 
(F^oma,  Particolare  della  porta  della  chiesa  di  Santa  Sabina). 


tal  si  movea  ciascuna  per  la  gola 

del  fosso,  che  nessuna  mostra  il  furto, 
ed  ogni  fiamma  un  peccatore  invola. 


40 


266 


INFERNO 


Io  stava  sopra  il   ponte  a  veder  surto  43 

si  che  s  IO  rìon  avessi   un  ronchion  preso, 
caduto  sarei  giù  senza  esser  urto  ; 


Diomede  ed    Ulisse,  dal  libro  di  Giusto  de'   Menabuoi. 
(Roma,   Galloria   Corsini).  » 


e  il  duca,  che  mi  vide  tanto  atteso, 

disse  :    "  Dentro  da'  fochi  son  gli  spirti  ; 
ciascun  si  fascia  di  quel  eh  egli  è  inceso. 


46 


"  Maestro  mio,  "   rispos'  io,    "  per  udirti 
son  IO  più  certo;   ma  già  m  era  avviso 
che  cosi  fosse,  e  già  voleva  dirti  : 


49 


CANTO  XXVI.  267 


Ulisse  Chi   c   in   (jiu'l   fuoco,   clic   vK^n   si   diviso  r/i 

e  Diomede.  i-  i  ]   Il  • 

eli   sopra,   clic   i)ar   smi^or  della   pira, 

dov'  Etcòcic  col  fralcl  fu   miso  ?  " 


Risposemi  :    "  Là  entro  si   marlira  •'">•'> 

Ulisse  e  Diomede,  e  cosi  insieme 
alla  vendetta  vanno  come  ali  ira  ; 

e  dentro  dalla  lor  fiamma  si  geme  58 

|-»"^"^  l'agnato  del  cavai,  che  fé   la  porta 

ond'usci  de'  Romani  il  gentil  seme. 

Piangevisi  entro  l'arte,  per  che  morta  tii 

Deidamia  ancor  si  duol  d  Achille, 
e  del  Palladio  pena  vi  si  porta.  " 

"  S  ei  posson  dentro  di  quelle  faville  64 

parlar,  "    diss'  io,    "  maestro,  assai  ten  priego, 
e  ripriego,  che  il  priego  vaglia  mille, 

che  non  mi  facci  dell  attender  niego,  67 

fin  che  la  fiamma  cornuta  qua  vegna: 
vedi  che  del  desio  ver  lei  mi  piego.  " 


70 


Ed  egli  a  me:    "  La  tua  preghiera  è  degna 
di  molta  lode,  ed  io  però  l'accetto; 
ma  fa  che  la  tua  lingua  si  sostegna. 


Lascia  parlare  a  me,  ch'io  ho  concetto  73 

ciò  che  tu  voi;   eh  ei  sarebbero  schivi, 
perché  fur  greci,  forse  del  tuo  detto.  " 


268  INFERNO 


Poi  che  la   fiamma  fu  venuta  quivi,  76 

dove   parve  al   mio  duca   tempo   e   loco, 
in   questa   forma   lui   parlare  audivi  : 

"  O  voi,  che  siete  due  dentro  ad   un   foco,         7i) 
s  io  meritai  di  voi  mentre  ch'io  vissi, 
s  IO  meritai  di  voi  assai  o  poco, 

quando  nel  mondo  gli  alti  versi  scrissi,  «2 

non  vi  movete;   ma  l'un  di  voi  dica 
dove  per  lui  perduto  a  morir  gissi.  " 

Lo  maggior  corno  della  fiamma  antica  80 

cominciò  a   crollarsi   mormorando, 
pur  come  quella  cui  vento  affatica. 

Indi,   la  cima  qua  e  là  menando,  88 

come  fesse   la   lingua   che   parlasse, 
gittò  voce  di  fuori  e  disse:    "  Quando 

Viaggio  mi  diparti   da  Circe,  che  sottrasse  ui 

me  più  d  un  anno  là  presso  a  Gaeta, 
prima  che  si  Enea  la  nominasse, 

né  dolcezza  di  figlio,  né  la  pietà  94 

del  vecchio  padre,  né  il  debito  amore, 
lo  qual  dovea  Penelope  far  lieta, 

vincer  poter  dentro  da  me  1  ardore  97 

eh'  i'  ebbi  a  divenir  nel  mondo  esperto 
e  degh  vizi  umani  e  del  valore; 


di  Ul 


isse. 


!- 

U 


ti. 


CAN  IO  XXVI, 


269 


ma    misi    me   \)vy   I  allo   mare   aporto  iihi 

sol   con   un   legno   e   con   quella   compagna 
picciola,   dalla   c]ual   non   fui   diserto. 

L  un  lito  e  I  altro  vidi  mfin  la  Spagna,  1<>:J 

fin  nei   Morrocco,   e  I  isola  de   Sardi, 
e  I  altre  die  quel  mare  intorno  bagna. 


•  «•.L 


:Ji^ 


Hi^-_ 


Siuiglia,  da  stampa  del  Meusnier. 


Orazione 
di  Ulisse. 


Io  e  i  compagni  eravam  vecchi  e  tardi, 
quando  venimmo  a  quella  foce  stretta, 
dov  Ercole  segnò  li  suoi  riguardi, 

acciò  che  1  uom  più  oltre  non  si  metta; 
dalla  man  destra  mi  lasciai  Sibilla, 
dall'altra  già  m  avea  lasciata  Setta. 

'  O  frati  '  dissi   '  che  per  cento  milia 
perigli  siete  giunti  ali  occidente, 
a  questa  tanto  picciola  vigilia 


lOtì 


109 


112 


270 


INFERNO 


de   vostri  sensi,  eh  è  del  rimanente,  iió 

non  vogliate  negar  1  esperienza, 
di  retro  al  sol,  del  mondo  senza  gente. 

Considerate  la  vostra  semenza:  uh 

fatti  non  foste  a  viver  come  bruti, 


ma  per  seguir 


virtud 


e  e  conoscenza. 


Setta  ora  Ceuta. 


Li  miei  compagni  fec  io  si  acuti,  121 

con  questa  orazion  picciola,  al  cammino, 
che  a   pena  poscia  h  avrei  ritenuti; 

e,  volta  nostra  poppa  nel  mattino,  124 

de   remi  facemmo  ale  al  folle  volo, 
sempre  acquistando  del  lato  mancino. 

Tutte  le  stelle  già  dell  altro  polo  127 

vedea  la  notte,  e  il  nostro  tanto  basso, 
che  non  surgeva  fuor  del  marin  suolo. 


CAN  IO  XXVI.  271 


Cinqiir   volle'   racceso  o   lantr   casso  i.'jn 

lo   liiiiic   era   eli   soHo   dalla    lima, 
j)oi   eli  eiilrali   cravam   nell  allo   passo, 

quando  m  apparve  una   montagna   hruna  \'^'^ 

per  la  distanza,  e  parvenu  alta   tanto, 
quanto  veduta   non  n  avea  alcuna 

Morte  Noi  ci  allegrammo,  e  tosto  tornò  in  pianto;       i  {'> 

che  della  nuova   terra  un  turbo  nacque 
e  percosse  del  legno  il  primo  canto. 

Tre  volte  il  fé   girar  con  tutte  1  acque,  i;v.) 

alla  quarta  levar  la  poppa  in  suso, 
e  la  prora  ire  in  giù,  com  altrui  piacque, 

infin  che  il  mar  fu  sopra  noi  richiuso.  "  142 


«  Il  {?iogo  di  che  Tcvcr  si  disserra  t. 


Ccsriiii.  ila  un  (li|iinl()  csislciilc  nel   Diiomkp  ili  (|ii('lla  cilli'i. 


CANTO  XXVII. 


Cerchio  ottavo, 
ottava  bolgia. 

Consiglieri  fro- 
dolenti. 


Già  era  dritta  in  su  la  fiamma  e  queta, 
per  non  dir  più,   e  già  da  noi  sen  già 
con  la  licenza  del  dolce  poeta, 

quando  un  altra,  che  dietro  a  lei  venia, 
ne  fece  volger  gli  occhi  alla  sua  cima 
per  un  confuso  suon  che  fuor  n  uscia. 

Come  il  bue  cicilian,  che  mugghiò  prima 
col  pianto  di  colui  (e  ciò  fu  dritto) 
che  1  avea  temperato  con  sua  lima, 

mugghiava  con  la  voce  dell'afflitto, 
si  che,  con  tutto  eh  ei  fosse  di  rame, 
pure  e   pareva  dal  dolor  trafitto; 


10 


274 


NFERNO 


cosi,  per  non  aver  via   né  foranae  13 

dal   principio  nel  foco,   in  suo   linguaggio 
SI  convertivan   le  parole  grame. 

Ma  poscia  eh  ebber  còlto  lor  viaggio  io 

su   per   la   punta,   dandole  quel   guizzo 
che  dato  avea  la  lingua   in   lor  passaggio. 


Il  toro  di  bronzo  infocato. 
(Pomposa,  .S.  otaria). 


Guido  da 
Monte- 
feltro. 


Siiiillo  (li   (.iiiiilo 
(la   Montfft'Uro. 


udimmo  dire:    "  O  tu,  a  cui  io  drizzo  19 

la  voce,  e  che  parlavi  mo  lombardo, 
dicendo:    'Issa  ten  va,  più  non  t  aizzo  '  ; 

perch  io  sia  giunto  forse  alquanto  tardo,  22 

non   t  incresca   restare  a   parlar  meco  : 
vedi  che  non  incresce  a  me,   ed  ardo. 

Se  tu  pur  mo  m  questo  mondo  cieco  25 

caduto   sei   di   quella   dolce   terra 
latina,   ond  10  mia  colpa  tutta  reco. 


c'AN  ro  XXVll 


275 


(Inumi   s(^   I   Romagnoli   lian   pucr  o  guerra  ;  2x 

dì  u)   fui   (!("    molili   là   mira    Urbino 
e   il   giogo   eli   clic    1    I  cvcr  si   disserra.  " 

Io   era   in   giuso   ancora   allento  e   chino,  :n 

quando  il   mio  duca  mi  tentò  di  costa, 
dicendo:    "  Parla  tu,  questi  è  latino.  " 


La  rocca  d' Urbino. 


Ed  io,   eh  avea  già  pronta  la  risposta, 


idu 


senza  indugio  a  panare  incominciai: 
"  O  anima,  che  se   là  giù  nascosta, 


34 


Romagna. 


R 


avenna. 


Romagna  tua  non  è,  e  non  fu  mai, 
senza  guerra  ne'  cor  de'  suoi  tiranni; 
ma  palese  nessuna  or  vi  lasciai. 

Ravenna  sta,  come  stata  è  molti  anni  : 
I  aquila  da  Polenta   la  si  cova, 
si  che  Cervia  ricopre  co'  suoi  vanni. 


37 


40 


276 


INFERNO 


^à. 


HH 


,'•'!■  "  .>!;:r~3w^* 


HttiÉii 


Le  forili  del  Tevere. 


Forlì. 


La   terra,   che  fé    già   la   lunga   prova 
e  di  Franceschi  sanguinoso  mucchio, 
sotto  le  branche  verdi  si  ritrova. 


43 


R 


imim. 


Il  Mastin  vecchio  e  il  nuovo  da  Verrucchio 
che  fecer  di  Montagna  il  mal  governo, 
là  dove  soglion  fan  de   denti  succhio. 


46 


CANTO   XXVII. 


277 


AquiLi  (la   Pok'iila.  —  (Verona,  S.   ICiifcmia). 


Faenza 
e  Imola. 


c 


esena. 


Le  città  di  Lamone  e  di  Santerno  19 

conduce  il  leoncel  dal  nido  bianco, 
che  muta  parte  dalla  state  al  verno; 

e  quella,  cui  il  Savio  bagna  il  fianco,  52 

cosi  Cornelia  sie'  tra  il  piano  e  il  monte, 
tra  tirannia  si  vive  e  stato  franco. 


Toire  ili   Cervia,   da  acquerello  di  Luigi   Ricci. 


278 


INFERNO 


Ora   chi   sei   ti   priego  che   ne   conte: 
non  esser  duro  più  ch'altri  sia  stato, 
se  il   nome  tuo  nel  mondo  tegna  fronte.  ' 

Poscia   che   il   foco   alquanto   ebbe   rugghiato 
al  modo  suo,   l'aguta  punta  mosse 
di   qua,   di   là,   e   poi   die   cotal   fiato  : 


oo 


58 


Slcnima   ik'^li   Ordulalli.  -  (l-'oiii,  S.  Biuf^io). 


"  S' IO  credessi  che  mia  risposta  fosse 
a  persona  che  mai  tornasse  al  mondo, 
questa  fiamma  starla  senza  più  scosse  ; 


GÌ 


ma  per  ciò  che  giammai  di  questo  fondo 
non  tornò  vivo  alcun,  s  i   odo  il  vero, 
senza  tema  d  infamia  ti  rispondo. 


G4 


CAN  IO   XXVII. 


279 


SÌ|J!Ì1I()   di    Mdliilcsld   (l;i    NCiiiccliio. 

Io  fui  uom  d'arme,  e  poi  fui  cordigliero,  67 

credendomi,   si  cinto,   fare  ammenda  ; 
e  certo  il  creder  mio  veniva  intero, 

Bonifazio  Vili,    sc  non  fosse  il  gran  prete,  a  cui  mal  prenda,     7o 

che  mi  rimise  nelle  prime  colpe; 
e  come  e  quare  voglio  che  m  intenda. 


Siu,ill()  (li    Miiliitcsiino. 


Mentre  eh  io  forma  fui  d  ossa  e  di  polpe, 
che  la  madre  mi  die,   1  opere  mie 
non  furon  leonine,  ma  di  volpe. 


280 


INFERNO 


F 1 

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Il  3i^-^^K^ 

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■  VUiiAJW^i.  1 

Venicchio. 


Gli  accorgimenti  e  le  coperte  vie 
IO  seppi  tutte,   e  si  menai  lor  arte 
eh  al  fine  della  terra  il  suono  uscie. 


76 


Quand  IO  mi  vidi  giunto  in  quella   parte 
di  mia  etade,  ove  ciascun  dovrebbe 
calar  le  vele  e  raccoglier  le  sarte, 


79 


h^^ 


mss 


Il  ponte  di  F(irn:<i  del  sec.  xiv,  demolito  con  le  sue  torri  nel  1842. 
Da  disetino  di  Romolo  Liverani  inciso  da  Achille  Calzi. 


I  ■. 


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CANTO    X.Wll 


281 


ciò   clìr   pria   mi   placcava,   allor   ni  iiKichhc,  «'2 

V   pciiliilo   e   conf(\sso   mi   rendei, 
ahi,    mis(M    lasso!   e   i^iovato   sareMx». 

Bonifacio  Vili.       Lo   principe  de    nuovi   farisei,  «'> 

avendo   guerra   presso  a   Lalerano, 
e  non  con  Saracin   né  con  Giudei, 

che  ciascun  suo  nimico  era  cristiano,  «« 

e  nessuno  era   stato  a  vincer  Acri, 
né  mercatante  in  terra  di  Soldano  ; 


Imold.   (la   (liililUo   (lei    sco.    XVI.    -  (Imola,    O.m  iviiii/a). 


né  sommo  ufficio  né  ordini  sacri 

guardò  in  sé,  né  in  me  quel  capestro 
che  solca  far  li  suoi  cinti  più  macri. 

Silvestro  1.  Ma  come  Costantin  chiese  Silvestro 

d  entro  Siratti  a  guarir  della  lebbre, 
cosi  mi  chiese  questi  per  maestro 

a  guarir  della  sua  superba  febbre  : 
domandommi  consiglio,   ed  io  tacetti, 
perché  le  sue  parole  parver  ebbre. 


91 


94 


97 


282 


INFERNO 


.\  ni. 


E  poi  mi  disse  :    '  Tuo  cor  non  sospetti  ; 
finor  t  assolvo,   e  tu  m  insegna  fare 
si  come  Penestrino  in   terra  getti. 

Lo  ciel  poss  10  serrare  e  disserrare, 
come  tu  sai  ;   però  son  due  le  chiavi, 
che  il  mio  antecessor  non  ebbe  care.  ' 


Kin 


103 


lUideri  del  casU'llo  tli   Siisin<ina. 


CANTO  XXVII. 


2H3 


Allor   mi   pliistM    ^11   aii^omrnli   ^ravi 
là  Ve   il   tacer   mi   in   avviso   il    pci^i^io, 
e  dissi:    '  Padre,   da   clic   In   mi   lavi 


KKl 


I  messi  di  Coslantiiio  a  Silvcslro  nel  Solatie,  ail'rusco  del  sec.  xiii. 
(Iloina,  Ss.  (jualtro  Goroiuili). 


di  quel  peccato,  ov  io  mo  cader  deggio, 
lunga  promessa  con  1  attender  corto 
ti  farà  trionfar  nell'alto  seggio.  ' 


109 


284 


NFERNO 


Hcb.li  (k'ihi  cliicsa  di  San  Silveslro  sul  Solatie. 


Consiglio         Francesco  venne  poi,  com  io  fui  morto, 

frodolento.  i    »  •      i  i  •    • 

per  me,   ma  un  de   neri  cnerubini 

gli  disse:   '  No   1  portar,  non  mi  far  torto; 


112 


venir  sen  dee  là  giù  tra   miei  meschini, 
perché  diede  il  consiglio  frodolente, 
dal   quale   in   qua   stato   gli   sono  a    crini  : 


115 


La  rocca  di   PalcslriiKi. 


CAN  IO   XXVll.  2tt3 


{■lì'ass{)Iv(M    non   si    |)iiò,   (In    non    si    pcnlc,  11« 

né   pcnlcrc   v   v()I(M('   nisicnic   piiossi, 
per   la   conlracli/.ioii   clic   no   I   conscnlc. 

O  me  ciolcnlc  !   come   mi  riscossi,  i'2i 

quando   mi   {Mese,   dicendomi  :      Forse 
tu  non   pensavi  eh'  io  loico  fossi.  ' 

Dannazione.       A  Mlnos  mi  portò  ;   e  quegli  attorse  124 

otto  volte  la  coda  al  dosso  duro, 
e,   poi  che  per  gran  rabbia  la  si  morse, 

disse  :    '  Questi  è  de'  rei  del  foco  furo  '  :  127 

per  eh'  IO  là  dove  vedi  son  perduto, 
e  si  vestito  andando  mi  rancuro.  " 

Quand  egli  ebbe  il  suo  dir  cosi  compiuto,  130 

la  fiamma  dolorando  si  partio, 
torcendo   e  dibattendo  il   corno  acuto. 

Noi  passammo  oltre,  ed  io  e  il  duca  mio,  133 

su  per  lo  scoglio  infìno  in   su  1  altr  arco 
che  copre  il  fosso,  in  che  si  paga  il  fio 

a  quei  che  scommettendo  acquistan  carco.  136 


T(lf/lÌ(IC(KZO. 


CANTO  XXVIII. 


Cerchio  ottavo,    ^hi  poiia  mai  pur  con  parole  sciolte 

nona  bolgia. 

Seminatori  dicer  del  sanguc  e  delle  piaghe  appieno, 

di  discordie.  1  '  •'  •  r  ■  »  l       -\ 

eh  1   ora  vidi,  per  narrar  più  volte  ? 


Ogni  lingua  per  certo  venia  meno 

per  lo  nostro  sermone  e  per  la  mente, 
e  hanno  a  tanto  comprender  poco  seno. 

S  ei  s  adunasse  ancor  tutta  la  gente, 
che  già  in  su  la  fortunata   terra 
di  Puglia  fu  del  suo  sangue  dolente, 

per  li  Troiani  e  per  la  lunga  guerra 
che  dell  anella  fé'  si  alte  spoglie, 
come  Livio  scrive  che  non  erra. 


10 


288 


NFERNO 


con   quella   che  senti   di   colpi   doglie, 
per   contrastare  a   Roberto  Guiscardo, 
e  1  altra,  il  cui  ossanne  ancor  s'accoglie 

a   Ceperan,   là  dove   fu   bugiardo 

ciascun  Pugliese,   e  là  da  Tagliacozzo, 
dove  senz  arme  vinse  il  vecchio  Alardo  ; 


13 


ir. 


Crprann. 


e  qua!  forato  suo  membro,   e  qual  mozzo 
mostrasse,  da  equar  sarebbe  nulla 
al  modo  della  nona  bolgia  sozzo. 

Già  veggia,  per  mezzul  perdere  o  lulla, 
com  io  vidi  un,  cosi  non  si  pertugia, 
rotto  dal  mento  infin  dove  si  trulla: 

tra  le  gambe  pendevan  le  minugia  ; 
la  corata  pareva  e  il  tristo  sacco 
che   merda   fa   di   quel   che  si   trangugia. 


19 


09 


za 


CAN  ru  XXVIll 


289 


/  sciììiiKiloii  ili  (lisninlic.  dall' Iii(ctiu)  altrihuilo  a  l''raiiccH'o  Traini. 

(Pisa,  {'.aniposanlo). 


Maometto.         Mentre  che  tutto  in  lui  veder  m  attacco,  28 

guardommi  e  con  le  man  s  aperse  il  petto, 
dicendo:    "  Or  vedi  come  io  mi  dilacco, 


Ali. 


vedi  come  storpiato  è  Maometto  ; 

dinanzi  a  me  sen  va  piangendo  Ali, 
fesso   nel  volto  dal   mento  al   ciuffetto. 


31 


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Mduruclln,  dall' Inferno  allrihuiln  a   Francesco  Traini, 
(l'isa,   Caniposaiilo). 


290 


INFERNO 


'V.    s^ai^i 


Castello  (li   l'iato  Sesia  nel  «  paese  di  Fni  Dolcino». 


E  tutti  gli  altri,  che  tu  vedi  qui, 
seminator  di  scandalo  e  di  scisma 
fur  VIVI,  e  però  son  fessi  cosi. 


34 


Un  diavolo  è  qua  dietro  che  n'accisma 
si   crudelmente,   al   taglio   della   spada 
rimettendo  ciascun  di  questa  risma, 


37 


CAN  IO   XXVIll, 


291 


quando  avoiii   volta   la   (lolciilc   strada  ; 
però   clic   !('   fciilc   soli   nclmise 
|)rinia   di  alln   diiiaii/i   ^li   rivada. 

Ma   tu  clìi  se   clic  in   su  io  scoglio  muse, 
forse   per   indugiar  d  ire   alla   pena, 
eh'  è  giudicata   in  su   le   lue  accuse  ?  " 


•lu 


i:? 


Medicina. 


"  Né  morte  il  giunse  ancor,  né  colpa  il  mena,  "         io 
rispose  il  mio  maestro,  a  tormentarlo  ; 
"  ma  per  dar  lui  esperienza  piena, 

a  me,  che  morto  son,  convien  menarlo  49 

per  lo  inferno  qua  giù  di  giro  in  giro: 
e  questo  è  ver  cosi  com'  io  ti  parlo.  " 


292 


INFERNO 


Più  fur  di  cento  che,  quando  1  udirò, 
s  arrestaron  nel  fosso  a  riguardarmi, 
per  maraviglia  obbliando  il  martiro. 


02 


Fra  Dolcino. 


"  Or  di    a  fra   Dolcin  dunque  che  s'armi, 
tu  che  forse  vedrai  il  sole  in  breve, 
s  egli  non  vuol  qui  tosto  seguitarmi, 


oo 


S.   Aiulrt-a   di    Vercelli. 


si  di  vivanda  che  stretta  di  neve 
non   rechi   la  vittoria   al   Noarese, 
ch'altrimenti  acquistar  non  saria  lieve.  " 


58 


Poi  che  1  un   pie   per   girsene   sospese, 
Maometto   mi   disse   està   parola, 
indi  a  partirsi  in  terra  lo  distese. 


61 


CAN  IO   XXVlll. 


r)ò 


Un   altro,   (  lu*   forala   avca    la    j^ola 
e   Ironco   il   naso   iiifm   sollo   le   cij^lia, 
e   non   avca   ma    che   un  orctcliia   sola, 


(il 


restato  a   riguardai    per   maraviglia  «'7 

con   gli   altri,   innanzi   agli  altri   apri   la   canna, 
ch'era  di  fuor  d'ogni   parte  vermiglia; 


e  disse  :    "  Tu,  cui  colpa  non  condanna, 
e  cui  io  vidi  su  in  terra   latina, 
se  troppa  simiglianza  non  m  inganna. 


70 


Marcabò. 


Pier  da  Me- 
dicina. 


rimembriti  di  Pier  da  Medicina, 

se  mai  torni  a  veder  lo  dolce  piano, 
che  da  Vercelli  a  Marcabò  dichina. 


73 


E  fa  saper  ai  due  miglior  di  Fano, 

a  messer  Guido  ed  anco  ad  Angiolello, 
che,  se  1  antiveder  qui  non  è  vano, 


76 


294 


INFERNO 


gittati  saran  fuor  di  lor  vasello, 
e   mazzerati   presso  alla   Cattolica, 
per  tradimento  d  un  tiranno  fèllo. 

Tra  r  isola  di  Cipro  e  di  Maiolica 
non  vide  mai  si  gran  fallo  Nettuno, 
non  da  pirati,  non  da  gente  argolica. 


79 


82 


Callolicu,  eia  stampa  eli  Francesco  Rosaspiaa. 


Quel  traditor,  che  vede  pur  con  1  uno 
e  tien  la  terra,  che  tal  è  qui  meco, 
vorrebbe  di  veder  esser  digiuno, 

farà  venirli  a  parlamento  seco  ; 

poi  farà  si  che  al  vento  di  Focara 
non  farà  lor  mestier  vóto  né  preco.  " 

Ed  io  a  lui:    "  Dimostrami  e  dichiara, 
se  vuoi  eh'  io  porti  su  di  te  novella, 
chi  è  colui  dalla  veduta  amara.  " 


85 


88 


91 


CANTO   XXX'III.  293 


Alloi    |K)S(^   la   mano   alla   mascella  '••> 

(f  un   suo   (•om|)agno,   e   la   hocca    ^li   aperse 
gridando  :    Questi   è   desso,   e   non   favella  ; 

questi,   scacciato,   il   dubitar   sommerso  '■•V 

in  Cesare,  affermando  cIk^   il   fornito 
sempre  con  danno  l'attender  sofferse.  " 


^^ 


Mdioicd. 


O  quanto   mi   pareva   sbigottito  loo 

con  la  lingua  tagliata  nella  strozza, 
Curio.  Curio,  eh  a  dire  fu  cosi  ardito  ! 

Ed  un,  ch'avea  luna  e  l'altra  man  mozza,         103 
levando  1  moncherin  per  1  aura  fosca, 
si  che  il  sangue  facea  la  faccia  sozza, 

Mosca.  gridò:    "  Ricorderà' ti  anche  del   Mosca,  lOfi 

che  dissi,  lasso  !   '  Capo  ha  cosa  fatta,  ' 
che  fu  il  mal  seme  per  la  gente  tósca  :  " 


296 


INFERNO 


ed  IO  V  aggiunsi  :  "  E  morte  di  tua  schiatta  ;  " 
per  eh  egh,  accumulando  duol  con  duolo, 
sen  gio  come  persona  trista  e  matta. 


109 


Ma  io  rimasi  a  riguardar  lo  stuolo, 
e  vidi  cosa  eh  io  avrei  paura, 
senza  più  prova,  di  contarla  solo; 


112 


Jtiinini.  scolliira  di   Ai*ostino  d'Antonio  di    Duccio. 
(Riiiiinì,  Tempio    ■Malatestiano). 


se  non  che  coscienza  mi  assicura, 

la  buona  compagnia  che  1  uom  francheggia 
sotto  1  osbergo   del  sentirsi  pura. 


115 


Io  vidi  certo,   ed  ancor  par  eh  io   1  veggia,  ii8 

un   busto   senza   capo   andar,   si  come 
andavan  gli  altri  della  trista  greggia  ; 


C3 


•a 

3 


CANTO  XW'III.  297 


Beltiam 
del  Bornio. 


c   il    ra|)()   lioiuo   [cuvix    per    le   (  liiornc,  l"-' 

prsol   con   iiiaiio  a   guisa   di    lanterna, 
e   quei   mirava    noi,   v   clicca  :       O   ine  ! 


Il 


Di   se  faceva   a   sé   stc^sso   lucerna,  l'-^i 

ed   eran   due   in   uno,   ed   uno   in   due: 
com' esser   può,   quei   sa   che   si   governa. 


Quando  diritto  al   pie  del  ponte  fue, 
levò  il  braccio  alto  con  tutta  la  testa 
per  appressarne  le  parole  sue, 


I  monti  (li  Fucurii. 


12' 


che  furo:    "  Or  vedi  la  pena  molesta  i3o 

tu  che,  spirando,  vai  veggendo  i  morti; 
vedi  s  alcuna  è  grande  come  questa. 

E  perché  tu  di  me  novella   porti,  133 

sappi  eh  io  son   Bertram  dal   Bornio,   quelh 
che  diedi  al  re  Giovanni  i  mai  conforti. 


298 


INFERNO 


Io  feci  il   padre  e  il  figlio  in  sé  ribelli 
Achitòfel   non   fé    più   d  Ansalone 
e  di  David  co'  malvagi  pungelli. 


136 


Perch'io  partii  cosi  giunte  persone, 
partito  porto  il   mio  cerebro,   lasso  ! 
dal  suo  principio,  eh  è  in  questo  troncone 


139 


cosi  s  osserva  in  me  lo  contrapasso. 


142 


I.dnlrrnc  pendale  trccciitcsclie. 


Siciui,  (la  una  luvolcUa  di  (iiovaniii   Cini.  -  (Siciui,  Arcliivio  di  Sialo). 


CANTO  XXIX. 


Cerchio  ottavo, 
nona  bolgia. 

Seminatori 
di  discordie. 


La  molta  gente  e  le  diverse  piaghe 
avean  le  luci  mie  si  inebriate, 
che  dello  stare  a  piangere  eran  vaghe; 

ma  Virgilio  mi  disse  :    "  Che  pur  guate  ?  4 

perché  la  vista  tua  pur  si  soffolge 
là  giù  tra  l'ombre  triste  smozzicate? 

Tu  non  hai  fatto  si  all'altre  bolge;  7 

pensa,  se  tu  annoverar  le  credi, 
che  miglia  ventidue  la  valle  volge, 

e  già  la  luna  è  sotto  i  nostri  piedi:  io 

lo  tempo  è  poco  omai  che  n'è  concesso, 
ed  altro  è  da  veder,  che  tu  non  vedi.  " 


300 


INFERNO 


II  s-    ^-    ----:  " 


e  tu  avessi      rispos  io  appresso 

"  atteso  alla   cagion   per  eh  io   guardava, 

forse   m'avresti  ancor  lo  star  dimesso.  " 


13 


Parte  sen  già,   ed  io  retro  gli  andava, 
lo  duca,   già  facendo  la  risposta, 
e  soggiungendo  :    "  Dentro  a  quella  cava, 


16 


Alta  forte. 


dov  io  teneva  or  gli  occhi  si  a  posta,  19 

credo  che  uno  spirto  del  mio  sangue  pianga 
la  colpa  che  là  giù  cotanto  costa.  " 


Allor  disse  il  maestro:    "  Non  si  franga 
lo  tuo  pensier  da  qui  innanzi  sopr  elio; 
attendi  ad  altro,   ed  ei  là  si  rimanga; 


22 


eh  IO  vidi  lui  a  pie  del  ponticello 
mostrarti,   e  minacciar  forte  col  dito. 
Gerì  del  Bello.       ed  udil  nominar  Geri  del  Bello. 


25 


CANIO   XXIX.  MJI 


Tu  eri  alloi    si   del   l litio   impedito  2h 

sopra   colui   clic   già    teline    Altafoite, 
che   non   guardasti   in   là,   si   fu   partito.  " 

"  O   duca   mio,   la   violenta   morte  :5i 

che   non   gli  è   vendicata   ancor,  "    diss  io, 


li 


per  alcun   che   dell  onta   sia   consorte, 


fece  lui  disdegnoso;   ond  ei  sen  gio  :ìi 

senza   parlarmi,  si  com  io  estimo: 
ed  in  CIÒ  m  ha  e   fatto  a  sé  più  pio.  " 

Cosi  parlammo  infìno  al  loco  primo  37 

che  dello  scoglio  1  altra  valle  mostra, 
se  più  lume  vi  fosse,   tutto  ad  imo. 

Decima  bolgia.  Quando  noi  fummo  in  su  1  ultima  chiostra  H' 

di   Malebolge,  si  che  i  suoi  conversi 
potean  parere  alla  veduta  nostra, 

lamenti  saettaron  me  diversi,  i3 

che  di  pietà  ferrati  avean  gli  strali  ; 
ond  io  gli  orecchi  con  le  man  copersi. 

Qual  dolor  fora,   se  degli  spedali  4G 

di  Val  di  Chiana  tra  il  luglio  e  il  settembre, 
e  di  Maremma  e  di  Sardigna  i  mali 

fossero  in  una  fossa  tutti  insembre;  49 

tal  era  quivi,  e  tal  puzzo  n'usciva, 
qual  suole  uscir  dalle  marcite  membre. 


302  INFERNO 


Noi  discendemmo  su  1  ultima  riva  52 

del   lungo  scoglio,   pur  da   man   sinistra, 
ed  allor  fu   la   mia  vista   più  viva 

giù  ver  lo  fondo,   dove  la  ministra  55 

dell'alto  Sire,  infallibil  giustizia, 
Alchimisti.  punisce  1  falsator  che  qui  registra. 

Non  credo  che  a  veder  maggior  tristizia  58 

fosse  in  Egina  il  popol  tutto  infermo, 
quando  fu  1  aer  si   pien  di  malizia 

che  gh  animali  infìno  al  picciol  vermo  6i 

cascaron  tutti,  e  poi  le  genti  antiche, 
secondo  che  i  poeti  hanno  per  fermo, 

si  ristorar  di  seme  di  formiche  ;  64 

eh  era  a  veder   per   quella   oscura  valle 
languir  gli  spirti  per  diverse  biche. 

Qual  sopra  il  ventre,  e  qual  sopra  le  spalle        67 
l'un  dell'altro  giacca,  e  qual  carpone 
si  trasmutava  per  lo  tristo  calle. 

Passo  passo  andavam  senza  sermone,  70 

guardando  ed  ascoltando  gli  ammalati, 
che  non  potean  levar  le  lor  persone. 

Io  vidi  due  sedere  a  sé  poggiati,  73 

come  a  scaldar  si  poggia  tegghia  a   tegghia, 
dal  capo  al  pie  di  schianze  maculati  : 


CAN  IO   XXIX.  303 


e   lìon   vidi   i^iainmai   mciiaro   slrcj^^liia  7t) 

da   ragazzo  asj)cllalo  dal   signorso, 
nò   da   colui   clic   mal   volcnlicr  vcggliia, 

come  ciascun   menava   spesso   il   morso  7'.) 

dell  unghie   sopra   sé   per   la   gran   rabbia 
del  pizzicor,  che  non   ha   più  soccorso  ; 

e  si  traevan  giù  1  unghie  la   scabbia,  «2 

come  coltel  di  scardova  le  scaglie 
o  d  altro  pesce  che  più  larghe  1  abbia. 

"  O  tu  che  con  le  dita  ti  dismaglie,  «5 

cominciò  il  duca  mio  a  un  di  loro, 
e  che  fai  d  esse  talvolta   tanaglie, 

dinne  s  alcun  latino  è  tra  costoro  ss 

che  son  qumc  entro,   se  1  unghia  ti  basti 
eternalmente  a  cotesto  lavoro.  " 

"  Latin  sem  noi,  che  tu  vedi  si  guasti  9i 

qui  ambedue,  "   rispose  1  un  piangendo  ; 
ma  tu  chi  se',  che  di  noi  domandasti?  " 

E  il  duca  disse:    "  Io  son  un  clie  discendo         94 
con  questo  vivo  giù  di  balzo  in  balzo, 
e  di  mostrar  lo  inferno  a  lui  intendo.  " 

Allor  si  ruppe  lo  comun  rincalzo  ;  97 

e  tremando  ciascuno  a  me  si  volse 
con  1  altri  che  l'udiron  di  rimbalzo. 


304 


INFERNO 


Lo   buon   maestro   a   me   tutto   s  accolse,  loo 

dicendo  :    "  Di   a   lor  ciò  che  tu  vuoli  ;  " 
ed  IO  incominciai,   poscia  eh  ei  volse  : 

"  Se   la   vostra   memoria   non   s' imboli  io3 

nel   primo  mondo  dall  umane  menti, 
ma   5  ella  viva   sotto   molti   soli, 


Arezzo,  da  un   aflrcsco  di   Rciiozzo.  —  (Monlclalco,  S.  Fi-anc('>-co). 

ditemi  chi  voi  siete  e  di  che  genti  ; 
la  vostra   sconcia   e  fastidiosa   pena 
di  palesarvi  a  me  non  vi  spaventi.  " 


106 


Giiffolino.         "  Io  fui  d'Arezzo,   ed   Albero  da   Siena  " 
rispose   r  un    "  mi   fé'  mettere  al   foco  ; 
ma  quel   per   eh  io   mori'   qui   non   mi   mena. 


109 


e 
o 


3 

&4 


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o 

S 


CANTO   XXIX 


3()'i 


Ver   e   (lì  IO   dissi   a   lui,    parlando   a    j^ioco,  W'J. 

'  Io   1111   saprei   levar   per   I  aere   a   volo; 
e  quei,   che  avea   vaghezza   e  senno   poco, 


volle  eh'  io  gli  mostrassi  I  arie,  e  solo 
perch'io  no  1  feci  Dedalo,  mi  fece 
ardere  a   tal,  che  l'avea  per  figliuolo. 


li: 


Casa  (U'ila  Hii(/at<i  Spendereccùt  in  Siena,  ora  Irasfoniiata. 
Da  (Usegno  di  Francesco  Ncnei. 


)enesi. 


Ma  nell'ultima  bolgia  delle  diece 

me  per  I  alchimia,  che  nel  mondo  usai, 
dannò  Minos,  a  cui  fallar  non  lece.  " 

Ed  io  dissi  al  poeta  :    "  Or  fu  giammai 
gente  si  vana  come  la  sanese  ? 
certo  non  la  francesca  si  d  assai.  " 


118 


121 


Onde  1  altro  lebbroso  che  m  intese  124 

rispose  al  detto  mio  :    "  Trammene  Stricca, 
che  seppe  far  le  temperate  spese, 


306 


INFERNO 


Brigata         g  Niccolò,   chc  la   costuma  ricca  127 

spendereccia. 

del   garofano   prima   discoperse 
nell  orto,  dove  tal  seme  s  appicca; 

e   tranne  la  brigata,   in  che  disperse  130 

Caccia  d  Ascian  la  vigna  e  la  gran  fronda, 
e  1  Abbagliato  il  suo  senno  proferse. 

Ma  perché  sappi  chi  si  ti  seconda  133 

contra  1  Sanesi,  aguzza  ver  me  1  occhio, 
si  che  la  faccia  mia  ben  risponda; 

Capocchio.       si  vedrai  eh  10  son  1  ombra  di  Capocchio,  136 

che  falsai  li  metalli  con  alchimia, 
e  ti  dèi  ricordar,  se  ben  t  adocchio, 

com'  10  fui  di  natura  buona  scimia.  "  130 


Asciano. 


bontcbrandu.  in  Siciui. 


CANTO  XXX. 


Cerchio  ot- 
tavo, deci- 
ma bolgia. 


Nel  tempo  che  Giunone  era  crucciata 
per  Semelè  contra  il  sangue  tebano, 
come  mostrò  una  ed  altra  fiata, 

Atamante  divenne  tanto  insano 

che,  veggendo  la  moglie  con  due  figli 
andar  carcata  con  ciascuna  mano, 

gridò:    "  Tendiam  le  reti,   si  ch'io  pigli 
la  leonessa  e  i  leoncini  al  varco  "  ; 
e  poi  distese  i  dispietati  artigli, 

prendendo  1  un  che  avea  nome  Learco, 
e  rotollo  e  percosselo  ad  un  sasso  ; 
e  quella  s  annegò  con  1  altro  carco. 


lu 


308  INFERNO 


E  quando  la   fortuna  volse  in  basso  13 

l'altezza  de   Troian  che  tutto  ardiva, 
si  che  insieme  col  regno  il  re  fu  casso, 

Ecuba  trista,   misera  e  cattiva,  16 

poscia  che  vide  Polissena  morta, 
e  del  suo  Polidoro  in  su  la  riva 

del  mar  si  fu  la  dolorosa  accorta,  19 

forsennata  latrò  si  come  cane 
tanto  il  dolor  le  fé'  la  mente  torta. 

Ma  né  di  Tebe  furie,  né  troiane  22 

si  vider  mai  in  alcun  tanto  crude, 
non  punger  bestie,  non  che  membra  umane, 

Falsari.  quant'  io  vidi  in  due  ombre  smorte  e  nude,  25 

che  mordendo  correvan  di  quel  modo 
che  il  porco  quando  del  porcil  si  schiude. 

L'una  giunse  a  Capocchio,   ed  in  sul  nodo  28 

del  collo  1  assannò  si  che  tirando 
grattar  gli  fece  il  ventre  al  fondo  sodo  ; 

e  1  Aretin,   che  rimase  tremando,  3i 

Falsari  mi  disse  :    "  Quel  folletto  è  Gianni  Schicchi, 

di  persone.  i  ,  .  i       .  ,  -il? 

e  va  rabbioso  altrui  cosi  conciando. 

"  O,  "   diss'io  lui,    "  se  l'altro  non  ti  ficchi  34 

li  denti  addosso,   non  ti  sia  fatica 
a  dir  chi  è,  pria  che  di  qui  si  spicchi.  " 


Castello  di  Romena. 


n 


e 

.Si 


CANTO    XXX 


un 


Mina. 


Fa\   ('i^Ii   a    mv  :       Qucll  è   1  anima   antica 
di   Mina   sccllciala,   clic   divcimc 
al   padre,   fuor  del  drillo  amore,   amica. 


M 


Dolina  clic  suona   il   liiila,  d'AiuIrca  ili  Ijouaiulo. 
(l'"iiTii/c',   S.    Maria   Novella). 


Gianni 
Schicchi. 


Questa  a  peccar  con  esso  cosi  venne,  4o 

falsificando  sé  m  altrui  forma, 
come  1  altro,   che  là  sen  va,  sostenne, 

per  guadagnar  la  donna  della  torma,  13 

falsificare  in  sé   Buoso  Donati, 
testando  e  dando  al  testamento  norma.  " 


no 


INFERNO 


E  poi  che  1  due  rabbiosi  fur  passati, 
sopra   CUI   io   avea   l'occhio   tenuto, 
rivolsilo  a   guardar   gli   altri   mal   nati. 


46 


La  grave  idropisia  clic  si  dis])aia  le  meiiibra. 
Musaico  del  sec.  xii.  -  (Momeiilc,  Duomo). 


Io  Vidi  un,   fatto  a  guisa  di  hùto, 
pur  eh  egli  avesse  avuta  1  anguinaia 
tronca  dall  altro,  che  1  uomo  ha  forcuto. 

La  grave  idropisia,  che  si  dispaia 

le  membra  con  l' umor  che  mal  converte 
che  il  viso  non  risponde  alla  ventraia, 


49 


52 


CANTO  XXX. 


311 


faceva   a   lui   1(Mì(M"   ]v   lahhra   apcrlr, 
conio   I  elico   fa,   clic   |)cr   la   scic 
I  un   verso   il   nK^nto  e   l'allro   m   su   rinverte. 


nascrllo  nrl  Casciìlino. 


Mastro 
Adamo. 


O  voi,   che  senza  alcuna  pena  siete, 
e  non  so  io  perché,  nel  mondo  gramo,  " 
diss  egli  a  noi,    "  guardate  ed  attendete 

alla  miseria  del  maestro  Adamo. 

Io  ebbi  vivo,  assai  di  quel  ch'io  volli, 
ed  ora,  lasso  !   un  gocciol  d' acqua  bramo. 


58 


(U 


312 


INFERNO 


R 


omena. 


Fontebranda. 


Li   ruscelletti,   che  dei   verdi   colli  fit 

del   Casentin   discendon   giuso   in   Arno, 
facendo  i  lor  canali  freddi  e  molli, 

sempre  mi  stanno  innanzi,  e  non  indarno;  fi? 

che,   r  imagine  lor  vie  più  m' asciuga 
che  il  male,  ond  io  nel  volto  mi  discarno. 

La  rigida  giustizia,   che  mi  fruga,  70 

tragge  cagion  del  loco  ov  io  peccai 
a  metter  più  li  miei  sospiri  in  fuga. 


Ivi  è  Romena,  là  dov  io  falsai 
la  lega  suggellata  del   Battista, 
per  eh  io  il  corpo  su  arso  lasciai. 

Ma  s'io  vedessi  qui   1  anima  trista 

di  Guido  o  d'Alessandro  o  di  lor  frate, 
per  Fontebranda  non  darei  la  vista. 

Dentro  e  è  1  una  già,   se  1  arrabbiate 
ombre  che  vanno  intorno  dicon  vero  ; 
ma  che  mi  vai,  e  ho  le  membra  legate  ? 


Fiorino 

(Ifl    SfC.    XIV. 


79 


S  10  fossi  pur  di  tanto  ancor  leggiero  S2 

eh  io  potessi  in  cent  anni  andare  un  oncia, 
IO  sarei  messo  già  per  lo  sentiero 

cercando  lui  tra  questa  gente  sconcia,  «n 

con  tutto  eh  ella  volge  undici  miglia, 
e  men  d  un  mezzo  di  traverso  non  ci  ha. 


(ANTO   XXX 


313 


(■.Mslcllo    (li     lidlìUlìi 


Io  son  per  lor  tra  si  fatta  famiglia; 
ei  m  indussero  a  battere  i  fiorini, 
che  avevan  tre  carati  di  mondiglia.  " 

Ed  io  a  lui  :    "  Chi  son  li  due  tapini, 
che  fuman  come  man  bagnate  il  verno, 
giacendo  stretti  a'  tuoi  destri  confini  ?  " 


88 


01 


l'onlcbniìi'lti  (li   Honicna. 


314  INFERNO 


"  Qui   li   trovai,   o  poi   volta   non   dierno,  "  9» 

rispose,    "  quand  io   piovvi   in   questo   greppo, 
e  non  credo  che  dieno  in  sempiterno. 

La  moglie  di     L' una  è  la  falsa  che  accusò  Joseppo  07 

Putifane.  ,.1  .      1    r   1         o-  1      t-     • 

1  altro  e  il  ralso  oinon  greco  da    1  roia  ; 
per  febbre  acuta  gittan  tanto  leppo.  " 

E  1  un  di  lor,  che  si  recò  a  noia  i"" 

forse  d  esser  nomato  si  oscuro, 
col  pugno  gli  percosse  1  epa  croia  ; 

quella  sonò,   come  fosse  un  tamburo;  i'>3 

e  mastro  Adamo  gli  percosse  il  volto 
col  braccio  suo  che  non  parve  men  duro, 

dicendo  a  lui  :    "  Ancor  che  mi  sia  tolto  1  <H) 

lo  muover,  per  le  membra  che  son  gravi, 
ho  io  il  braccio  a  tal  mestiere  sciolto.  " 

Ond  ei  rispose:    "  Quando  tu  andavi  109 

al  foco,   non  l  avéi  tu  cosi  presto; 
ma  si  e  più  1  avéi  quando  coniavi.  " 

E  l'idropico:    "  Tu  di'  ver  di  questo;  112 

ma  tu  non  fosti  si  ver  testimonio, 
là  ve  del  ver  fosti  a  Troia  richiesto.  " 

"  S'io  dissi  falso,   e  tu  falsasti  il  conio,  "  ii.''> 

Sinone.  disse  Sinone,    "  e  son  qui  per  un  fallo, 

e  tu  per  più  che  alcun  altro  demonio.  " 


CANIO   \XX. 


315 


l.a   iiioLilii'  (li    l'iilit'ari'c  o   (''iusi'|)|)i'. 
(UaNciiiia     -    Oalla    l'atlcdia    di    .Massimiano). 


"  Ricorditi,  spergiuro,   del  cavallo,  " 
rispose  quel  eh  aveva  enfiata  1  epa  ; 
e  sieti  reo  che  tutto  il  mondo  sallo.  " 

"  A  te  sia  rea  la  sete  onde   ti  crepa  " 

disse  il  greco    "  la  lingua,   e  1  acqua   marcia 
che  il  ventre  innanzi  gli  occhi  si  t  assiepa.  " 

Allora  il  monetier:    "  Cosi  si  squarcia 
la  bocca  tua  per  mal  dir  come  suole  ; 
che  s  i'  ho  sete  ed  umor  mi  rinfarcia, 

tu  hai  1  arsura  e  il  capo  che  ti  duole, 
e  per  leccar  lo  specchio  di  Narcisso, 
non  vorresti  a  invitar  molte  parole.  " 


118 


121 


124 


127 


316  INFERNO 


eia. 


Ad   ascoltarli   er  io  del   tutto   fisso,  I3<i 

quando   il   maestro   mi   disse  :    "  Or   pur   mira  ! 
che  per  poco  è  che   teco  non   mi  risso.  " 

Lotta  scon-      Quand' io  senti'   a  me  parlar  con  ira,  1:^:5 

volsimi  verso  lui  con  tal  vergogna 
eh  ancor  per  la  memoria  mi  si  gira  : 

e  quale   è   quei   che   suo  dannaggio  sogna,  136 

che  sognando  desidera  sognare, 
si  che  quel  eh  è,  come  non  fosse,  agogna  ; 

tal  mi  fec  10,   non  potendo  parlare,  i3u 

che  desiava  scusarmi,   e  scusava 
me  tuttavia,   e  no  1  mi  credea  fare. 

"  Maggior  difetto  men  vergogna  lava  "  1  l'i 

disse  il  maestro    "  che  il  tuo  non  è  stato; 
però  d' ogni  tristizia  ti  disgrava  : 

e  fa  ragion  eh  10  ti  sia  sempre  allato,  145 

se  più  avvien  che  fortuna  t  accoglia, 
ove  sia  gente  in  simigliante  piato; 

che  voler  ciò   udire  è  bassa  voglia.  "  ii« 


N'rilula   (li    Holdt/ini.  di    l''r;iiu'.    I''raiicia.   -  (Hidonim,    r:il:i/./.i)   l'iilihliciM. 


CANTO  XXXI. 


Nono 
cerchio. 


Una  medesma  lingua  pria  mi  morse, 
si  che  mi  tinse  1  una  e  1  altra  guancia, 
e  poi  la  medicina  mi  ripòrse. 

Cosi  od  IO  che  solca  la  lancia 

d'Achille  e  del  suo  padre  esser  cagione 
prima  di  trista  e  poi  di  buona  mancia.      |  -^ 

Noi  demmo  il  dosso  al  misero  vallone, 
su   per   la   ripa   che  il  cinge  d' intorno, 
attraversando  senza  alcun  sermone. 


Quivi  era  men  che  notte  e  men  che  giorno, 
si  che  il  viso  m' andava  innanzi  poco  ; 
ma  10  senti    sonare  un  alto  corno. 


Corno,  scollura  del  se-c.  xiv. 
(Venezia,  San  Marci)  ). 


318 


INFERNO 


tanto  eh  avrebbe  ogni   luon   fatto   fioco, 
che,  centra  sé  la  sua  via  seguitando, 
dirizzò   gli  occhi  miei  tutti  ad   un  loco. 

Dopo   la   dolorosa   rotta,   quando 

Carlo  Magno  perde  la  santa  gesta, 
non  sonò  si  terribilmente  Orlando. 


1:5 


16 


V^- 


Badia  di   HoucisNaik"  in-i  Pìii'ikI. 


1  giganti.         Poco  portai  in  là  volta  la  testa, 

che  mi  parve  veder  molte  alte  torri  ; 
ond'io:    "  Maestro,  di',   che  terra  è  questa?" 

Ed  egli  a  me:    "  Però  che  tu  trascorri 
per  le  tenebre  troppo  dalla  lungi, 
avvien  che  poi  nel  maginare  aborri. 

Tu  vedrai  ben  se  tu  là  ti  congiungi, 
quanto  il  senso  s  inganna   di  lontano; 
però  alquanto  più  te  stesso  pungi.  " 


19 


O') 


Jò 


CANTO   XXXI.  W) 


Poi   caraiiìciilc    ini    prese    pei    mano  2K 

e  disse:    "  Pria   die  noi   Siam   più   avanti, 
acciò  che   il   fallo   men   li    paia   slrano, 

sappi  che  non  son   torri,   ma   giganti,  31 

e  son   nel   pozzo   intorno  dalla   ripa 
dall' umbilico  m  giuso  tutti  quanti.  " 

Come,   quando   la   nebbia   si  dissipa,  34 

lo  sguardo  a  poco  a  poco  raffigura 
ciò  che  cela  il  vapor  che  1  aere  stipa  ; 

cosi  forando  1  aura   grossa  e  scura  37 

più  e  più  appressando  in  ver  la  sponda, 
fuggiemi  errore,  e  crescémi  paura  : 


10 


però  che,  come  in  su  la  cerchia  tonda 
Monteriggion  di  torri  si  corona, 
cosi  la  proda  che  il  pozzo  circonda, 


torreggiavan  di  mezza  la  persona  J3 

gli  orribili  giganti,  cui  minaccia 
Giove  del  cielo  ancora,  quando  tuona. 

Ed  io  scorgeva  già  d'alcun  la  faccia,  in 

le  spalle  e  il  petto,  e  del  ventre  gran  parte, 
e  per  le  coste  giù  ambo  le  braccia. 

Natura  certo,  quando  lasciò  l'arte  49 

di  si  fatti  animali,  assai  fé'  bene, 
per  tórre  tali  esecutori  a  Marte  ; 


320 


INFERNO 


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I-^lrfdiilc.  (l;i   un   mosaico  ])iivini('nlalc  del   sce.   xii. 
(Aostn,   Diioiuo)- 


e  s  ella  d  elefanti  e  di  balene 

non  si  pente,   chi  guarda  sottilmente 
più  giusta  e  più  discreta  la  ne  tiene 


52 


che  dove  l' argomento  della  mente 

s'aggiunge  al  mal  volere  ed  alla  possa, 
nessun  riparo  vi  può  far  la  gente. 


55 


\«. 


fìtilcna,   scoltura   del    scc.    XIII.   -  (Sessa    Aurunca,   Duomo). 


CAN  IO   XXXI. 


321 


N<Miil)ioitr.         La   faccia   sua   mi   parca   lunga   e   grossa, 

come   la    pma   di   San    Pietro   a    Roma; 
ed   a   sua   pro{)orzionc   erari   l'allr'ossa: 


r>H 


Pina  (li  S.   Pietro  n   Roma. 


si  che  la  ripa,  ch'era  perizoma  6i 

dal  mezzo  in  giù,  ne  mostrava  ben  tanto 
di  sopra  che  di  giungere  alla  chioma 


322 


INFERNO 


tre   Frison   s  averian   dato   mal   vanto  ; 
però  eh  io  ne  vedea  trenta   gran  palmi 
dal   loco  in  giù,   dov  uomo  affibbia  il   manto. 


64 


"  Rafel  mai  amech  izabi  almi,  " 
cominciò  a  gridar  la  fiera  bocca, 
cui  non  SI  convenian  più  dolci  salmi. 


67 


Facciata  di   .S'.   Pùiro  con  visla  della   pina  sullo  il  ciborio. 
(Disegno  di    Doni.   Tnssolll). 


E  il  duca  mio  ver  lui  :  "  Anima  sciocca, 
tienti  col  corno,  e  con  quel  ti  disfoga, 
quand  ira  o  altra  passion  ti  tocca  : 


70 


cercati  al  collo,  e  troverai  la  soga 
che  il   tien   legato,   o  anima   confusa, 
e  vedi  lui  che  il  gran  petto  ti  doga.  " 


73 


CAN  TO   XXXI. 


i2i 


Hasaiiinilo  ili  colonna,  ronianico  ([e  due  ligure  laleraJi  lianuo  il  [ìerizonia). 

(Bologna,   Museo  (avico). 


Poi  disse  a  me  :    "  Egli  stesso  s  accusa  ;  76 

questi  è  Nembrotto,   per  lo  cui  mal  coto 
pure  un  linguaggio  nel  mondo  non  s  usa. 


Lasciamlo  stare,  e  non  parliamo  a  vóto;  79 

che  cosi  è  a  lui  ciascun  linguaggio, 
come  il  suo  ad  altrui,  eh' a  nullo  è  noto.  " 


324  INFERNO 


Facemmo  adunque   più   lungo  viaggio  82 

volti  a  sinistra  ;   ed  al   trar  d  un   balestro 
Fialte.  trovammo  1  altro  assai  più  fiero  e  maggio. 

A  cinger  lui,  qual  che  fosse  il  maestro,  85 

non  so  IO  dir;   ma  ei  tenea  succinto 
dinanzi   l  altro,   e   dietro   il   braccio   destro 

d  una  catena,   che  il  teneva  avvinto  88 

dal  collo  in  giù,   si  che  in  su  lo  scoperto 
SI  ravvolgea  infino  al  giro  quinto. 

"  Questo  superbo  voli  esser  esperto  91 

di  sua  potenza  contra  il  sommo  Giove,  " 
disse  il  mio  duca,    "  ond  egli  ha  cotal   merto. 

Fialte  ha  nome  ;   e  fece  le  gran  prove,  94 

quando  i  giganti  fér  paura  a    dèi  : 
le  braccia  eh  ei  menò,   giammai  non  muove.  " 


Ed  IO  a  lui:    "  S  esser  puote,  io  vorrei  97 

che  dello  smisurato  Briareo 
esperienza  avesser  gli  occhi  miei.  " 

Ond'ei  rispose:    "  Tu  vedrai  Anteo  lou 

presso  di  qui,  che  parla  ed  è  disciolto, 
che  ne  porrà  nel  fondo  d  ogni  reo. 

Quel  che  tu  vuoi  veder  più  là  è  molto,  io;5 

ed  è  legato  e  fatto  come  questo, 
salvo  che  più  feroce  par  nel  volto.  " 


« 

Si 

3 


*':*"wst 


e: 
«> 
y 

e 
1^ 


CANIO   XXXI 


325 


Anteo. 


Non    fu    iKMiuiolo   j^ià    lauto   nihcslo,  I'K' 

clic   scolcssc   una    Ione*   cosi   forlc, 
come   Fialte  a   scolcrsi   fu   presto. 

Allor   temetti   più   che   mai   la   morte,  l'i' 

e  non  v  era   mestier  più  che  la  ciotta, 
s  io  non  avessi  viste  le  ritorte. 

Noi  procedemmo  più  avanti  allotta,  Hi 

e  venimmo  ad  Anteo,  che  ben  cinqu  alle, 
senza  la  testa,   uscia  fuor  della  grotta. 

"  O   tu,  che  nella  fortunata  valle,  ii") 

che  fece  Scipion  di   gloria  reda 
quand'Annibal  co'  suoi  diede  le  spalle, 

recasti  già  mille  leon  per  preda,  ii8 

e  che,  se  fossi  stato  ali  alta   guerra 
de   tuoi  fratelh,  ancor  par  eh  e   si  creda 

che  avrebber  vinto  i  figli  della  Terra;  121 

mettine  giù,  e  non  ten  vegna  schifo, 
dove  Cocito  la  freddura   serra. 

Non  ci  far  ire  a  Tizio  né  a  Tifo;  121 

questi   può   dar  di  quel   che   qui  si   brama; 
però  ti  china,   e  non  torcer  lo  grifo. 

Ancor  ti  può  nel  mondo  render  fama,  127 

eh  ei  vive,   e  lunga  vita  ancor  aspetta, 
se  innanzi   tempo  grazia  a  sé  no   1  chiama.  " 


326  INFERNO 


Cosi   disse  il   maestro;   e   quegli   in   fretta  liiu 

la  man  distese  e  prese  il  duca   mio, 
ond  Ercole  senti  già  grande  stretta. 


Virgilio,  quando  prender  si  sentio,  i:ì:ì 

disse  a  me  :  "  Fatti  m  qua,  si  eh  io  ti  prenda  ;  ' 
poi  fece  si  che  un  fascio  er  egh  ed  io. 

Qual  pare  a  riguardar  la  Carisenda  136 

sotto  il  chinato,  quando   un  nuvol  vada 
sopr  essa  si  eh  ella  in   contrario  penda; 

tal  parve  Anteo  a  me,   che  stava  a  bada  139 

di  vederlo  chinare,   e  fu  tal  ora 
eh'  io  avrei  volut  ir  per  altra  strada  : 

ma  lievemente  al  fondo,   che  divora  112 

Lucifero  con  Giuda,   ci  sposò; 
né  si  chinato  li  fece  dimora, 

e  come  albero  in  nave  si  levò.  145 


storia   (li    ('.nino,  scoKiiia   del    scc.   xil.  -  (Modiiia,    Di d). 


CANTO  XXXII. 


Cerchio  nono,    S'  io  avessi  le  rime  aspre  e  chiocce, 

giro  primo.  .  i  i  i        •  i 

come  SI  converrebbe  al  tristo   buco, 
sovra  il  qual  pontan  tutte  1  altre   rocce, 


io  premerei  di  mio  concetto  il  suco 

più  pienamente;   ma  perch  io  non  1  abbo, 
non  senza  tema  a  dicer  mi  conduco; 


che  non  è  impresa  da  pigliare  a  gabbo 
descriver  fondo  a  tutto  1  universo, 
né  da  lingua  che  chiami  mamma  e  babbo. 

Ma  quelle  donne  aiutino  il  mio  verso, 
eh  aiutaro  Anfion  a  chiuder  Tebe, 
si  che  dal  fatto  il  dir  non  sia  diverso. 


10 


328 


INFERNO 


O  sovra   tutte   mal   creata   plebe, 

che  stai  nel  loco,  onde  parlare  è  duro, 
me   foste  state  qui  pecore  o  zebe  ! 


i:^ 


Calna. 
Traditori 


Come  noi  fummo  giù  nel  pozzo  scuro 
sotto  1  pie  del  gigante,  assai  più  bassi, 
ed  io  mirava  ancora  ali  alto  muro, 


ir, 


Cross   Cilocliiier   nei  'rauci'ii  {'l'amlintìiccli  n    'Idiiniiicili). 


dicere  udimmi:    "  Guarda  come  passi; 
fa  si  che  tu  non  calchi  con  le  piante 
le  teste  de'  fratei  miseri  lassi;  " 


in 


perch  IO  mi  volsi  e  vidimi  davante 

e  sotto  1  piedi  un  lago,  che  per  gelo 
avea  di  vetro  e  non  d  acqua  sembiante. 


22 


CANIO   XXXll. 


329 


Non   f<'((^   al   corso  suo   si   grosso   velo 
di   voiiu)   la    Danoia   ni   Osicilic, 
ne   Tanai   là   sollo   il   freddo  ciclo, 


•if) 


La  vetta   df!    IMsaiiiiio   nella    l'iiir<quiiì< 


com  era  quivi;   che,  se  Tambernic 
VI  fosse  su  caduto  o  Pietra  pana, 
non  avria  pur  dall  orlo  fatto  cric. 


2S 


330 


INFERNO 


La  ghiaccia 
eterna. 


E  come  a   gracidar   si   sta   la   rana  3i 

col   muso   fuor   dell  acqua,   quando   sogna 
di  spigolar  sovente  la  villana  ; 

livide,   sin  là  dove  appar  vergogna,  34 

eran  1  ombre  dolenti  nella  ghiaccia, 
mettendo  i  denti  in  nota  cicogna. 

Ognuna  in  giù  tenea  volta  la  faccia:  37 

da  bocca  il  freddo  e  dagli  occhi  il  cor  tristo 
tra  lor  testimonianza  si  procaccia. 


Quand  IO  ebbi  d  intorno  alquanto  visto,  40 

volsimi  a    piedi,   e  vidi  due  si  stretti 
che  il  pel  del  capo  avieno  insieme  misto. 

"  Ditemi  voi,   che  si  stringete  i  petti,  "  43 

diss'io,    "  chi  siete?  "    E  quei  piegaro  i  colli; 
e  poi  eh  ebber  li  visi  a  me  eretti, 

gli  occhi  lor,  eh  eran  pria  pur  dentro  molli,  ifi 

gocciar  su  per  le  labbra,   e  il  gelo  strinse 
le  lagrime  tra  essi,  e  nserrolh. 


('.icùi/iiti    clic    lìiiUc    il 

l)ccco;  scoli,  scc.  xiv. 

(Venezia,  San  ^farcn). 


Con  legno  legno  spranga  mai  non  cinse  49 

forte  cosi;   ond  ei  come  due  bécchi, 
cozzaro  insieme,   tanta  ira  li  vinse. 

Ed  un,  eh  avea  perduti  ambo  gli  orecchi  52 

per  la  freddura,   pur  col  viso  in  giùe 
disse:    "  Perché  cotanto  in  noi  ti  specchi? 


CANTO  XXXII 


331 


Sr   vuol   saper   chi   son   coirsi i   due, 
,        .  ,.  la   valle   onde    l^isen/.io   si   dicliina 

I  tonti  di 

Manj^ona.  del   padre   loro   Alberto   e.   di   lor   fue. 

D'un  corpo  uscirò;   e   tutta   la  Caina 

potrai  cercare  e  non   troverai  ombra 
degna   più  d  esser  fitta  in  gelatina  : 


5« 


11    liisriKÌo  con   visla  del  cash-Ilo  di   CtThaia. 


Sàssol  Ma- 
scheroni. 


Camicion 
de'  Pazzi. 


non  quelli,  a  cui  fu  rotto  il  petto  e  l  ombra         t>i 
con  esso  un  colpo  per  la  man  d  Artù  ; 
non  Focaccia  ;   non  questi,  che  m  ingombra 


col  capo  si  ch'io  non  veggio  oltre  più, 
e  fu  nomato  Sàssol  Mascheroni  : 
se  tòsco  se  ,  ben   sa   omai  chi  fu. 

E  perché  non  mi  metti  in  più  sermoni, 
sappi  eh  io  fui  il  Camicion  de   Pazzi, 
ed  aspetto  Carlin  che  mi  scagioni.  " 


64 


67 


332 


NFERNO 


Poscia  vid  10  mille  visi,   cagnazzi 

fatti  per  freddo;   onde  mi  vien  riprezzo, 
e  verrà  sempre,  de'  gelati   guazzi. 


70 


(A'ibaia   (k'I    IJistMi/.io,   caslt'llo  dei;!!    Albrrli  dì   .Maii.^oiia. 


Antenora. 
Giro  se- 
condo. 


E  mentre  che  andavamo  in  ver  lo  mezzo, 
al  quale  ogni   gravezza  si  rauna, 
ed  IO  tremava  nell'eterno  rezzo. 


73 


CAN  IO   XXXII, 


Mi 


Colli'  (li   Maiiiiouii,   di'^li    Albrili. 


se  voler  fu  o  destino  o  fortuna, 

non  so;   ma,   passeggiando  tra  le  teste, 
forte  percossi  il  pie  nel  viso  ad   una. 

Piangendo  mi  sgridò  :    "  Perché  mi  peste  ? 
Se  tu  non  vieni  a  crescer  la  vendetta 
di  Montaperti,   perché  mi  moleste  ?  " 


7(1 


79 


Vcinio,  castello  (1cl;Iì   Albciii. 


334 


INFERNO 


Ed   io:    "  Maestro   mio,   or  qui   m'aspetta, 
si  eh  io  ésca  d  un  dubbio  per  costui  ; 
poi  mi  farai,  quantunque  vorrai,  fretta.  " 


82 


Bocca 
degli  Abati. 


Lo  duca  stette;   ed  io  dissi  a  colui 
che  bestemmiava  duramente  ancora  : 
"  Qual  se'  tu,   che  cosi  rampogni  altrui  ?  " 


8,"» 


"  Or  tu  chi  se',  che  vai  per  l'Antenora 
percotendo,  "   rispose,    "  altrui  le  gote 


SI 


i  che,  se  fossi  vivo,   troppo  fora  ?  " 


88 


La    CoiU'    di    /(■    Arti)  con    LdiicHnllo   e    CutkuHo, 
Miniatura  del   mcdId  xiv. 


Vivo  son  io,   e  caro  esser  ti  puote,  " 
fu  mia  risposta,    "  se  domandi  fama, 
ch'io  metta  il  nome  tuo  tra  1  altre  note.  " 


91 


Ed  egli  a  me  :    "  Del  contrario  ho  io  brama  ;        ''  t 
levati  quinci,   e  non  mi  dar  più  lagna, 
che  mal  sai  lusingar  per  questa  lama.  " 


CAN  ro   XXXII 


335 


Allor   lo   presi   prr   la   culicagna, 

e  dissi:    "  E    converrà   che   lu   li   nomi, 
o   che   ca{)(^l   qui   su   non   li   rimaglia.  " 

Ond  egli   a   me:    "  Perché   tu   mi   dischiomi, 
né  ti  dirò  eh  io  sia,   né  mostrerolti, 
se  mille  fiate  in  sul  capo  mi  tomi.  " 


•»7 


KlO 


Uc   Arlù.  (l;i  un   musaico  pnviiiiontiilo  del  soc.   xii. 
(Olranlo,    Duomo). 


Io  avea  già  i  capelli  in  mano  avvolti,  103 

e  tratti  glie  n  avea  più  d  una  ciocca, 
latrando  lui  con  gli  occhi  in  giù  raccolti  ; 

quando  un  altro  gridò:    "  Che  hai  tu.   Bocca?     106 
Non  ti  basta  sonar  con  le  mascelle, 
se  tu  non  latri  ?  qual  diavol  ti  tocca  "  ? 


336 


INFERNO 


"  Ornai,  "    diss'  io,    "  non   vo'  che   tu   favelle, 
malvagio   traditor,   che  alla   tua   onta 
io  porterò  di  te  vere  novelle.  " 


109 


"  Va  via,  "  rispose,  "  e  ciò  che  tu  vuoi,  conta; 
ma  non   tacer,   se  tu  di  qua  entr'eschi, 
di   quei   eh  ebbe   or  cosi   la   lingua   pronta. 


112 


•■  ■u  *   -     .   V    ■ 


ìJtimJÀ 


Manhipriti. 


Buoso 
da  Duera. 


Ei  piange  qui  1  argento  de  Franceschi  : 
'  Io  vidi  '   potrai  dir   '  quel  da   Duera 
là  dove  1  peccatori  stanno  freschi.  ' 


11.') 


Se  fossi  domandato  altri  chi  v  era, 
tu  hai  da  lato  quel  di  Beccheria, 
di  cui   segò   Fiorenza   la   gorgiera. 


118 


o 


CAN  ro   XXXII 


337 


Gianni   cl(^    Soldanicr   credo   die   sia 

*''!'/    ''  più   là   con   Gancllonc   v  1  cbaidcllo, 

e  altri  tra-  ' 

ditori.  eh  apri   Faenza   quando   si   dorniia.  " 


121 


Non  eravam  partiti  già  da  elio, 

eh  io  vidi  due  ghiacciati  in  una   buca 
si  che  1  un  capo  ali  altro  era  cappello; 


121 


l'iifnzci.  dalla  stampa  di   Francesco  Bertelli. 


e  come  il  pan  per  fame  si  manduca, 
cosi  il  sopran  li  denti  ali  altro  pose 
là   ve  il  cervel  si  giunge  con  la  nuca. 


12-; 


Non  altrimenti  Tideo  si  róse 

le  tempie  a   Menahppo  per  disdegno, 
che  quei  faceva  il  teschio  e  1  altre  cose. 


130 


338 


INFERNO 


"  O   tu   che   mostri   per  si   bestiai   segno  133 

odio  sopra  colui  che  tu  ti  mangi, 
dimmi  il   perché,  "   diss'  io,    "  per  tal  convegno 


che,  se  tu  a  ragion  di  lui  ti  piangi, 

sappiendo  chi  voi  siete  e  la  sua  pecca, 
nel  mondo  suso  ancor  io  te  ne   cangi. 


136 


se  quella,   con  eh  io  parlo,   non  si  secca.  "  130 


I. '(//(■/;>.  [{uggirli  e  il  conte  Ugolino,  da  un  afìresco  del  scc.  xiv. 
((;;iin]M)chi('si'  presso  Alhenga  -  Chiesa  di  S.  (iior^io). 


Pisa  e  il  iiìoiitc  (li  S.  (iiiilidiKi. 


JL  L      »       «      1      i 


-»2_jfliJkj»a*ia 


CANTO  XXXIII. 


Cerchio  no- 
no, giro  se- 
condo. 

Antenoi  a. 


La  bocca  sollevò  dal  fiero  pasto 
quel  peccator,   forbendola  a'  capelli 
del  capo  ch'egli  avea  di  retro  guasto. 

Poi  cominciò  :    "  Tu  vuoi  eh'  io  rinnovelli 
disperato  dolor  che  il  cor  mi  preme, 
già  pur  pensando,  pria  ch'io  ne  favelli. 

Ma  se  le  mie  parole  esser  dén  seme, 
che  frutti  infamia  al  traditor  ch'io  rodo, 
parlare  e  lagrimar  vedrai  insieme. 

Io  non  so  chi  tu  se  ,  né  per  che  modo 
venuto  se'  qua  giù;  ma  fiorentino 
mi  sembri  veramente,  quand  io  t'odo. 


10 


Torre  del  conte  Ugolino  a  Donoratico. 


Torre  dei  Gualandi,  detta  della  «  Fame  ». 


CAN  IO  XXXIII 


341 


Breve   perlugio   denlro   dalla    niiida, 

la   qual   per  me   lia   il   lilol   della    faine 
e  in  che  convien  ancor  eh  altri  si  chiuda, 


II 


mal  sonno. 


m  avea  mostrato  per  lo  suo  forame 

più  lune  già,  quand'io  feci  il   mal  sonno, 
che  del  futuro  mi  squarciò  il  velame. 


2r) 


Sepolcro  dei  Della  Gherardesca. 
(Pisa,  Caiiiiiosanto). 


Questi  pareva  a  me  maestro  e  donno, 
cacciando  il  lupo  e  i  lupicini  al  monte, 
per  che  i  Pisan  veder  Lucca  non  ponno. 


28 


con  cagne  magre,  studiose  e  conte  :  " 

Gualandi  con  Sismondi  e  con  Lanfranchi 
s  avea  messi  dinanzi  dalla  fronte. 


31 


342  INFERNO 


In  picciol  corso  mi  pareano  stanchi  34 

lo  padre  e  i  figli,   e  con   1  acute  scane 
mi  parca  lor  veder  fender  li  fianchi. 

Quando  fui  desto  innanzi  la  dimane,  37 

pianger  senti   fra  il  sonno  i  miei  figliuoli, 
eh  eran  con  meco,  e  domandar  del  pane. 

Ben  se   crudel,  se  tu  già  non  ti  duoli,  40 

pensando  ciò  eh  al  mio  cor  s  annunziava  ; 
e  se  non  piangi,  di  che  pianger  suoli? 

Già  eran  desti,  e  1  ora  s  appressava  43 

che  il  cibo  ne  soleva  essere  addotto, 
e  per  suo  sogno  ciascun  dubitava  ; 

La  porla  del       ed  io  Sentii  chiavar  1  uscio  di  sotto  46 

carcere  in~  t\j        *i*i  i**  i* 

chiodata  ^"  orribile   torre  :  ond  io  guardai 

nel  viso  a'  miei  figliuoi  senza  far  motto. 

Io  non  piangeva,  si  dentro  impietrai;  49 

piangevan  elli,   ed  Anselmuccio  mio 
disse  :   '  Tu  guardi  si,  padre,  che  hai  ?  ' 

Però  non  lagrimai,  né  rispos  io  52 

tutto  quel  giorno  né  la  notte  appresso, 
infin  che  1  altro  sol  nel  mondo  uscio. 

Come  un  poco  di  raggio  si  fu  messo  55 

nel  doloroso  carcere,  ed  io  scòrsi 
per  quattro  visi  il  mio  aspetto  stesso. 


C'AN  IO   XXXIII.  343 


contro  Pisa. 


del  bel  paese  là  dove  il   '  si  '   suona, 
poi  che  i  vicini  a  te  punir  son  lenti, 


.^K 


anilx)   le   mani    \)cr  dolor   mi    morsi; 

vd   Ci,   pensando   e  lì  io   il   fessi   per   voglia 
di   manicar,   di   subito   Icvòrsi, 

e  disser:   '  Padre,  assai  ci  fia   men  doglia,  <'i 

se  tu   mangi  di  noi:   tu   ne  vestisti 
queste  misere  carni,  e  tu  le  spoglia.  ' 

Morte  dei  fi-     Qucta  mi  allor  per  non  farli   più   tristi  ;  '>  i 

eli  d' Ugo-  1     1/         r    1  •  • 

f.  quel  di  e  I  altro  stemmo  tutti  muti  : 

lino.  ^ 

ahi,  dura  terra,  perché  non  t  apristi  ? 

Poscia  che  fummo  al  quarto  di  venuti,  <>7 

Gaddo  mi  si  gittò  disteso  a   piedi, 
dicendo  :    '  Padre  mio,  che  non  m' aiuti  ?  ' 

Quivi  mori  ;   e  come  tu  me  vedi,  7o 

vid  io  cascar  li  tre  ad   uno  ad  uno 
tra  il  quinto  di  e  il  sesto:   ond  io  mi  diedi 

già  cieco  a  brancolar  sopra  ciascuno,  73 

Morte  e  due  di  li  chiamai  poi  che  fur  morti  ; 

d'Ugolino.  .  •'       L         l     J    1  r'      1     J*    •  II 

poscia,   più  che  il  dolor,   potè  il  digiuno. 

Quand'ebbe  detto  ciò,  con  gli  occhi  torti  76 

riprese  il  teschio  misero  coi  denti, 
che  furo  ali  osso,  come  d  un  can,  forti. 

Invettiva  Ahi  Pisa,  vituperio  delle  genti  79 


344 


INFERNO 


('.(ijìiiirti  (isolii). 


muovansi  la  Caprara  e  la  Gorgona, 

e  facciali  siepe  ad  Arno  in  su  la  foce, 
si  eh  egli  anneghi  in  te  ogni  persona  ; 


82 


che,  se  il  conte  Ugolino  aveva  voce 
d  aver  tradita  te  delle  castella, 
non  dovei  tu  i  fìgliuoi  porre  a  tal  croce 


85 


Gorgona  (isola). 


a 
o 
o 

15 


e 
o 


CAN  IO   XXXIIl.  345 


iiìiì(H(Mili   {i\cvi\    I  dà   novella,  «h 

novella     1  cb(\    UgiKcionc   e   il    Irrigata, 
e  gli   alili   due   che   il   canto  suso  appella. 

Giro  terzo.       Noi  passamm  oltre  là  Ve  la   gelata  !>i 

oomea.  ruvidamente  un'altra   gente  fascia, 

non  volta  in  giù,   ma   tutta  riversata. 


Foce  del  Calambrone  o  Aruu  iwichin. 


Lo  pianto  stesso  li  pianger  non  lascia,  04 

e  il  duol,   che  trova  in  su  gli  occhi  rintoppo, 
si  volve  in  entro  a  far  crescer  1  ambascia  ; 

che  le  lacrime  prime  fanno  groppo,  07 

e  si,  come  visiere  di  cristallo, 
riempion  sotto  il  ciglio  tutto  il  coppo. 

Ed  avvegna  che  si,   come  d  un  callo,  100 

per  la  freddura  ciascun  sentimento 
cessato  avesse  del  mio  viso  stallo, 


346 


NFERNO 


Avanzi   (li    una   torre   dfl    l'orbi    l'isano  ]ircssn    Livorno. 


già  mi  parea  sentire  alquanto  vento;  ins 

per  eh'  io  :    "  Maestro  mio,  questo  chi  move  ? 
non  è  qua  giù  ogni  vapore  spento?  " 


Ond  egli  a  me:    "  Avaccio  sarai   dove 
di  CIÒ  ti  farà  1  occhio  la  risposta, 
veggendo  la  cagion  che  il  fiato  piove.  " 

E  un  de   tristi  della  fredda  crosta 
gridò  a   noi:    "  O   anime  crudeli 
tanto  che  data  v  è  1  ultima  posta. 


106 


109 


Torre  del    Porlo  Pisano  jircsso  Livorno. 


CAN  ro   XXXIII 


i47 


Frate 
Alberigo. 


lcval(Miii   tlal   VISO   i   duri   veli,  i  ili 

si   eh  u)  sfottili   il   dolor   che   il   cor   m  impregna, 
un   poco,   pria   clu^   il   pianto   si   raggeli.  " 

Per  eh  io   a   lui:    "  Se   vuoi   eh  io   li   sovvegna,      ii') 
dimmi   ehi   sei;   e,   s  io   non   li   disbrigo, 
al  fondo  della  ghiaccia   ir  mi  convegna.  " 


Rispose  adunque:    "  Io  son  frate  Alberigo, 
io  son  quel  delle  frutta  del  mal  orto, 
che  qui  riprendo  dattero  per  figo.  " 


US 


Il  Porlo  Pisano,  scollura  del  12!>0.  -  ((u-nova.  Musco  del  Palazzo  Bianco). 

"  O,  "   diss'io  lui,    "or  se'   tu  ancor  morto?"       lii 
Ed  egli  a  me:    "  Come  il  mio  corpo  stea 
nel  mondo  su  nulla  scienza  porto. 


Cotal  vantaggio  ha  questa  Tolomea, 
che  spesse  volte  1  anima  ci  cade 
innanzi  eh  Atropòs  mossa  le  dea. 

E  perché  tu  più  volentier  mi  rade 
le  invetriate  lagrime  dal  volto, 
sappi  che  tosto  che  1  anima  trade, 


124 


127 


348 


INFERNO 


Branca 
d'  Olia. 


come  fec  io,   il  corpo  suo  1  è  tolto  i3o 

da  un  demonio,  che  poscia  il   governa 
mentre  che  il   tempo  suo  tutto   sia  volto. 

Ella  ruma  in  si  fatta  cisterna  ;  133 

e  forse  pare  ancor  lo  corpo  suso 
dell'ombra  che  di  qua  dietro  mi  verna. 

Tu  il  del  saper,   se  tu  vien  pur  mo  giuso  :  136 

egli  è  ser   Branca  d  Oria,   e  son  più  anni 
poscia  passati  eh  ei  fu  si  racchiuso.  " 

"  Io  credo,  "   diss'  io  lui,    "  che  tu  m' inganni  ;       139 
che   Branca  d  Oria  non  mori  unquanche, 
e  mangia  e  bee  e  dorme  e  veste  panni.  " 

"  Nel  fosso  su,  "    diss'  ei,    "  di  Malebranche,  142 

là  dove  bolle  la  tenace  pece, 
non  era  giunto  ancora  Michel  Zanche, 

che  questi  lasciò  il  diavolo  in  sua  vece  145 

nel  corpo  suo,  e  d  un  suo  prossimano 
che  il  tradimento  insieme  con  lui  fece. 

Ma  distendi  oramai  in  qua  la  mano,  148 

aprimi  gli  occhi;  "   ed  io  non  glieh  apersi, 
e  cortesia  fu  in  lui  esser  villano. 


Invettiva 
contro 
Genova. 


Ahi,   Genovesi,  uomini  diversi 

d  ogni  costume,  e  pien  d  ogni  magagna, 
perché  non  siete  voi  del  mondo  spersi? 


151 


CAN  IO   XXXlll. 


349 


Che  col   peggiore   spirto   di    Romagna 
trovai   di   voi   un   tal,   clie   per   sua   opra 
in  anima   il  Cocito  già  si   bagna 


i.'»i 


ed  in  corpo  par  vivo  ancor  di  sopra. 


.')7 


l'"aro   Ira   dui'   navi,  bassoiilirvo  aulico.   -  d'isa,  Cainpaiiilcì. 


Injrnut.    mosnicu   del    scc.    xil.    -  ( 'rnifcllii,    DiKunni. 


CANTO  XXXIV. 


Cerchio 
nono. 


"  X)exilla  regis  prodeunt  inferni 
verso  di  noi;   però  dinanzi  mira,  " 
disse  il  maestro  mio,    "  se  tu  il  discerni.  " 


Giro  quarto. 
Giudecca. 


Come  quando  una  grossa  nebbia  spira 
o  quando  1  emisperio  nostro  annotta, 
par  da  lungi  un  molin  che  il  vento  gira; 

veder  mi  parve  un  tal  dificio  allotta  ; 
poi  per  lo  vento  mi  ristrinsi  retro 
al  duca  mio,   che  non  v  era  altra  grotta. 

Già  era,   e  con  paura  il  metto  in  metro, 
là  dove  r  ombre  eran  tutte  coperte 
e  trasparean  come  festuca  in  vetro. 


10 


352 


INFERNO 


Altre  sono  a  giacere,   altre  starino  erte, 
Traditori  dei         quella  col  capo  e  quella  con  le  piante; 

benefattori.  ,  .,  ,  ,      .     ,.     . 

altra,   com  arco,   il  volto  a    piedi  inverte. 


13 


Antico  miiliiui  a  ihiìIo.  a  Bruijtjia. 


Quando  noi  fummo  fatti  tanto  avante 
eh  al  mio  maestro  piacque  di  mostrarmi 
Lucifero.  la  creatura  eh  ebbe  il  bel  sembiante. 


16 


Lucifero,  affresco  del  sec.  xiv.  -  (Pisa,  Camposanto). 


CAN  ro   XXXIV. 


353 


(linan/i   mi   si   tolse,   e   io    restarmi,  19 

"  Ecco   Dite,  "    dicendo,    "  ed   ecco   il    loco, 
ove  convien  che  di   fortezza   l' armi.  " 

Com  io  divenni  allor  gelato  e  fioco,  22 

no    I   domandar,   lettor,   eh  io   non   lo   scrivo, 
però  eh  ogni  parlar  sarebbe  poco. 

Io  non  morii,   e  non  rimasi  vivo;  25 

pensa  oramai  per  te,   s  hai   fior  d  ingegno, 
qual  io  divenni,  d' uno  e  d  altro  privo. 

Lo  imperador  del  doloroso  regno  28 

da  mezzo  il  petto  uscia  fuor  della   ghiaccia  ; 
e  più  con  un  gigante  io  mi  convegno 


che  i  giganti  non  fan  con  le  sue  braccia  :  3i 

vedi  oramai  quant  esser  dèe  quel  tutto 
eh  a  cosi  fatte  parti  si  confacela. 

S  ei  fu  si  bel  com'egli  è  ora  brutto  34 

e  contra  il  suo  Fattore  alzò  le  ciglia, 
ben  dèe  da  lui  procedere  ogni  lutto. 

0  quanto  parve  a  me  gran  meraviglia,  37 
quando  vidi  tre  facce  alla  sua  testa  ! 

l  una  dinanzi,  e  quella  era  vermiglia  ; 

1  altre  eran  due,   che  s  aggiungieno  a  questa  40 

sopr  esso  il   mezzo  di  ciascuna  spalla, 
e  si  giungieno  al  loco  della  cresta: 


354 


INFERNO 


e  la  destra   parca  tra  bianca  e  gialla; 
la  sinistra  a  vedere  era  tal,   quali 
vcngon  di  là  onde  il  Nilo  s'avvalla. 


43 


Sotto  ciascuna  uscivan  due  grandi  ali, 
quanto  si  convenia  a  tanto  uccello  ; 
vele  di  mar  non  vid'io  mai  cotali. 


46 


Lucifero,  scoUura  del  sec.  xi.  -  (Toscanclla,  S.  Pietro). 


Non  avean  penne,  ma  di  vipistrello 
era  lor  modo  ;   e  quelle  svolazzava, 
si  che  tre  venti  si  movean  da  elio. 


49 


Cocito. 


Quindi  Cocito  tutto  s'aggelava: 

con  sei  occhi  piangeva,   e  per  tre  menti 
gocciava  il  pianto  e  sanguinosa  bava. 

Da  ogni  bocca  dirompea  coi  denti 
un  peccatore,   a  guisa  di  maciulla, 
si  che  tre  ne  facea  cosi  dolenti. 


52 


55 


CAN  lU   \X\1V. 


355 


A   quel   dinanzi   li   inoidcrc^   era    nulla 

verso   il   graffiar,   che   talvolta    la   scliiena 
runanca   della   pelle   Uilla   hrulla. 


58 


((/(«/((  Sidriotln  liacia  (lesù,  aflresco  dì   (jiollo. 
(Padova,  Cappella  di'uli  Scrovcgni). 


Giudc 


Quali  anima  là  su  clie  ha  maggior  pena,  " 
disse  il  maestro,    "  è  Giuda  Scariotto, 
che  il  capo  ha  dentro,  e  fuor  le  gambe  mena. 


61 


Bruto. 


Degli  altri  due  e  hanno  il  capo  di  sotto, 
quei  che  pende  dal  nero  ceffo  è  Bruto  ; 
vedi  come  si  storce  e  non  fa  motto  : 


64 


356 


INFERNO 


C 


assio. 


e  1  altro  è  Cassio,   che  par  si   membruto. 
Ma  la  notte  risurge:   ed   oramai 
è  da  partir,  che  tutto  avem  veduto.  " 


67 


f* 


x" 


tl^ 


4 


iJik&r, 


Bruto,  dal  libio  di  ('liiislo  de'  Meiiabuoi. 
(Uoniii,   Galleria   Corsini). 


Com'a  lui  piacque,   il  collo  gli  avvinghiai; 
ed  ei  prese  di  tempo  e  loco  poste, 
e,  quando  1  ale  furo  aperte  assai, 

appigliò  sé  alle  vellute  coste  ; 

di  vello  in  vello  giù  discese  poscia 
tra  il  folto  pelo  e  le  gelate  croste. 


70 


73 


CAN  lU   XXXIV.  357 


Quando   noi   luinmo   là   dove   la   coscia  7r> 

SI   volge   appunto   in   sul   grosso   dell  anche, 
lo  duca,  con   fatica  e  con  angoscia, 

volse  la   testa  ov  egli  avea  le  zanche,  7'.» 

ed  aggrappossi  al  pel  com    uom  che  sale, 
si  che  in  inferno  io  credea  tornar  anche. 

"  Attienti  ben,  che  per  si  fatte  scale,  "  sii 

disse  il  maestro  ansando  com  uom  lasso, 
"  conviensi  dipartir  da  tanto  male.  " 

Poi  usci  fuor  per  lo  fóro  d  un  sasso,  85 

e  pose  me  in  su  1  orlo  a  sedere  ; 
appresso  pòrse  a  me  1  accorto  passo. 

Io  levai  gli  occhi,  e  credetti  vedere  88 

Lucifero.  Lucifero  com  io  1  avea  lasciato; 

e  vidih  le  gambe  in  su  tenere; 

e  s  io  divenni  allora  travagliato,  9i 

la  gente  grossa  il  pensi,  che  non  vede 
qual  è  quel  punto  eh  io  avea  passato. 

"  Levati  su,  "    disse  il  maestro,    "  in  piede  :  oi 

la  via  è  lunga,   e  il  cammino  è  malvagio, 
e  già  il  sole  a  mezza  terza  riede.  " 

Non  era  camminata  di  palagio  97 

là   v  eravam,  ma  naturai  burella, 
eh  avea  mal  suolo  e  di  lume  disagio. 


358  INFERNO 


"  Prima  eh  io  dell  abisso  mi  divella,  i(»(i 

maestro  mio,  "    diss  io  quando  fui  dritto, 
"  a   trarmi  d  erro  un  poco  mi   favella. 

Ove  la  ghiaccia?  e  questi  com  è  fìtto  103 

si  sottosopra  ?  e  come  in  si  poc  ora 
da  sera  a  mane  ha  fatto  il  sol  tragitto  ?  " 

Ed  egli  a  me  :    "  Tu  imagini  ancora  100 

d'esser  di  là  dal  centro,   ov  io  m  appresi 
al  pel  del  vermo  reo,  che  il  mondo  fora. 

Di  là  fosti  cotanto,  quant'  io  scesi  ;  ii»9 

quando  mi  volsi,   tu  passasti  il  punto 
al  qual  si  traggon  d' ogni  parte  i  pesi  : 

e  se'  or  sotto  1  emisperio  giunto,  112 

eh' è  contrapposto  a  quel  che  la  gran  secca 
coperchia,  e  sotto  il  cui  colmo  consunto 

Gesù  Cristo,     fu  l' Uom  che  nacque  e  visse  senza  pecca;  ii5 

tu  hai  i  piedi  in  su  picciola  spera, 
che  1  altra  faccia  fa  della   Giudecca. 

Qui  è  da  man,  quando  di  là  è  sera:  ii<s 

e  questi,  che  ne  fé   scala  col  pelo, 
fìtto  è  ancora  si,  come  prim  era. 

Caduta        Da  questa  parte  cadde  giù  dal  cielo;  121 

di  Lucifero.  l       .  L  *       J' 

e  la  terra,   che  pria  di  qua  si  sporse, 
per  paura  di  lui  fé   del  mar  velo, 


CAN  IO  XXXIV.  359 


e  voniK'   ali  cinisperio   noslro  ;   e  forsr  121 

pei    fuggir   lui   lasciò  qui   il   loco   vólo 
quella  che  appar  di  qua,  e  su   ricorse. 


Il 


Loco  è  là  giù,  da   Belzebù  rimoto  127 

tanto,   quanto  la   tomba   si   distende 
che  non  per  vista,   ma  per  suono  è  noto 

d'un  ruscelletto,  che  quivi  discende  i3o 

per  la  buca  d' un  sasso,  eh  egli  ha  róso, 
col  corso  ch'egli  avvolge,  e  poco  pende. 

Lo  duca  ed  io  per  quel  cammino  ascoso  133 

Uscita  dal-  entrammo,  a  ritornar  nel  chiaro  mondo  ; 

r  inferno. 

e  senza  cura  aver  d  alcun  riposo 

salimmo  su,  ei  primo  ed  io  secondo,  136 

tanto  eh  io  vidi  delle  cose  belle 
che  porta  il  ciel,  per  un  pertugio  tondo  ; 

e  quindi  uscimmo  a  riveder  le  stelle.  139 


M'. 


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